Comportamenti che cancellano l’handicap

di Tiziana Treccani
Lo è, ad esempio, quello di un’autista di autobus, che saluta una donna in carrozzina, le apre con accortezza la pedana e la fa tranquillamente salire sul mezzo. Comportamenti da prendere ad esempio e da raccontare anche nelle scuole, per spiegare la stessa differenza che passa tra il deficit e l’handicap
Persona in carrozzina sale in un autobus tramite una rampa
Come cancellare l’handicap!

Sono ormai anni che giro per le scuole di ogni ordine e grado della mia Provincia [Brescia, N.d.R.], dalla scuola d’infanzia alle superiori. I miei interventi rientrano nel Progetto Calamaio – Incontri con la diversità, di cui sono uno degli animatori-educatori diversabile. In questi incontri proponiamo agli studenti di fare esperienza della diversità, attraverso il contatto diretto con persone diversabili. Successivamente, stimoliamo una riflessione critica sulla diversità che conduce alla scoperta che essa appartiene a ciascuno di noi; ci attraversa.
Ognuno è diverso, per sesso, stato sociale, Paese di provenienza, gusti, famiglia di provenienza, religione, caratteristiche fisiche ecc. È così che la parola – e non solo la parola – diversità può spogliarsi della connotazione di paura che spessissimo porta con sé, per diventare elemento di novità e arricchimento.

Ma la presenza dell’animatore diversabile, che svela parti di sé e della propria vita, serve anche ad imparare a discernere tra il concetto di deficit e quello di handicap. Invalido, disabile, diversabile, handicappato, persona con deficit, sono tutti termini che nel linguaggio comune vengono spesso utilizzati indifferentemente per indicare una stessa cosa.
In realtà, il deficit designa una menomazione, un’imperfezione, una realtà stabile, immodificabile o riducibile solo in parte; occorre imparare ad accettarlo e a conviverci. L’handicap, invece, indica lo svantaggio, la difficoltà che deriva dal deficit ed è, in buona parte, un prodotto sociale. Molto, quindi, può essere fatto per ridurlo o attenuarlo, sia sul piano psicologico, che sociale e culturale.
Di solito, questo che è un concetto astratto, lo rendiamo concreto ipotizzando di mettere la persona in carozzina davanti a una scala, una rampa, un ascensore. Nel primo caso l’handicap è rilevante, negli altri scompare.

Credo che in futuro – per esprimere questo concetto agli studenti – porterò un altro esempio. Racconterò loro quello che mi è capitato qualche giorno fa, quando con la mia carrozzina ho avuto bisogno di usare l’autobus. Quando quest’ultimo è arrivato, la persona che era con me è corsa a chiedere all’autista di farmi salire. La risposta è stata che il mezzo non era dotato di pedana e quindi è ripartito lasciandomi a terra allibita e arrabbiata, con la solidarietà delle altre persone che, come me, avevano visto che invece la pedana c’era!
Ho deciso, quindi, di usare un’altra linea, sperando di arrivare in tempo per la visita che avevo prenotato agli Spedali Civili di Brescia. Questa volta l’autista ha aperto la pedana e l’ha fatta ricadere sul marciapiedi con un colpo che mi ha fatto pensare: «Speriamo che non si sia rotta! Comunque un po’ di colpi così… e addio pedana!».
Il ritorno l’ho fatto con la linea precedente, quella dove mi avevano lasciata a terra. Questa volta l’autista (una donna), mi ha salutata, ha aperto con accortezza la pedana e mi ha fatta salire. Giunta a destinazione, con la stessa cura mi ha fatta scendere. L’ho ringraziata, e le ho augurato una buona giornata. Lei non sa che il suo comportamento ha cancellato il mio handicap! Chissà se la collaborazione e la cortesia diventeranno un giorno patrimonio comune di tutti gli addetti al trasporto pubblico.

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