Nel bel film del 1981 di Peter Weir gli “anni spezzati” sono quelli della giovinezza dei protagonisti, che si infrangono sulle difese turche di Gallipoli (1914). Nelle nostre vite di “genitori con disabilità” (disabilità dei nostri figli, non nostra), gli anni spezzati sono invece quelli della nostra vita. Spezzati da un destino crudele che ci ha colpito nella cosa più cara (la salute dei nostri figli), segnando un solco insormontabile tra il prima e il dopo.
Così come in Europa nulla fu più uguale a prima – una volta passata la Grande Guerra – anche nelle nostre esistenze tutto è cambiato da quel giorno fatale della scoperta o della diagnosi della disabilità, anche se oggi quasi non ce ne ricordiamo. Non ci ricordiamo quasi che vi sia stato un “prima”, che eravamo persone senza problemi irrisolvibili, senza angosce notturne, senza il terrore del tempo che passa.
Come “vecchi soldati” (“i vecchi soldati non muoiono mai”), ci chiediamo ora come abbiamo fatto a sopravvivere a tanti dolori e a tante fatiche. La risposta è semplice e la conosciamo perfettamente: siamo sopravvissuti perché ne valeva la pena.
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