Qualcosa per cui combattere

a cura di Dorotea Maria Guida*
«Non arrendetevi mai e trovate sempre qualcosa per cui valga la pena combattere»: è il messaggio lanciato soprattutto ai giovani da Luca Barisonzi, in conclusione di questo nostro incontro, testimonianza forte dedicata a un giovane Caporal Maggiore degli Alpini, diventato tetraplegico dopo uno scontro a fuoco in Afghanistan, e che oggi si batte anche a fianco dell’AUS (Associazione Unità Spinale) Niguarda
Luca Barisonzi
Una bella immagine di Luca Barisonzi

Presentiamo oggi una testimonianza molto forte, quella di Luca Barisonzi, primo Caporal Maggiore del Corpo degli Alpini, ferito gravemente in Afghanistan nel gennaio 2011. La lesione midollare con la quale è tornato dalla missione è alta e severa: tetraplegia. Qui Luca, però, desidera raccontare le motivazioni del portare in alto i valori che hanno animato molti giovani a rispondere alla chiamata del proprio Paese.
«Sono nato a Voghera in provincia di Pavia – racconta -, dove ho vissuto fino a quindici anni. I pomeriggi li passavo in campagna aiutando mio zio, persona che è stata il mio mèntore e punto di riferimento per tanti anni. È stato proprio a quell’età che ho incominciato a guardarmi intorno e mi sono chiesto che cosa avrei fatto della mia vita. Pensavo al nostro Paese. Mi guardavo attorno ammirando gli immensi spazi campestri, spazi di libertà, e meditavo circa chi in passato aveva dato la vita per concedermi oggi questo lusso. Quando ragiono sulla Patria, penso proprio questo, a tutto ciò che ci circonda, alla storia di questo Paese, alla sua bellezza e a al nostro dovere di  mantenerlo così».

Luca racconta i sogni di giovane ragazzo, arruolato giovanissimo presso il Corpo degli Alpini, con la missione di servire il proprio Paese. «La missione in Afghanistan – quattro mesi e mezzo – è stata la prima che ho svolto all’estero. I momenti passati con i miei colleghi hanno trasformato il nostro rapporto: da compagni di viaggio, sono diventati fratelli. Abbiamo vissuto momenti intensi, abbiamo condiviso gioie e dolori, siamo diventati una cosa sola. Ricordo con gioia il rapporto che si era instaurato con i bambini; quando eravamo in mensa, avanzavo apposta del pane che mettevo in tasca, per darlo ai bambini quando uscivamo con i mezzi. Una “goccia nel mare” nell’ambito della missione del contingente italiano in Afghanistan, ovvero – oltre alla lotta al terrore e all’addestramento delle forze afghane – anche la distribuzione delle derrate alimentari».

Poi arrivo l’“attacco” il 18 gennaio 2011… «Svolgevamo la missione sulle colline afghane dalle quali osservavamo il territorio e garantivamo la sicurezza di Bala Morghab. Per fare ciò, collaboravamo con l’esercito afghano. Quella mattina avevo terminato il turno di guardia, ed ero vicino a Luca [Luca Sanna, altro Alpino deceduto in quel’occasione, N.d.R.]. Si era avvicinato un soldato afghano, non dubitavamo di lui e non ci insospettiva. Improvvisamente si avvicinò, alzo il suo fucile e fece fuoco. Mi accorsi subito di essere ferito e aspettavo l’aiuto di Luca che sapevo essere lì vicino, però arrivarono gli altri della squadra. Fu allora che compresi che per Luca era stata la fine».
«Ricordo poco – prosegue Barisonzi – dei primi giorni in Italia, le molte visite, la famiglia sempre accanto. La riabilitazione è un lungo processo. Prima ho dovuto accettare la situazione di tetraplegico e disabile. Poi ho iniziato a combattere per cercare di cambiarla, di renderla migliore. Ogni piccola conquista è per me una vittoria: meno dolori, più forza nello spingere la carrozzina e per muovermi con più autonomia: sono traguardi che mi danno forza per non mollare».

In un momento di commozione, fa capolino la fierezza e la forza di Luca: «Ritornerei in Afghanistan, ritornerei e rifarei tutto, con Luca Sanna. Adesso sono in carrozzina e ormai le montagne da scalare sono le buche per strada. Ma non mi fermo; si può essere felice anche in carrozzina».
Barisonzi combatte anche per la felicità di altri. Grazie al suo costante impegno, infatti, sono stati raccolti fondi per varie iniziative a favore delle persone con tetraplegia. «Nell’Unità Spinale dell’Ospedale Niguarda di Milano – spiega – ho avuto la possibilità di rinascere. Ora stiamo cercando di costruire una struttura annessa all’Unità Spinale [struttura “Spazio Vita”,  N.d.R.], per ospitare mielolesi e portatori di spina bifida. È un progetto che richiede moltissimi fondi, noi, però, ci crediamo. Nel sito dell’AUS (Associazione Unità Spinale) Niguarda, si parla ampiamente di questo progetto (e delle modalità per eventuali donazioni), che prevede appunto la realizzazione, nello spazio antistante all’Unità Spinale dell’Ospedale Niguarda, un centro polifunzionale, dove svolgere attività riabilitative e ricreative».

C’è ancora spazio per un’ultima riflessione di Luca, che non vuole essere chiamato “eroe” perché, come dice, «ho fatto solo il mio dovere. Ho fatto quello che dovevo fare». Poi lascia un grande messaggio rivolto soprattutto ai giovani: «Non arrendetevi mai e trovate sempre qualcosa per cui valga la pena combattere».

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