È stata dimostrata in laboratorio l’efficacia della terapia genica per una rara malattia genetica del fegato, il deficit di alfa-1-antitripsina: lo rivela uno studio pubblicato dalla rivista scientifica «EMBO Molecular Medicine» e condotto dal gruppo di Nicola Brunetti-Pierri presso il TIGEM (Istituto Telethon di Gentica e Medicina) di Napoli.
Si parla, come detto, di una rara patologia genetica, dovuta alla carenza di un enzima prodotto dal fegato, importante per mantenere l’integrità di alcuni tessuti dell’organismo, in particolare i polmoni. La proteina mutata rimane sostanzialmente “intrappolata” nelle cellule del fegato, causando di conseguenza un danno epatico. Chi ne soffre può andare incontro a insufficienza epatica già durante l’infanzia e, in età adulta, a epatite cronica e aumentato rischio di tumore del fegato. Al momento, nei pazienti con grave compromissione epatica, il trapianto di fegato è l’unica terapia disponibile, mentre la terapia enzimatica sostitutiva – che ha una certa efficacia per le manifestazioni polmonari della malattia – non ha invece effetti sul problema epatico.
«Abbiamo quindi provato – spiega Brunetti-Pierri – a seguire un altro approccio, quello della terapia genica, ma non in modo tradizionale. All’interno cioè del vettore virale (il virus “addomesticato” che usiamo come sistema di trasporto di materiale genetico all’interno delle cellule malate), abbiamo infatti inserito non una versione corretta del gene per l’alfa-1-antitripsina, che non sarebbe efficace, ma un “interruttore genetico” chiamato TFEB, in grado di stimolare e potenziale lo smaltimento di sostanze tossiche».
Scoperto nel 2009 dal team di Andrea Ballabio, direttore del TIGEM di Napoli, TFEB è in grado di attivare a propria volta altri geni coinvolti nella rimozione dei cosiddetti “rifiuti cellulari”, mettendo in moto una vera e propria squadra di “spazzini”, chiamati autofagosomi e lisosomi.
Negli ultimi anni, quindi, i ricercatori dell’Istituto Telethon partenopeo si sono concentrati in particolare nel tentativo di capire come sfruttare questo gene nell’àmbito di malattie di varia natura, dovute all’accumulo di proteine tossiche.
«In questo lavoro – sottolinea dunque Brunetti-Pierri – abbiamo dimostrato nel modello animale di deficit di alfa-1-antitripsina come la terapia genica con TFEB sia in grado di ridurre l’accumulo della versione tossica della proteina, nonché la degenerazione delle cellule epatiche, tipica della malattia. Parallelamente, non si sono osservati effetti tossici, il che ci fa ben sperare in vista di una possibile applicazione futura nell’uomo, in questa e in altre patologie dovute all’accumulo di proteine tossiche. Va sottolineato infine che questo approccio terapeutico non ha effetto sui sintomi polmonari della malattia, che tuttavia possono essere trattati con altri approcci farmacologici». (Ufficio Stampa Telethon)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@telethon.it.
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