L’approvazione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite della Convenzione Internazionale sui Diritti delle Persone con Disabilità, avvenuta il 13 dicembre 2006, rappresenta la conclusione di un lungo cammino volto alla riaffermazione – effettuata anche nel corso della Conferenza di Vienna delle Nazioni Unite sui Diritti Umani del 25 giugno 1993 – del principio dell’«universalità, indivisibilità, interdipendenza e interrelazione di tutti i diritti umani».
Ma prima di fare qualche breve cenno sul contenuto di questo importante documento – che secondo l’articolo 45 di esso, entrerà in vigore trenta giorni dopo il deposito del ventesimo strumento di ratifica o di adesione e che risulta corredato da un Protocollo Opzionale volto a prevedere un sistema di controllo, sulla falsariga di altri atti internazionali in materia di diritti umani – vale la pena ricordare, sia pure brevemente, che l’idea di una convenzione mondiale diretta ad affermare i diritti delle persone con disabilità, fornita di efficacia vincolante, cioè obbligatoria per gli Stati, va riconosciuta in primo luogo all’Italia.
Spero che i lettori scuseranno i pochi riferimenti personali che seguiranno, finalizzati per altro solo a rivendicare il ruolo giocato dal nostro Paese in questo settore.
I miei ricordi mi conducono all’ormai lontano 1987, allorché il governo italiano, che a quell’epoca mi utilizzava come negoziatore per la Convenzione sui Diritti del Fanciullo (i cui negoziati si conclusero nel 1989), mi inviò ad una riunione delle Nazioni Unite a Bled, presso Lubiana – nell’allora Stato Jugoslavo – proponendomi di lanciare una proposta “nuova” in materia di diritti umani, che garantisse un’attenzione verso l’Italia da parte degli altri Stati.
Dopo una rapida ricognizione sulla materia e constatato che ormai esistevano o stavano per esistere molti atti vincolanti sulle donne, i minori, i migranti ecc., proposi dunque di “lanciare” una convenzione relativa alle persone con disabilità che sul piano della politica internazionale, ancora caratterizzata dalla “guerra fredda”, potesse catalizzare l’attenzione degli Stati appartenenti ai due blocchi per il suo alto “carattere umanitario”.
La proposta fu approvata dal Ministero degli Affari Esteri italiano che mi autorizzò a renderla pubblica in sede ONU e, una volta avvenuto ciò, a predisporre, in qualità di coordinatore, un progetto di convenzione da depositare alle Nazioni Unite, con i funzionari dei vari ministeri interessati.
Il successo ottenuto inizialmente si attenuò di fronte alle perplessità manifestate dagli Stati – specie quelli più poveri – timorosi di non essere in grado di garantire alle persone con disabilità, per ragioni finanziarie, l’esercizio concreto dei diritti in materia di istruzione, salute e lavoro.
Si ripiegò dunque su un atto internazionale non obbligatorio, come le Regole Standard sulle Pari Opportunità delle Persone con Disabilità, approvate a New York il 20 dicembre 1993, ai cui negoziati fui nuovamente inviata in rappresentanza dell’Italia.
Appare dunque chiaro il ruolo assolutamente positivo giocato dall’Italia, sin dagli anni in cui l’attuale Convenzione era ancora soltanto una grande idea.
Quanto al contenuto del documento – già analizzato più volte anche su queste colonne – ritengo opportuno segnalare la particolare importanza, tra gli altri, degli articoli sull’uguaglianza e la non-discriminazione (5); sulle donne e i bambini con disabilità (6 e 7); sull’accessibilità (9); sul diritto alla vita (10); sull’uguaglianza di fronte alla legge (12) e l’accesso alla giustizia (13); sull’integrità della persona (17); sulla vita indipendente e la possibile inclusione nella comunità (19); sull’istruzione (24); sulla salute (25) e sulla riabilitazione (26); sul lavoro (27); sull’adeguato standard di vita e protezione sociale (28); sulla partecipazione alla vita pubblica e politica (29), alla vita culturale, al tempo libero e allo sport (30).
Il sistema di monitoraggio è assicurato a livello internazionale da un Comitato per i Diritti delle persone con Disabilità che potrà consistere di diciotto membri nel periodo in cui la Convenzione giungerà a pieno regime.
A questo punto vale la pena di concludere con due osservazioni:
1) tale Convenzione costituisce il primo atto internazionale obbligatorio del XXI secolo in materia di diritti umani, così come è stato definito dalle Nazioni Unite;
2) la stessa Convenzione va ad integrarsi con gli altri atti internazionali concernenti i diritti umani, già esistenti, che sono applicabili ovviamente alle persone con disabilità, avendo lo scopo di evidenziarne la particolare situazione, di fornire loro maggiore tutela e di migliorare le loro condizioni di vita in qualunque parte del mondo.
*Professore ordinario di Diritto Internazionale e già direttore del Master in Tutela internazionale dei Diritti Umani all’Università La Sapienza di Roma. Delegato per l’Italia alla quarantaduesima Sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Giudice della Corte Costituzionale.
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