«Più di mezz’ora sotto il sole, davanti al cancello sbarrato degli uffici comunali di via prolungamento Aschenez: è accaduto ieri mattina ad A.M., avvocato ventiseienne costretto sulla sedia a rotelle. L’uomo, accompagnato dalla madre, si voleva recare presso l’anagrafe per il rinnovo della carta d’identità, ma giunto intorno alle 11 e 30 davanti agli uffici comunali, ha trovato il cancello d’entrata per i diversamente abili chiuso con un pesante lucchetto. Alle ore 12, finalmente, un impiegato ha aperto il cancello permettendo l’ingresso della carrozzella. Di fronte alle rimostranze di A.M. l’impiegato ha motivato la chiusura del cancello per “ragioni di sicurezza”».
È accaduto in estate, a Reggio Calabria, come si è potuto leggere sul «Quotidiano della Calabria» del 14 luglio.
Quattro giorni dopo, sempre a mezzo stampa, la risposta del vicesindaco Giovanni Rizzica, che aveva dichiarato: «Non può che rammaricarci la notizia del disagio subito da un giovane disabile in attesa fuori dall’Ufficio Anagrafe del Comune, sia come persona sia come amministratori di una città che ha sempre riservato grandi attenzioni alle fasce deboli di cittadini, in particolare diversamente abili. I fatti, però, sembra si siano svolti diversamente da come descritto dal “Quotidiano della Calabria”, in quanto il cittadino non avrebbe atteso al di fuori del cancello per più di cinque minuti, il tempo materiale, insomma, perché un impiegato provvedesse alla sua apertura, subito dopo la richiesta della madre presso lo sportello. Il cancello in questione, per la precisione, è chiuso al pubblico proprio perché fornisce l’accesso agli archivi storici dell’Ente e viene aperto solo in casi particolari o per specifiche esigenze».
«Spiace essere accusati di scarsa attenzione nei confronti delle persone diversamente abili – concludeva Rizzica – dato che l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Giuseppe Scopelliti ha sempre prestato grande considerazione e sensibilità, attraverso ogni tipo di azione, nei confronti delle classi svantaggiate. In ogni caso procederemo a più approfonditi accertamenti e qualora dovessero emergere responsabilità o mancanza di sensibilità da parte di chiunque nella vicenda, non esiteremo a porgere le nostre più sentite scuse».
Un disguido, quindi, come purtroppo ne accadono tanti nel nostro Paese, che questa volta, anzi, ha ricevuto una risposta molto cortese da parte dei responsabili dell’Ente Locale. Sorvoleremo, in questo senso, anche su quanto scritto a commento dal «Quotidiano della Calabria», che conferma, nell’articolo del 18 luglio, la mezz’ora di attesa davanti al cancello, documentata dagli orari riportati dal telefonino, con cui la persona in carrozzina aveva chiamato il 113.
«Non è questo il punto», si potrebbe dire. Infatti, “qualcosa che non va” sta proprio nell’impostazione stessa di quella risposta del vicesindaco – pure ineccepibile dal punto di vista della correttezza formale – come ha puntualmente e incisivamente rilevato il nostro lettore Angelo Marra cui cediamo ben volentieri la parola.
Parte del suo intervento era stata ripresa nei giorni successivi al fatto anche dallo stesso «Quotidiano della Calabria».
(S.B.)
Leggo sul giornale del 18 luglio: Caso del disabile in attesa fuori dall’anagrafe. Rizzica: «Il Comune è stato sempre sensibile». L’articolo, e soprattutto la nota del vicesindaco, suscitano in me opposti sentimenti: da un lato sono contento che quanto accaduto abbia “scatenato” il dibattito. La Stampa diviene “novella Agorà” nella quale i cittadini di Reggio tornano a discutere “politicamente” – nel senso più autentico e nobile del termine – dei propri problemi. Finalmente!
D’altra parte, però, il contenuto (e anche il tono sulla difensiva) della nota mi riempie di amarezza: le parole del dottor Rizzica – per le quali comunque lo ringrazio – dimostrano che, come per la verità temevo da tempo, quando si ha a che fare con l’inclusione dei disabili, a Reggio – purtroppo – si parte da alcuni errori di impostazione a causa dei quali si rischia di prendere “lucciole per lanterne”. Vediamo dunque di provare a “correggere il tiro”.
Tralasciando l’improvvida affermazione secondo cui il primo articolo del «Quotidiano della Calabria» sarebbe non veritiero – alla quale il giornale ha risposto subito – vado direttamente al cuore del problema: nessuno vuole negare, o mettere in dubbio, la sensibilità del Comune. Non può esserci infatti un’Amministrazione benevola o malevola, ma solo buona o cattiva Amministrazione.
Dunque già mi preoccupa che il vicesindaco tenga subito a dire che egli fa parte di un’Amministrazione benevola e «sensibile»: evidentemente non è chiaro che qui si pone un problema di diritti, di efficacia e di efficienza dell’azione della Pubblica Amministrazione e non di sentimenti. Ma andiamo per ordine.
La “difesa” del Comune, perché ahimè di questo si è trattato (chissà perché è costume locale che il settore pubblico debba “difendersi” dal cittadino quando quest’ultimo evidenzia qualcosa che non va…), si basa su quattro passaggi, ciascuno dei quali, purtroppo, rischia di peggiorare le cose.
Dapprima, infatti, si fa leva sulla cura e l’attenzione che «l’Amministrazione da sempre riserva ai diversamente abili».
Il secondo passaggio si risolve poi nel tentativo, maldestro e insultante per chi legge e per chi ha scritto, di negare l’accaduto. In questo senso mi permetto di far notare che negare l’esistenza di un problema (o addolcirlo) porta inesorabilmente all’impossibilità di risolverlo: ammettere un errore è il primo passo per non commetterlo in futuro.
Terzo, appena abbiamo avuto notizia dell’esistenza del disabile, «subito dopo la richiesta della madre allo sportello», da bravi e sensibili amministratori, gli siamo andati incontro, come siamo stati bravi!
Quarto, il passaggio dei disabili deve restare chiuso per garantire la sicurezza degli Archivi Storici dell’Ente.
In conclusione ritorna il riferimento alla «sensibilità del Comune per i diversamente abili» e vengono garantiti più precisi accertamenti funzionali a future scuse.
Questo discorso evidenzia seri errori d’impostazione che mi preoccupano molto e che mostrano tutti i limiti del modo di pensare alla disabilità della nostra Comunità.
Primo, i disabili non devono essere “accuditi” dal Comune che si prende cura di loro mostrando il proprio “volto umano”: la Pubblica Amministrazione deve “semplicemente” rispettare la legge che impone l’accessibilità dei luoghi, la parità di trattamento nell’erogazione dei servizi, la non discriminazione, insomma il buon andamento di essa.
Sul secondo passaggio sorvoliamo e arriviamo direttamente al terzo punto. «Appena la mamma ci ha avvertiti, noi ci siamo mossi, se non lo sapevamo che ci potevamo fare?». Errore: non si deve presumere che la persona con disabilità abbia con sé mamma, papà, l’amico o il passante che vada allo sportello chiedendo l’apertura dei cancelli o altro in sua vece. È (sarebbe) doveroso invece organizzare uffici e servizi in modo che tutti ne possano godere autonomamente e in maniera “trasparente” per la Pubblica Amministrazione, senza cioè che si rilevi se sono disabili o no.
Non è buona amministrazione quella che si attiva per risolvere il Caso del Disabile: buona amministrazione è quella dalla quale ogni cittadino, solo perché tale, può vedersi erogare i servizi con la stessa naturalezza con cui ciò accade per gli altri.
Quarto, è scorretto ritenere che la presenza degli archivi giustifichi la chiusura dell’accesso (ed è grave anche che l’argomento venga ribadito a giustificare l’accaduto). Infatti:
a) gli uffici dovrebbero avere una porta dalla quale entrano tutti, indiscriminatamente.
b) Se ciò non dovesse essere possibile, in casi eccezionali, si potrebbe prevedere un altro accesso. Ma la porta di accesso speciale dev’essere comunque azionabile dall’esterno dal cittadino (se per avere la porta aperta devo fare le scale, evidentemente la porta senza scale è, nei fatti, inutile).
c) Bisogna garantire l’accesso ai cittadini agli uffici, sempre. Se gli Archivi sono a rischio è un altro problema: l’accesso va garantito e gli archivi preservati. Le due cose in egual misura: non si può in nome dei secondi non consentire il primo. Se l’Amministrazione non è in grado di fare entrambe le cose (magari con gli archivi chiusi da una porta blindata), non è buona amministrazione. Non può essere un problema del cittadino che in un giorno qualsiasi si rechi a chiedere un certificato!
Leggo ancora: «Spiace essere accusati di scarsa attenzione nei confronti delle persone diversamente abili, dato che l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Giuseppe Scopelliti ha sempre prestato grande considerazione e sensibilità, attraverso ogni tipo di azione, verso le classi svantaggiate».
Già, ma il punto – come detto – non è questo: non si tratta né di scarsa attenzione né di classi svantaggiate. Ripeto: è scorretto l’approccio. Non è la persona svantaggiata a chiedere aiuto: è il cittadino, come tale, a pretendere dalla Pubblica Amministrazione il rispetto dei diritti civili e della legge.
Il fatto che si punti tutto, nella nota, sulla sensibilità e sulla buona volontà è ciò che preoccupa di più: è sfuggita, e continua a sfuggire purtroppo, la necessità di un cambio “di sistema”, di impostazione, se si preferisce, circa il rapporto tra i cittadini disabili e l’Amministrazione.
Anche la ricerca di un “capro espiatorio” e di una responsabilità è fuori luogo. Le scuse non servono e la responsabilità sta nell’impostazione stessa data al problema, nell’approccio utilizzato per «ogni tipo di azione» adottata: tutte le azioni dimostrano che dietro ci sono brave persone, nessuna, però, va nella direzione di considerare i disabili cittadini prima che svantaggiati. Quel che serve è rispetto per le regole, non buoni propositi.
«Ma più di quel che facciamo», mi si dirà, «che possiamo fare? Facciamo del nostro meglio…».
E allora mi domando: perché, se viviamo in un Paese in cui «Tutte le opere realizzate negli edifici pubblici e privati aperti al pubblico in difformità dalle disposizioni vigenti in materia di accessibilità e di eliminazione delle barriere architettoniche, nelle quali le difformità siano tali da rendere impossibile l’utilizzazione dell’opera da parte delle persone handicappate, sono dichiarate inabitabili e inagibili» [Legge 104/92, articolo 24, comma 7, N.d.R.], nel mio Comune la quasi totalità degli uffici e degli esercizi commerciali restano inutilizzabili perché inaccessibili e il Comune, attento com’è, non si muove? Quando vengono fatte ristrutturazioni e rilasciate autorizzazioni o compiuti gli accertamenti di rito, l’Ufficio Tecnico del Comune come accerta l’accessibilità e a cosa guarda?
Perché, quando rifacciamo le piazze o i marciapiedi, continuiamo ad usare pavimentazione scomoda a percorrersi e a rifare marciapiedi senza rampe?
Perché, se facciamo le rampe per salire su un marciapiede, ci dimentichiamo che si deve anche scendere? Che sia così difficile fare le strisce pedonali in coincidenza delle rampe (e le rampe dai due lati di un attraversamento)?
Perché i vigili urbani mi dicono che non possono multare la macchina parcheggiata sulla rampa giacché manca il segnale di divieto (sic!)?
Insomma, perché non usiamo uno sguardo sistematico e un po’ di sano buon senso quando amministriamo casa nostra? Per il resto, certo, l’Amministrazione Comunale è stata sempre sensibile…
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