Servizi rivolti alle persone con disabilità: aumentare la spesa è necessario, ma non basta

di Vincenzo Falabella*
Secondo i dati ISTAT elaborati dall’organismo indipendente Consumers’ Forum, dal 2012 al 2022 la spesa dei Comuni per i servizi assistenziali rivolti alle persone con disabilità è aumentata del 44% e tuttavia questo non ha corrisposto affatto a un miglioramento della qualità della vita per milioni di persone con disabilità, perché aumentare la spesa è necessario, ma non basta: serve infatti un investimento strutturale, un cambio di paradigma e una regia unitaria tra Stato, Regioni e Comuni

Ombra di persona in carrozzina di spalle davanti al soleIn Italia, negli ultimi dieci anni, la spesa dei Comuni per i servizi assistenziali rivolti alle persone con disabilità è aumentata del 44%. Si tratta di un dato che, letto da solo, potrebbe far pensare a un sistema in evoluzione. Eppure, la realtà raccontata da Consumers’ Forum – l’organismo indipendente che riunisce associazioni di consumatori, imprese e istituzioni – è ben più complessa: all’aumento della spesa, infatti, non corrisponde un miglioramento della qualità della vita per milioni di cittadini con disabilità.
Nel dettaglio delle cifre, secondo i dati ISTAT elaborati dal citato organismo Consumers’ Forum, la spesa reale dei Comuni italiani per la disabilità è passata appunto da 1,7 miliardi a 2,4 miliardi di euro tra il 2012 e il 2022, scontrandosi tuttavia con l’evidenza delle persistenti inefficienze, carenze e disuguaglianze sistemiche. A confronto, nello stesso periodo, la spesa per l’assistenza agli anziani è addirittura diminuita, scendendo da 1,33 a 1,30 miliardi di euro (-1,8%).

Un Paese diviso: l’assistenza cambia da Regione a Regione
Il problema più evidente è rappresentato dal forte divario territoriale. Al Sud, la spesa pro capite per i servizi assistenziali rivolti alle persone con disabilità è meno della metà della media nazionale, e due volte e mezzo inferiore rispetto a Nord-Ovest e Nord-Est.
A livello regionale, la fotografia è impietosa: in Trentino Alto Adige si registrano oltre 6.000 euro di spesa pro capite annua, seguito dalla Sardegna (5.460 euro) e dal Friuli Venezia Giulia (4.548 euro). All’estremo opposto, la Calabria spende solo 395 euro all’anno per ogni persona con disabilità.
Questi numeri raccontano di diritti diseguali in base alla residenza, un tema che mina direttamente il principio di uguaglianza sostanziale sancito dalla Costituzione e impedisce di costruire un sistema davvero equo e nazionale.

Un’inclusione ancora lontana: lavoro, povertà e barriere
Nonostante dunque l’aumento delle risorse, i dati sul lavoro e sulla condizione socioeconomica delle persone con disabilità restano critici. Solo il 32,5% degli adulti con disabilità in età lavorativa ha un impiego, a fronte di un tasso di occupazione nazionale del 62,9%. Ancora più allarmante è il dato sul rischio di marginalità: una persona con disabilità su tre è a rischio di povertà o di esclusione sociale.
A questi elementi si aggiunge una cronica carenza di accessibilità fisica e sensoriale: secondo Consumers’ Forum, infatti, meno del 10% delle strutture turistiche italiane è accessibile, un dato, questo, che non rappresenta solo un ostacolo alla fruizione del tempo libero, ma è un indicatore più ampio della mancata inclusione culturale e civile nel Paese.

La frammentazione dei servizi locali
Anche sul piano dell’offerta dei servizi assistenziali locali, il panorama appare disomogeneo. Solo il 68,4% dei Comuni fornisce assistenza domiciliare socio-assistenziale, appena il 33,2% eroga servizi integrati con il sistema sanitario (ADI), e il 59,9% offre sostegni economici indiretti, quali voucher o assegni di cura. Dati che evidenziano senz’altro un’applicazione “a macchia di leopardo” delle misure minime essenziali, spesso senza integrazione con i percorsi sanitari, educativi e lavorativi.

Serve urgentemente un cambio di passo!
L’Italia ha recentemente approvato il Decreto Legislativo 62/24, che ridefinisce i criteri per l’accertamento della condizione di disabilità e introduce il Progetto di Vita personalizzato, in attuazione della Legge Delega 227/21 in materia di disabilità. Si tratta di un passo importante, che allinea l’ordinamento nazionale ai princìpi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ma per evitare che resti un esercizio formale, serve un investimento strutturale, un cambio di paradigma e soprattutto una regia unitaria tra Stato, Regioni e Comuni. Perché aumentare la spesa è necessario, ma non basta. Se non si agisce sulla qualità, sull’universalità e sulla coerenza delle politiche, i numeri restano vuoti. E i diritti, ancora una volta, rischiano di essere tali solo sulla carta.

*Presidente della FISH (Federazione Italiana per i Diritti delle Persone con Disabilità e Famiglie), consigliere del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro).

Share the Post: