Sembra che gli uomini e le donne di oggi non riescano più a convivere con i dilemmi dell’esistenza. L’annuncio clamoroso del Papa, umanissimo nella sua constatazione della stanchezza determinata dall’avanzare degli anni, sta spingendo molte persone, di ogni orientamento, a riflessioni a tratti scomposte, a battute che dovrebbero far ridere, nel tentativo di banalizzare, di sminuire, di esorcizzare quella domanda che ci interroga nel profondo, tutti.
Oggi [ieri, 11 febbraio, N.d.R.] l’annuncio del Papa mi ha colto di sorpresa, alla fine di una mattinata nella quale la neve mi aveva costretto a rallentare il ritmo di una campagna elettorale vivace e piena di appuntamenti, di incontri, di parole spese per convincere gli incerti e soprattutto i disincantati dalla politica.
Io stesso mi sono interrogato più volte, in questi anni, sul tema del limite. Ossia fino a che punto sia giusto, corretto, doveroso, spingersi con il corpo e con la mente per dedicarsi alle cause e alle battaglie che condivido, che sento mie. In molti casi, infatti, avrei potuto – e forse dovuto – tirarmi indietro, rallentare, usare un argomento inoppugnabile, quello delle mie oggettive difficoltà a competere alla pari, dal punto di vista fisico e della mobilità personale, con gli altri, con coloro che apparentemente non hanno alcun deficit. Non l’ho mai fatto, e anche adesso non ci penso proprio. Anzi. Però il tema è reale.
La sofferenza fino alla morte, come segno religioso per l’intera umanità: in molti oggi ricordano l’esempio di Giovanni Paolo II. E quasi contestano la “debolezza” di Joseph Ratzinger, apparentemente in buona salute, anche se indubbiamente ottuagenario. Non so, credo che sia sbagliato, in questi momenti, dividersi su questo aspetto. Non se lo merita certo il Pontefice che ha preso una decisione storica incredibile. Ma soprattutto io penso che si debba convivere con i dilemmi, con i dubbi, con il senso del limite.
Non avrei mai immaginato di vivere un altro evento destinato a entrare nella storia dell’umanità. È successo di nuovo (penso al primo passo di un uomo sulla Luna, vissuto da ragazzo). Ho visto anche questo. E al momento mi tengo il turbamento, l’ammirazione e il rispetto per un uomo che rinuncia a un potere immenso, per quanto immateriale e spirituale.
Una scelta di libertà estrema, e un messaggio di responsabilità per tutti coloro che, a ogni livello, hanno incarichi talmente importanti da doversi interrogare sulla propria personale adeguatezza rispetto alla missione da compiere. È sin troppo facile pensare alla politica di casa nostra, ai troppi “vecchi” che non si lasciano “rottamare”. Ma sarebbe riduttivo, se non in certo modo addirittura blasfemo, operare un simile accostamento.
Una prima riflessione è che forse tutti noi siamo poco attenti alla fatica di vivere, alla fatica di chi a livelli altissimi assume su di sé la croce della responsabilità suprema, che alla fine interessa la vita di tutti, cattolici e non. Nel cedere il comando prima di perdere l’autonomia e magari il pieno possesso delle facoltà intellettive, vedo coraggio e forza interiore straordinari.
Non riesco neppure a immaginare la difficoltà, la solitudine, il tormento interiore che devono aver preceduto l’annuncio. Da laico provvisto di una fede lontana dalla pratica religiosa mi limito a fermarmi sulla soglia della mente umana, e cerco di tradurre il senso di questa scelta clamorosa e planetaria, di calarlo nella vita di tutti i giorni. Un po’ più di indulgenza, forse. Un rallentamento nelle pretese di performance a tutti i costi, che costringe molti di noi a dare sempre qualcosa più del dovuto, del lecito, senza mai interrogare il proprio corpo, senza contemplare il senso del limite, della personale precarietà. È stata, oggi, una grande lezione di umiltà.
Direttore responsabile di Superando.it.
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