Le persone con disabilità durante le guerre

di Giampiero Griffo*
L’estrema violazione dei diritti umani che evidenzia ogni guerra si accompagna alla produzione di condizioni di disabilità in un quarto della popolazione ferita. Le cronache delle guerre, però, non si occupano delle condizioni di queste persone e da qui vi è la necessità di informazioni sull’orrore che esse stanno vivendo. Nel presente approfondimento, Giampiero Griffo analizza la situazione presente in Ucraina e nella Striscia di Gaza
Persone con e senza disabilità dell'Ucraina (©Yuliia Yurasova | Dreamstime.com)
Secondo stime al ribasso, oscillerebbero tra i 350.000 e i 500.000 il numero di ucraini feriti a cauusa della guerra e gli epsrti ritengono che circa il 25% di essi avrà una limitazione funzionale permanente (da 87.500 a 125.000 persone) (foto ©Yuliia Yurasova | Dreamstime.com)

Negli ultimi anni il tema delle guerre nel mondo è presente praticamente tutti i giorni sulle pagine di giornali e nei servizi televisivi e radiofonici. Oggi sono 56 i conflitti armati nel mondo, con il coinvolgimento di 92 Paesi.
L’esperienza della guerra produce per tutti uno sconvolgimento della vita quotidiana, la cancellazione di comportamenti etici e morali, la distruzione di città e dello sviluppo umano. Ormai le guerre – a partire dal primo conflitto mondiale – producono più morti e feriti tra la popolazione civile piuttosto che su quella militare. La stessa evoluzione delle armi – in particolare i droni e i bombardamenti aerei – ha ridotto la consapevolezza della morte causata ad altre persone.
L’estrema violazione dei diritti umani che evidenzia la guerra si accompagna alla produzione di condizioni di disabilità in un quarto della popolazione ferita. Le cronache delle guerre purtroppo non si occupano delle condizioni di queste persone e da qui vi è la necessità di informazioni sull’orrore che stanno vivendo. Nel presente approfondimento, dunque, analizzeremo le due guerre su cui abbiamo le maggiori informazioni.

Guerra di invasione della Federazione Russa in Ucraina
L’invasione della Federazione Russa all’Ucraina è del febbraio 2022. La catastrofe umanitaria che l’occupazione del Paese da parte dell’esercito russo sta producendo comportamenti che ricordano le guerre medievali, crudeli e sanguinose, dove non c’erano regole da rispettare, ma solo la barbarie di azioni che possono configurarsi come crimini di guerra. Assediare le città, sparare sui palazzi residenziali, sugli ospedali, sulle scuole, su cittadini inermi, pensavamo non potesse capitare se non, come viene detto per salvarsi la coscienza, come “danni collaterali”. Invece è apparso chiaro, specie nei tempi più recenti, che colpire le infrastrutture civili e le stesse popolazioni inermi è una strategia deliberata per fiaccare il morale della resistenza ucraina, come organizzare fosse comuni dove seppellire gli ucraini uccisi o rapire centinaia di bambini e trasferirli in Russia per “russofizzarli”.
Secondo la IOM, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, al 17 aprile 2022 si stimava che oltre 7,7 milioni di persone fossero sfollate internamente in Ucraina dal 24 febbraio 2022, tra cui molte delle 2,7 milioni di persone con disabilità. Ricordiamo che in Ucraina, secondo l’ultimo censimento, vivevano 3 milioni di persone con disabilità. Inoltre, si stima che circa 12 milioni di persone siano bloccate o impossibilitate a lasciare le aree colpite dai combattimenti (BBC, 2022); molte di queste sono persone con disabilità, che non hanno potuto evacuare o riparare in rifugi fuori dai propri territori a causa della mancanza di accessibilità, comunicazioni, trasporti e rifugi (IDA-International Disability Association, 2022). In Ucraina queste persone, soprattutto i minori, vivono spesso in istituti, eredità del modello sovietico di servizi sociali (basta leggere il libro di Rubén Gallego Bianco su nero, per conoscerne le terribili forme organizzative) e hanno avuto molte difficoltà a fuggire. Le persone con disabilità hanno inoltre maggiori probabilità di rimanere nei loro villaggi, paesi e città d’origine anche durante il conflitto (Mercy Corps, 2022), con protezioni che si riducono solo alla propria famiglia.
L’ultimo dato dello IOM riporta 3,8 milioni di sfollati internamente (2025) e 4,1 milioni ritornati nei luoghi di origine. Purtroppo, però, non hanno la possibilità di avvalersi dei servizi sanitari e sociali esistenti prima della guerra.
Le stime certe per altro non ci sono, ma secondo le proiezioni possibili, il numero di ucraini feriti a causa della guerra, secondo fonti francesi, britanniche e statunitensi, oscilla tra i 350.000 e i 500.000 (stime al ribasso). Alcune proiezioni degli esperti valutano che circa il 25% dei feriti avrà una limitazione funzionale permanente (da 87.500 a 125.000 persone).

Il trattamento delle persone con disabilità sfollate raramente è uguale a quello delle altre persone, che già vivono estremi disagi. Infatti i sistemi di protezione civile non hanno adeguate competenze, non vengono raccolti dati sulla consistenza di questa popolazione e men che mai se ne conoscono le necessità.
La pagina sull’Ucraina dell’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, mostra, ad aprile 2025, che più di 70.000 persone e le loro famiglie espatriate hanno ricevuto supporto tramite servizi diretti in Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Moldavia, Romania e Slovacchia. Oltre il 51% di queste persone sono persone con disabilità e il 13% bambini. Il ruolo dell’EDF è stato quello di orientare i servizi di accoglienza nei Paesi che ospitavano gli sfollati, in modo da garantire il rispetto dei diritti umani, come indicato dall’articolo 11 (Situazioni di rischio ed emergenze umanitarie) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Questo è avvenuto nel campo degli aiuti umanitari (compresi denaro contante per le prime esigenze, vari dispositivi di assistenza, trasporti, cibo, igiene e medicinali, nonché servizi medici e riabilitativi).
Anche altre Associazioni internazionali, come ad esempio CBM, e donatori, sono intervenuti (Canada, Francia, Germania ecc.), mentre il sistema di protezione civile italiano, impegnato ad accogliere gli sfollati ucraini, ha evidenziato le stesse carenze prima menzionate: assenza di raccolta dati sulle persone con disabilità, mancanza di competenze sul tema, difficoltà ad offrire adeguati interventi protettivi rispettosi dei diritti umani. A tali carenze hanno supplito solo parzialmente le Associazioni italiane di persone con disabilità e familiari e i cittadini ucraini che vivevano nel nostro Paese.

Di recente, durante la conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina, tenutasi a Roma nel luglio scorso, l’EDF, insieme al FID (Forum Italiano sulla Disabilità) e alle Associazioni ucraine, ha chiesto all’Italia, organizzatore della conferenza, e agli altri donatori, di impegnarsi per una ricostruzione che garantisca l’accessibilità alle persone con disabilità [se ne legga già ampiamente anche sulle nostre pagine N.d.R.], rispettando la Strategia nazionale del governo di Kiev di creare un ambiente senza barriere in Ucraina per il 2030. Infatti, anche la ricostruzione riguarda le persone con disabilità.

Mustafa Nasr, Gaza, 2025
L’undicenne palestinese Mustafa Nasr ha subìto l’amputazione di entrambe le gambe a causa di un attacco aereo israeliano che ha preso di mira la casa della sua famiglia a Gaza (©Omar Ashtawy\APA)

Guerra di Israele nella Striscia di Gaza in Palestina
In risposta all’attacco di Hamas ad Israele del 7 ottobre 2023, che causò 1.182 morti, più di 4.000 feriti e mutilati, e la cattura di 251 ostaggi israeliani, il governo israeliano di Netanyahu ha attuato un’invasione della Striscia di Gaza, con l’obiettivo di distruggere l’organizzazione di Hamas. Questo ha causato quasi 62.000 morti tra i civili, tra cui circa 20.000 bambini, e più di 100.000 feriti.
La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza viene ormai descritta come una carneficina, una catastrofe umanitaria, come una carestia per tutta la popolazione. Utilizzare la fame come strumento per costringere i gazawi ad abbandonare i propri territori di vita si configura quindi come un genocidio, utilizzando lo stesso strumento che i nazisti applicavano allo sterminio degli ebrei. Una parte crescente dei cittadini di Israele se ne sta rendendo conto, portando ad un aumento del dissenso nei confronti delle politiche del governo di Netanyahu addirittura all’interno dell’esercito. Bisogna anche tener presente, tra l’altro, che il capo del governo israeliano è soggetto ad un’inchiesta per corruzione che non va avanti finché la guerra continua.
Le immagini che arrivano dalla Striscia di Gaza mostrano paesi totalmente in rovina, distruzione di qualsiasi servizio pubblico, la gran parte degli ospedali non operativi o perché bombardati, o perché privi di medicinali o di carburanti per far funzionare i servizi essenziali. Gli unici ricoveri possibili ormai sono le tendopoli. Ma cosa significa vivere in agglomerati simili? Primo non avere condizioni climatiche di vita accettabili in piena estate (estremamente calda di giorno e freddissima di notte); poi non poter usufruire di bagni, men che mai accessibili; vivere in condizioni igieniche estreme (la mancanza di acqua per potersi lavare, ma anche per bere, anche perché gli impianti di de-salinazione dell’acqua di mare sono quasi tutti inattivi); l’impossibilità di avere un’attenzione competente e adeguata dai servizi umanitari.
I documenti internazionali e le soluzioni pratiche in materia vi sono, ma non vengono applicati alla popolazione con disabilità: la prima condizione per realizzarli, infatti, sarebbe conoscere dove vivono le persone con disabilità e le loro famiglie per approntare un’assistenza personalizzata. Purtroppo la popolazione palestinese di Gaza spesso è costretta a spostarsi a causa degli ordini dell’esercito israeliano, con la conseguente impossibilità ad identificare il loro luogo di vita provvisoria. E la distribuzione attuale degli aiuti umanitari è assolutamente insufficiente a coprire i fabbisogni essenziali (dovrebbero entrare a Gaza almeno 600 tir al giorno, ma viene riportato dalle agenzie internazionali che ne entrano solo poche decine).
Il numero di morti durante le file per accedere al cibo e all’acqua ammontano a 1.760 in 2 mesi (dati dell’ONU). L’American Humanitarian Foundation, unica organizzazione competente a fornire gli aiuti umanitari a Gaza, creata nel febbraio di quest’anno, non ha programmi specifici per prestare l’attenzione necessaria per assistere la popolazione con disabilità palestinese. Questo significa che l’accesso all’acqua e al cibo non viene distribuito in modo equo a questa popolazione, come succedeva invece con la gestione delle Agenzie dell’ONU. E la distribuzione di aiuti umanitari dal cielo, su cui si vedono impegnati vari Paesi, tra cui l’Italia, purtroppo non arriva alla popolazione con disabilità e rappresenta un’azione molto limitata all’interno del fabbisogno umanitario complessivo (circa 1-2% delle necessita giornaliere).

Un altro elemento che contribuisce alla violazione sistematica dei diritti umani è l’impossibilità di garantire le attività educative nelle scuole e nelle università a Gaza, anch’esse bombardate dall’esercito di Israele. L’impoverimento educativo che colpisce una generazione di studenti – poco evidenziato dalla stampa – è un ulteriore tassello della violenza contro il popolo palestinese, notoriamente tra i più educati di tutto il Medio Oriente. Questo gap educativo farà sentire nel futuro tutto il suo peso negativo in termini di capacità e competenze. Tanto più che nell’agosto 2023, con il progetto TEAM di EducAid, finanziato dall’AICS (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo), io stesso avevo incontrato – come esperto della RIDS (Rete Italiana Disabilità e Sviluppo), partner del progetto – gli esponenti del Ministero dell’Educazione della Striscia di Gaza, per introdurre le nuove tecnologie nelle scuole, allo scopo di produrre innovazione nelle formazioni sia in presenza che a distanza. Progetto oggi cancellato.
Ricordo ancora che a Gaza City, proprio la cooperazione italiana aveva finanziato vari progetti ad EducAid e RIDS che prima avevano formato decine di peer counsellor (“consulenti alla pari”) sia a Gaza che in Cisgiordania, che poi avevano creato e gestito un Centro per la Vita Indipendente proprio a Gaza City, intitolato a Rita Barbuto, che aveva contribuito alla loro formazione [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.]. Quel Centro, il primo in tutta l’area medio-orientale, gestito in prevalenza da peer counsellor, assisteva circa 1.000 famiglie e persone con disabilità, ma ormai è stato distrutto dall’invasione dell’ITF (Israel Defence Force).
Va anche ricordato che in Cisgiordania la violenza dei coloni, insediatisi illegalmente grazie all’appoggio del governo israeliano, che non rispetta le numerose risoluzioni dell’ONU contrarie all’occupazione illegittima di territori, colpisce le popolazioni palestinesi di essi, tra cui anche le persone con disabilità.

L’impegno della comunità internazionale
Nella Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n. 2475 del 20 giugno 2019, si scrive che «le parti in conflitto armato hanno la responsabilità primaria di adottare tutte le misure possibili per proteggere i civili», ricordando inoltre «che gli Stati hanno la responsabilità primaria di rispettare e garantire i diritti umani di tutte le persone all’interno del loro territorio e soggette alla loro giurisdizione, come previsto dal diritto internazionale». Mai prima d’allora il Consiglio di Sicurezza dell’ONU si era occupato di disabilità in modo specifico.
La Risoluzione esorta inoltre «tutte le parti in conflitto armato ad adottare misure, in conformità con gli obblighi di diritto internazionale applicabili, per proteggere i civili, compresi quelli con disabilità, e per prevenire la violenza e gli abusi contro i civili in situazioni di conflitto armato, compresi quelli che comportano uccisioni, mutilazioni e rapimenti. e tortura; così come lo stupro e altre forme di violenza sessuale in situazioni di conflitto e post-conflitto». Sottolinea quindi «la necessità che gli Stati pongano fine all’impunità per gli atti criminali contro i civili, compresi quelli con disabilità, e garantiscano che tali persone abbiano accesso alla giustizia e a rimedi efficaci e, se del caso, alla riparazione». E ancora, invita tutte le parti in conflitto a consentire e facilitare un accesso umanitario sicuro, tempestivo e senza ostacoli a tutte le persone bisognose di assistenza». Sottolinea «il vantaggio di fornire assistenza sostenibile, tempestiva, adeguata, inclusiva e accessibile ai civili con disabilità colpiti da conflitti armati, compresi il reinserimento, la riabilitazione e il sostegno psicosociale, per garantire che le loro esigenze specifiche siano affrontate in modo efficace, in particolare quelle delle donne e dei bambini». Incoraggia quindi gli Stati Membri «ad adottare misure adeguate per garantire che le persone con disabilità abbiano accesso su base di uguaglianza con gli altri ai servizi di base forniti nel contesto di un conflitto armato, compresi l’istruzione, i servizi sanitari, i trasporti e le tecnologie e i sistemi di informazione e comunicazione». Esorta gli Stati Membri «a consentire una partecipazione e una rappresentanza significative delle persone con disabilità», sottolineando «l’importanza dello sviluppo delle capacità e della conoscenza dei diritti e dei bisogni specifici delle persone con disabilità tra gli attori del mantenimento e della costruzione della pace delle Nazioni Unite», esortando gli Stati Membri «a svolgere un ruolo centrale a questo riguardo». Esorta ancora gli stessi Stati Membri «ad adottare tutte le misure appropriate per eliminare la discriminazione e l’emarginazione delle persone sulla base della disabilità in situazioni di conflitto armato, in particolare di coloro che si trovano ad affrontare forme molteplici e interconnesse di discriminazione». Richiede al Segretario Generale delle Nazioni Unite «di includere, ove pertinente, informazioni e relative raccomandazioni su questioni rilevanti per le persone con disabilità, nel contesto del conflitto armato, nei rapporti tematici e geografici e nei briefing periodici al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nonché di includere, ove pertinente, dati disaggregati per disabilità nell’àmbito dei mandati esistenti e delle risorse esistenti». Riconosce poi «l’importanza delle interazioni tra la società civile e il Consiglio e, a questo proposito, esprime la sua intenzione di invitare le persone con disabilità, comprese le loro organizzazioni rappresentative, a informare il Consiglio di Sicurezza nelle aree tematiche e geografiche pertinenti e a prendere in considerazione l’inclusione di incontri interattivi con i rappresentanti locali delle persone con disabilità e con le loro organizzazioni rappresentative sul campo durante le missioni del Consiglio stesso». Esorta infine gli Stati «a rispettare gli obblighi loro applicabili ai sensi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità».
Non tutti i componenti del Consiglio hanno accettato senza riserve quanto scritto in tale Risoluzione. In particolare il rappresentante della Russia – ma anche quelli di Cina e Gran Bretagna -, pur concordando con i princìpi umanitari del documento, hanno voluto sottolineare che alcune delle disposizioni da esso previste “scavalcherebbero” il mandato del Consiglio di Sicurezza.

La Risoluzione impegna dunque gli Stati a definire nelle regole di ingaggio dei militari (Marina, Aviazione, Esercito) il rispetto dei principi da essa elencati. Purtroppo le nuove tipologie di guerra, con bombardamenti ed uso massiccio di droni, e il diffuso ricorso ai contractors – soldati di ventura che attraverso un contratto di collaborazione con uno Stato combattono al posto di militari regolari, con proprie regole di condotta spesso lontane da princìpi etici -, rende la Risoluzione solo parzialmente praticabile.
Va qui ricordato che nel punto u) del Preambolo alla Convenzione Onu sui Diritti delle Persone con Disabilità si sottolinea la responsabilità di tutelare i diritti umani delle persone con disabilità anche nei territori occupati da Paesi stranieri, come in Palestina da parte del governo israeliano.

Anche sul tema degli interventi di emergenza e umanitari siamo lontani da una situazione accettabile. Il già citato articolo 11 (Situazioni di rischio ed emergenze umanitarie) della Convenzione ONU obbliga gli Stati che l’hanno ratificata ad adottare «tutte le misure necessarie per garantire la protezione e la sicurezza delle persone con disabilità in situazioni di rischio, incluse le situazioni di conflitto armato, le emergenze umanitarie e le catastrofi naturali».
Il tema della protezione e della sicurezza delle persone con disabilità è stato approfondito negli ultimi anni dal dibattito internazionale, per garantire a tali soggetti uguaglianza di opportunità e non discriminazione. La cosiddetta Carta di Verona del 2007 (Carta di Verona sul salvataggio delle persone con disabilità in caso di disastri) è stato il primo documento a definire i princìpi generali su cui basare gli interventi di emergenza per queste persone. Sono poi seguiti articoli e manuali in àmbito internazionale, curati dalle organizzazioni non governative e da quelle di persone con disabilità: se ne veda a tal proposito la bibliografia contenuta in Aiuti umanitari e disabilità. Vademecum (Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Roma, 2015), pubblicato dalla Cooperazione Italiana allo Sviluppo, primo documento organico di un Governo in materia.
Anche le Nazioni Unite hanno licenziato una serie di documenti sul tema degli aiuti umanitari e degli interventi di emergenza: il Sendai Framework for Disaster Risk Reduction del 2015 e la Charter of Istanbul on Inclusion of Persons with Disabilities in Humanitarian Action del 2016. In base a quest’ultima, nel mese di luglio del 2019 un gruppo di lavoro dello IASC (Interagency Standard Committee, il principale meccanismo delle Nazioni Unite per il coordinamento tra le Agenzie di Assistenza Umanitaria, foro unico che coinvolge i partner chiave dell’ONU e di altri Enti Governativi e della Società Civile, costituito nel giugno 1992, sulla base della Risoluzione 46/182 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite) ha emanato le Guidelines for Inclusion of Persons with Disabilities in Humanitarian Activities, dopo un lavoro di due anni che ha coinvolto i maggiori esperti nel campo, tra cui, per l’Italia, anche un rappresentante della RIDS, delegato dall’AICS.
Il filo rosso di tutti questi documenti è la necessità di garantire che l’aiuto umanitario e di emergenza sia rispettoso dei diritti umani di tutti. L’approccio umanitario si fonda da sempre su un intervento rapido, sul modello dei corpi militari o delle organizzazioni caritatevoli (Esercito, Croce Rossa ecc.), con la prima azione basata sulla limitazione delle perdite, la secondo sull’idea che i beneficiari degli interventi siano inabili e bisognosi unicamente di assistenza, quasi solo sanitaria. Si parla, inoltre, di un intervento a due tempi, nel primo dei quali vanno garantiti gli elementi essenziali per il salvataggio e la prima accoglienza (cibo, salute e un luogo di ricovero), mentre solo in un secondo momento si cerca di garantire altri bisogni ritenuti “speciali”. Tali modalità, pertanto, non tengono conto delle persone con disabilità che vivono tra un tempo e l’altro fortissime violazioni di diritti umani. Sarebbe invece necessario garantire da subito i diritti delle persone con disabilità (accessibilità, partecipazione, attenzione ai bisogni personalizzati).
La prevenzione e la riduzione dei rischi derivanti da guerre devono essere basate su approcci multirischio e multisettoriali, inclusivi e accessibili in termini di efficienza e di efficacia. A tal proposito i documenti internazionali consigliano ai Governi di coinvolgere e impegnare le comunità e i più importanti attori di esse, tra cui donne, bambini e giovani, persone con disabilità, anziani, volontari, nella progettazione delle politiche, dei piani e degli standard, in una parola nella capacità di resilienza. Inoltre, tutta la società deve agire come “partner impegnata”, con una partecipazione basata sull’empowerment [crescita dell’autoconsapevolezza, N.d.R.] e sull’inclusione, sull’accessibilità e sulla non-discriminazione, prestando speciale attenzione alle persone colpite in maniera sproporzionata dai disastri, specialmente le fasce più povere della popolazione.
In tutte le fasi emergenziali vanno considerati il genere, l’età, la disabilità e le culture locali; deve inoltre essere promossa la partecipazione di donne e giovani, coinvolgendo e rafforzando le Associazioni che rappresentano le persone con disabilità e le loro famiglie.
Anche l’Unione Europea e il Consiglio d’Europa sono intervenuti sul tema dell’emergenza inclusiva delle persone con disabilità: il Consiglio, dopo una serie di consultazioni con gli attori del settore, nel 2016 ha definito un manuale specifico come contributo del programma EUR-OPA; l’Unione ha emanato il Consenso europeo sull’aiuto umanitario, e ancora, dal Consiglio sono arrivate le Conclusions on Disability Inclusive Disaster Management, e dalla Commissione, più recentemente (2019) la guida operativa The Inclusion of Persons with Disabilities in EU-funded Humanitarian Aid Operations, con la messa in campo, successivamente, della ben nota Strategia Europea per i Diritti delle Persone con Disabilità 2021-2030, che si occupa anche delle attività relative agli aiuti umanitari e di emergenza.

Purtroppo siamo ancora lontani da una capacità di intervento dei sistemi di protezione civile nazionali e internazionali di garantire eguaglianza di opportunità e non discriminazione. Una ricerca dell’EDF, prodotta nel 2022 e relativa a 55 Paesi europei e asiatici censiti, ha mostrato che solo 5 Paesi includono interventi dedicati alle persone con disabilità nella legislazione in materia di emergenza. E solo 2 Paesi coinvolgono le Associazioni di persone con disabilità nella progettazione e nella gestione delle emergenze, vale a dire la Serbia e l’Italia. Peccato che in Italia questo avvenga solo per il Consiglio Nazionale dei Vigili del Fuoco, ma non per la Protezione Civile Nazionale. Va tuttavia segnalato che alcune Protezioni Civili Regionali collaborano con le Associazioni di persone con disabilità, come accade ad esempio in Calabria.

*Membro del Consiglio Mondiale di DPI (Disabled Peoples’ International).

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