Una bambola e le sue briciole di verità

Cosa pensano le associazioni italiane della bambola prodotta in Spagna con i tratti somatici di un bimbo con la sindrome di Down, che tanto successo sta riscuotendo? Diamo spazio alle prime riflessioni, aprendo naturalmente le nostre pagine a quanti vorranno contribuire alla discussione
La bambola «Baby Down» prodotta in Spagna«Va a ruba in Spagna Baby Down, la prima bambola con i tratti somatici di un bimbo con la sindrome di Down».
Questo dichiara una nota di agenzia letta nei giorni scorsi, che segnala anche: «Immessa sul mercato spagnolo al prezzo di 25 euro – tre dei quali a favore della Fundacion Down España
[in realtà sono due euro che andranno alla Federación Española de Sindrome de Down, N.d.R.] – la bambola è disponibile nella versione femminile e maschile. L’obiettivo, oltre a incrementare i fondi di tale associazione, è quello di favorire l’integrazione nella società delle persone affette da questa alterazione cromosica. “Baby Down – dichiara a tal proposito la portavoce dell’azienda produttrice – non ha nulla di speciale, ma solo i tratti caratteristici di un bebè con la sindrome, con le ditine un po’ separate e la lingua un pochino all’infuori”. La bambola, le cui vendite hanno superato le aspettative persino dei distributori, è concepita perché si conoscano le necessità dei bambini affetti dalla sindrome; ed è infatti accompagnata da un foglietto che spiega quali sono le attività che si possono fare per sviluppare le capacità dei piccoli con l’alterazione cromosomica nota come Trisomia 21».

Fin qui la notizia. Ma oltre ad annotare il parere estremamente positivo della Federación Española de Sindrome de Down, qual è l’opinione delle associazioni italiane che si occupano di sindrome di Down, di fronte a questa operazione?
Innanzitutto registriamo quanto ci ha dichiarato Anna Contardi, coordinatrice delle attività dell’
AIPD (Associazione Italiana Persone Down): «Credo che la “bambola Down” immessa sul mercato possa essere un’opportunità in più per far conoscere i bambini con la sindrome di Down e per farli riconoscere come bambini tra gli altri bambini. Certo, non può essere solo una bambola a produrre integrazione, è necessario infatti incontrarsi di persona, a scuola o magari ai giardini. Ma la bambola può senz’altro favorire la visibilità, senza per altro mai dimenticare che non è una bambola per i bambini con sindrome di Down, ma una bambola per tutti, da mettere a dormire vicina al bambolotto di sempre, all’indiana con le treccine o a quella con i tratti africani».

Più articolata ed ugualmente interessante la riflessione ricevuta da Letizia Pini, presidente dell’AGPD (Associazione Genitori e Persone con Sindrome di Down), alla quale diamo ben volentieri spazio, aprendo naturalmente le nostre pagine ai commenti e alle opinioni di chiunque altro vorrà contribuire al dibattito.
(S.B.)

«Oggi giorno infinite sono le cause per cui battersi e  per cui sensibilizzare l’opinione pubblica. Tante associazioni e tante persone si adoperano per risvegliare l’attenzione e riportarla là dove questa sembra non proprio vigile.
Già alcuni cartoni animati stanno inserendo nelle loro storie le disabilità per educare i bambini alla diversità, con linguaggi semplici, diretti, corretti, facendo informazione vera. Questi sono messaggi che arrivano bene, colgono nel segno e informano con chiarezza. Sono insegnamenti pacati che aiutano a capire e a crescere, senza disturbo e senza violenza.
Persona con sindrome di Down al lavoro in una pasticceriaMa esistono alcune cause che sono veramente difficili da portare avanti perché non si tratta solo di ridestare l’attenzione, quanto di porre il problema. E qui le associazioni che lavorano per questo, fanno davvero fatica.

Quello che potrebbe dunque apparire come una provocazione – una bambola con la sindrome di Down – dovrebbe essere vissuto solo come quella normalità che rispecchia e rispetta la vita reale, elevando a pieno diritto di inclusione tutti coloro che ne hanno tragicamente bisogno, come recitano e sanciscono le varie Carte dei Diritti dell’uomo, delle donne, dei bambini, delle bambine e dei disabili.
Tanto si sta facendo e tanto ancora dev’essere fatto perché i bambini, le bambine e le persone di ambo i sessi possano finalmente trovare un ambiente adatto allo sviluppo delle proprie potenzialità, ad una crescita corretta nel rispetto della propria dignità, con il diritto e il dovere di essere parte integrante della società di cui fanno parte: a prescindere dal colore della pelle, della nazionalità, della geografia, dello stato di salute o del loro corredo cromosomico.

È bello sapere che i bambini, fin dalla più tenera età, possano essere finalmente riportati ad un confronto leale e a rispecchiare nei loro giochi, con un semplice bambolotto, briciole di verità, per ispirare la loro consapevolezza e creatività, sviluppare il rispetto e la sensibilità.
È con il gioco e con il sano confronto – che anche un semplice giocattolo può portare – che si inizia a capire, si impara a porsi domande, si incomincia a scardinare una falsa e apparente perfezione verso cui spesso oggi si tende a tutti i costi con molta superficialità, spinti da modelli belli e aleatori che troppo poco rispecchiano la normalità che tutti quanti viviamo, ognuno con le sue peculiarità.
Con il gioco e con i bambini si può arrivare proprio là dove spesso, per pigrizia, paura e ignoranza, si fa fatica ad arrivare.

Allora, senza entrare nel merito di alcuna etica o presa di posizione politica e/o religiosa, anche un bambolotto può fare la sua parte. Può aiutare, può semplificare, può avvicinare. Questo può valere anche per la sindrome di Down, come del resto si sta già facendo per sensibilizzare su altre “minoranze”: è una strada già intrapresa.
Non si deve stigmatizzare: è proprio con la rottura degli schemi finora conosciuti che si va verso nuovi traguardi e si raggiungono nuovi obiettivi.

Bimbo con sindrome di Down ascolta musica in cuffiaSindrome di Down vuol dire essere te stesso, avere la tua specificità fisica, assomigliare ai tuoi genitori e ai tuoi fratelli, non è solo avere gli occhi a mandorla, la “lingua un po’ in fuori”, come recita la descrizione della bambola spagnola e le “ditine un po’ allargate”. Essere nato con la sindrome di Down vuol dire fare fatica ad essere accettato, dover dimostrare sempre agli altri che puoi essere in grado di arrivare da qualche parte proprio come gli altri, dover rompere i pregiudizi e gli stereotipi quando la società spesso ti nega un rispetto e una dignità insita nel tuo essere individuo.
I bambini e le persone con sindrome di Down sono prima di tutto esseri umani che devono essere rispettati e trattati al pari degli altri e a cui dev’essere data l’opportunità di una mediazione, per non vanificare il lungo e faticoso percorso che compiono verso l’età adulta che li porterà ad essere protagonisti in prima persona della loro vita, come accade per tutti gli altri.
Tutti devono avere il diritto di conoscere correttamente quello che ci sta accanto, anche la sindrome di Down, che purtroppo erroneamente e tragicamente viene invece vissuta nell’immaginario collettivo come l’emblema dell’imperfezione e da evitare a tutti i costi.
La realtà, però, non si evita e il gioco è lo strumento principe per la sua consapevolezza, accettazione e superamento.

Oggi giorno  un  bambino che nasce con la sindrome di Down ha un’aspettativa di vita diversa da quella di non molto tempo fa. Nella vita, per la vita, nel gioco, nella scuola, nel mondo lavorativo. Sono possibili percorsi e traguardi inimmaginabili prima e non solo per gli aspetti clinici, ma proprio per un atteggiamento di positività e di potenziamento delle capacità di base che tutti abbiamo il dovere di rispettare e incentivare.
È proprio con il gioco che si insegna alle famiglie come rapportarsi al loro figlio così speciale, è con il gioco che si insegna a crescere e a fare rientrare nella normalità quello che normale non sembra, senza entrare nel merito di tante specificità che possono comunque esserci.
È con il gioco che pian piano si rientra nella vita di tutti i giorni, dopo la batosta della nascita di un bambino con la sindrome di Down, che innanzitutto è comunque un bambino, prima, e una persona, poi: bisognoso dunque di amore, tempo, attenzioni e opportunità.
Insegnare e informare attraverso il gioco è un’azione nobile che una società comodamente cieca e sorda finalmente può compiere verso se stessa e il suo futuro. Un piccolo segno di trasparenza e civiltà in un oceano di omertà e superficialità. Con l’augurio che questo seme porti ad un raccolto copioso che non termini mai il suo ciclo. Anche per la sindrome di Down».

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