Un cambiamento culturale forte

di Franco Bomprezzi*
«A Milano - scrive Franco Bomprezzi, commentando la soluzione trovata nel Museo del Castello Sforzesco, per garantire a tutti la visibilità della “Pietà Rondanini” di Michelangelo - non ci si è limitati a immaginare una soluzione pasticciata, ma si è invece totalmente ripensata la collocazione del capolavoro». E questo è decisamente il segno di un cambiamento culturale forte, dall’alto valore simbolico
Particolare della "Pietà Rondanini" di Michelangelo a Milano
Particolare della “Pietà Rondanini” di Michelangelo, nel Museo del Castello Sforzesco di Milano (foto di Giovanni Dall’Orto)

Chi scrive aveva protestato vivacemente, pochi mesi fa, con l’assessore ai Beni Culturali del Comune di Milano, Stefano Boeri, dopo avere visitato, da turista, il Museo del Castello Sforzesco, un luogo magico, incredibilmente pieno di testimonianze artistiche del passato, ma anche pieno di piccole e grandi barriere per chi, come me, si muove in sedia a rotelle. E la delusione più cocente era stata quella di non potervi vedere – se non compiendo un giro esterno complicato e quanto mai emarginante – la Pietà Rondanini, il capolavoro incompiuto di Michelangelo, collocato ai piedi di una scala ripida.
Ebbene, né l’Assessore né la Direttrice del Museo si erano offesi o “arroccati” per le mie proteste, divenute ben presto pubbliche. Anzi. Hanno lavorato per trovare una soluzione giusta. Non era facile. Da un lato, infatti, c’era il sacrosanto diritto delle persone con disabilità a fruire delle opere d’arte (l’articolo 30 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ad esempio, impegna gli Stati aderenti a garantire «accesso a luoghi di attività culturali, come teatri, musei, cinema, biblioteche e servizi turistici, e, per quanto possibile, accesso a monumenti e siti importanti per la cultura nazionale»), dall’altro la necessità di non banalizzare la questione, perché quella collocazione, voluta negli Anni Cinquanta del secolo scorso dagli architetti che realizzarono la ristrutturazione delle sale museali, aveva una sua spiegazione forte. Lodovico Barbiano di Belgiojoso, infatti, volle allora isolare questo capolavoro, del tutto distante dalle sculture lombarde che costituiscono il cuore espositivo del Museo, ritenendo, giustamente, che si trattasse di un “unicum” e che, come tale, dovesse essere offerto alla visione dei visitatori in uno spazio esclusivo.

Si capisce così quanto il concetto di accessibilità abbia compiuto un percorso culturale enorme, in questi decenni. Belgiojoso e i suoi illustri colleghi architetti e storici dell’arte scelsero la strada della scala e della parete separante, perché non poteva loro neppure venire in mente di pensare a visitatori disabili. Per il semplice motivo che non c’erano, non si muovevano, oppure i loro spostamenti erano limitati alle cure, all’assistenza, al massimo alla scuola. L’arte non era ancora considerato un bene “per tutti”.
Lo so che può sembrare un tema minore, quasi una perdita di tempo, rispetto a temi pressanti come le condizioni di vita delle persone non autosufficienti. Ma ritengo che la dimensione della notizia che parte da Milano sia davvero enorme e abbia una portata ancora difficilmente calcolabile. In questo caso, infatti, non ci si è limitati a immaginare una soluzione pasticciata, se pur “politicamente corretta”, ma si è invece totalmente ripensata la collocazione del capolavoro, con una strepitosa intuizione che aggiungerà valore, anche turistico, all’opera incompiuta e abbozzata dal genio di Michelangelo (la storia della Pietà è affascinante e merita da sola una conoscenza più ampia). È stato scelto, a tal proposito, un salone enorme, ancora oggi spoglio e scarno, l’ex Ospedale Spagnolo, in un’altra ala del Castello, dove morivano gli appestati, rivolgendo lo sguardo, per le ultime preghiere, a una sacra rappresentazione affrescata sopra un altare, di cui rimangono le tracce, nonostante il tempo e gli interventi successivi.
L’assessore Boeri mi ha fatto visitare questo spazio da restaurare e completare in vista del trasferimento della Pietà Rondanini, qualche settimana fa, vincolandomi a fatica a un segreto, che ora si scioglie. Voleva la conferma di essere riuscito a rispondere davvero alla mia critica da turista deluso. Un’attenzione alla quale non siamo abituati, ma anche il segno di un cambiamento culturale forte, simbolico, da comunicare al mondo intero. E questa enorme sala è affascinante e dolorosa, si avverte quasi fisicamente la presenza antica del dolore e della morte. Una luce soffusa e dolce attutisce l’angoscia, ma crea sacralità attorno al punto nel quale, forse fra un anno, sarà collocata la Pietà.
E finalmente anche noi la potremo vedere da vicino, e non solo attraverso le immagini di un libro. Davvero una bella notizia.

Concordiamo decisamente con Franco Bomprezzi sul grande peso culturale di una notizia solo apparentemente minore, come quella dellintervento riguardante il Castello Sforzesco di Milano, che ci fa pensare a un’evoluzione realmente in atto, anche rispetto agli anni più recenti, ricordando ad esempio l’enorme pasticcio messo in atto a Venezia con il quarto ponte sul Canal Grande, progettato inaccessibile da Santiago Calatrava, e “rattoppato” ancor peggio, pensando di “esporre alla berlina” le persone con disabilità, in un assurdo contenitore chiamato “ovovia”… 

Direttore responsabile di Superando.it. Il presente testo, qui riproposto con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, appare anche in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Finalmente la Pietà diventa ‘Visibile’ a tutti”.

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