Una notte da “carcerata con disabilità”

a cura di Simone Fanti*
«È vero - scrive una giovane con disabilità, detenuta per una notte in un carcere ben lontano da qualsiasi concetto di accessibilità - ho sbagliato e devo pagare, ma il problema del trattamento dei disabili in carcere c’è, e non viene mai preso in considerazione da nessuno. Si tratta pur sempre di esseri umani e di persone con specifiche necessità, che non possono essere “prese e buttate” in strutture non adeguate, solo perché hanno commesso dei reati»

Cella vuota di un carcereCarceri italiane sovraffollate, vecchie, carenti… non è una novità. E tra gli oltre 66.000 ospiti delle strutture penitenziarie ci sono anche 78 persone con disabilità (fonte: Ministero della Giustizia, aggiornamento al 15 ottobre 2012). Solo due le donne. Sempre stando ai dati del Ministero, la disponibilità di celle attrezzate copre fino a 98 persone (compresi i non autosufficienti), suddivise in 19 istituti di detenzione.
Detto così, sembra che il modello italiano funzioni. Ma solo sulla carta. Perché, ad esempio, non tutti i commissariati delle forze dell’ordine sono accessibili. Difficile accedervi per fare qualche denuncia, difficile trascorrervi la notte se si delinque.
La vicenda che raccontiamo è accaduta a Roma qualche settimana fa. Anzi, la racconta direttamente una ragazza con disabilità arrestata qualche settimana fa. Niente nomi, ovviamente, d’intesa con la ragazza, solo la storia. E qualche riflessione preventiva. Il tema non è quello della cannabis terapeutica, che in qualche Regione è in fase di sperimentazione, ma proprio quello riguardante le carceri e la disabilità.

«Ho 25 anni e sono nata disabile: sono nata con una neoplasia scheletrica, l’emimelia bilaterale agli arti inferiori (per intenderci lo stesso problema di Oscar Pistorius). Fortunatamente, sia per il buonsenso dei miei familiari, sia per la competenza di certi medici, sono riuscita, attraverso molti dolorosi interventi (il primo a 14 mesi), a recuperare le mie “zampette” e a poter camminare. Dopo una pausa nella fase adolescenziale, da circa due anni ho cominciato nuovamente un ciclo di interventi e quindi mi sono ritrovata a dover stampellare.
Scrivo perché sono indignata e arrabbiata e vorrei che questo fatto venisse alla luce, perché è davvero una vergogna. Si parla di carceri sporche, sovraffollate, ma non del fatto che siano inaccessibili.
Ebbene sì, sono stata, per una notte, una “carcerata con disabilità”. Sono stata arrestata per detenzione di stupefacenti. Il medico per i dolori mi dava Tachidol e Valium e io tra i due farmaci ho scelto la cannabis… può non essere una posizione condivisa, ovviamente, però è la sostanza con cui mi sono trovata meglio nel rapporto benefici-effetti collaterali.
Non voglio nascondermi dietro la disabilità per evitare di essere sanzionata, ma avrei voluto che si tenesse conto delle mie condizioni, cosa che non è stata fatta. Ho passato una notte in una cella sporca e maleodorante, e questo nonostante la gamba fosse ingabbiata da un fissatore esterno circolare Ilizarov: avevo delle ferite aperte. La situazione igienica era tale che la mattina dopo il Maresciallo mi ha detto di ringraziarlo di non avermi mandato nelle infermerie del carcere, perché sono molto più sporche.
Mi sono state tolte le scarpe, per via dei lacci, e mi avrebbero portato via anche le stampelle e l’elastico della tuta se non avessi protestato. L’unico bagno disponibile era quello alla turca e ho dovuto discutere non poco per poter utilizzare l’unico con il water di tutta la caserma, sempre diligentemente accompagnata da tre piantoni, casomai decidessi di mettermi a correre per scappare. Ovviamente con le stampelle…
Il giorno dopo mi hanno rimesso in cella di sicurezza in attesa del processo, lontana dal gabbiotto dei piantoni e quando li chiamavo per qualche necessità, sentivo che ridevano e mi ignoravano, fingendo di non sentire le mie grida. Come se non bastasse, la mattina dopo – durante il processo per direttissima – sono stata umiliata fortemente per la mia disabilità… dal giudice e dal pubblico ministero, che mi hanno denigrato perché in queste condizioni non mi è possibile lavorare (o meglio, non trovo lavoro da nessuna parte, anche se lo desidero molto).
Figurarsi se hanno prestato attenzione alle mie rimostranze, come il fatto che non esistevano bagni per disabili nelle strutture in cui mi hanno detenuta. Mi è stato detto che sono in torto e che se mi sono ritrovata in quella situazione è solo colpa mia. È vero, ho sbagliato e devo pagare, ma a questo punto mi pongo il problema del trattamento dei disabili in carcere, che c’è, è estremamente sommerso e non viene mai preso in considerazione da nessuno. Si tratta pur sempre di esseri umani e di persone con specifiche necessità che non possono essere “prese e buttate” in strutture non adeguate, solo perché hanno commesso dei reati. Mi vergogno un po’ a raccontare questa cosa, ma è un problema serio e non penso che vada sottovalutato, anche se mi rendo conto della sua estrema complessità».

Il presente testo, qui riproposto con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, è stato pubblicato da “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Sono finita in un carcere… inaccessibile”.Viene qui ripreso per gentile concessione dell’Autore e del blog.

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