Tra Frottole e Buffoni

Intervista a Luca Nicolino di Barbara Pianca
La Compagnia delle Frottole di Torino è composta da venticinque elementi. La metà circa degli attori ha la sindrome di Down. Un esempio di integrazione vincente, visto che i loro spettacoli fanno il tutto esaurito. La loro associazione di riferimento, I Buffoni di Corte, propone attività di espressione corporea e artistica cui possono partecipare indifferentemente persone disabili e non. Abbiamo intervistato il presidente e regista Luca Nicolino
"Pupazzi da legare", rappresentazione del 2011 della Compagnia delle Frottole
Un’immagine di “Pupazzi da legare”, rappresentazione messa in scena nel 2011 dalla Compagnia delle Frottole

Prima laboratori di teatro e danza, poi una compagnia teatrale e ora una sede e corsi di teatro, danza, percussioni, giocoleria e falegnameria: è questa l’evoluzione dell’associazione culturale torinese I buffoni di corte, impegnata sul fronte dell’espressione creativa delle persone con sindrome di Down e della loro inclusione sociale.
La maggior parte dei suoi volontari – e il Presidente stesso – provengono da un’esperienza con il CEPIM (Centro Persone Down), organizzazione operante a Torino già dal 1979, nel valorizzare le potenzialità delle persone con sindrome di Down e nel promuovere la loro immagine, lavorando a fondo con le famiglie e aiutandole a immaginare – e a realizzare – il futuro dei loro figli.
Tornando ai Buffoni di corte, «la finalità dell’Associazione è quella di mettere a disposizione della comunità un ambiente familiare e confortevole, dove persone con disabilità e non possano sperimentare una partecipazione attiva e coinvolgente in attività di vario genere che, senza distinzione, sono aperte a tutti coloro che per inclinazioni e doti personali desiderino aderirvi. Un luogo di incontro tra arti, intese come strumento di integrazione sociale e di condivisione tra gli individui»: è questa la presentazione che ci viene offerta quando contattiamo l’Associazione per approfondirne le finalità.
L’idea centrale è evidentemente quella dell’inclusione sociale. Nella compagnia teatrale – che si chiama La Compagnia delle Frottole – ci sono attori con e senza la sindrome di Down. Ai corsi offerti nella sede aperta lo scorso anno, alcuni iscritti hanno infatti la sindrome di Down o altri tipi di disabilità fisica o intellettiva, altri nessuna disabilità. In sostanza, di 170 tesserati, 83 sono persone con disabilità, 65 sono persone normodotate e 22 sono volontari. «Il nostro è un progetto innovativo e ambizioso – ci dice con orgoglio il regista e presidente dell’Associazione Luca Nicolino – che necessita del sostegno e del supporto di tutti coloro che, come noi, credono nell’importanza di costruire una rete di relazioni, a prescindere dalle caratteristiche individuali».

Gli chiediamo di raccontarci le origini della compagnia teatrale.
«Diciassette anni fa ho iniziato a proporre laboratori di teatro attraverso cui i ragazzi con sindrome di Down potessero esprimersi con la voce e con il corpo. Ogni anno portavamo in scena piccole rappresentazioni scritte da me, che venivano viste da parenti e amici. È cominciato tutto come un gioco ma con il tempo i ragazzi sono diventati sempre più padroni del palcoscenico».

E così avete deciso di fondare la Compagnia.
«Abbiamo cambiato l’impostazione del lavoro. Prima c’era un gruppo di volontari che supportava l’esperienza di alcuni ragazzi disabili. Ora la separazione non c’è più. Siamo una compagnia di attori, metà sono disabili. Non è sempre facile far passare questo concetto dell’integrazione. Quando ci presentiamo, diciamo che siamo una compagnia teatrale di venticinque elementi e non aggiungiamo altro».

Come siete distribuiti quanto a età e sesso?
«Andiamo dai 18 ai 40 anni e siamo circa in numero pari tra maschi e femmine».

Come preparate gli spettacoli?
«Io scrivo i testi, cercando di esaltare le caratteristiche di ognuno. Proviamo per otto o nove mesi due volte alla settimana, oltre ad alcuni fine settimana di ritiro fuori Torino, momenti molto importanti perché stemperano la fatica delle prove con la condivisione. Gli attori sono coinvolti e responsabili, considerano gli altri impegni della loro vita secondari rispetto a quello del teatro.
Quando poi lo spettacolo è pronto, andiamo in scena sette, otto volte in un anno. Partecipiamo a manifestazioni o veniamo invitati in giro per i teatri di Torino. Facciamo il tutto esaurito e i teatri che ci ospitano sono sempre più grandi».

In questo momento in che fase siete?
«Stiamo lavorando a uno spettacolo nuovo da ormai parecchi mesi».

Come si intitola?
«Non abbiamo ancora trovato il titolo. D’altronde abbiamo ancora un po’ di tempo, continueremo a lavorarci almeno fino a maggio».

Di cosa parla?
«È una storia ambientata in un ristorante. Accadono diverse vicende a chi ci lavora dentro e agli avventori. Nello sviluppo sono previste una parte di prosa e una di musica e danza, che permettono l’espressione anche a chi ha difficoltà di parola».

I corsi di giocoleria, falegnameria, percussioni eccetera, sono rivolti ai ragazzi della compagnia teatrale?
«No, a chiunque».

Organizzate qualcos’altro oltre ai corsi?
«Teniamo particolarmente al nostro appuntamento serale dedicato ai ragazzi con disabilità. È un momento conviviale, di svago e di allegria tra amici che condividono una serata ogni quindici giorni all’insegna del divertimento. I ragazzi sono entusiasti di questi incontri perché trascorrono del tempo libero insieme ai volontari, al di fuori dell’ambito associativo e del nucleo familiare. Inoltre, sempre in questo senso, proponiamo loro viaggi e brevi soggiorni in località turistiche balneari e montane. La finalità è innanzitutto consentire loro la possibilità di fare una vacanza tra amici e allo stesso tempo di vivere esperienze di integrazione sociale e di autonomia».

Come vi finanziate?
«I costi di gestione dell’Associazione e della Compagnia sono sostenuti grazie alle quote associative, agli incassi degli spettacoli e ad altre forme di autofinanziamento, derivanti dall’offerta di oggetti prodotti nei diversi laboratori e di materiale promozionale, come magliette e calendari. Inoltre, partecipiamo a bandi pubblici e privati anche se purtroppo le risorse a disposizione sono sempre meno».

I ragazzi con sindrome di Down partecipano solo al percorso teatrale o anche ad altri corsi? Collaborano all’andamento del Centro?
«I ragazzi fanno parte anche di altri gruppi, danza, o pittura, foto, percussioni, attività motorie eccetera. L’associazione non ha dipendenti perché molto si basa sul volontariato. I vari corsi sono tenuti da tecnici che lavorano a progetto».

Altre iniziative?
«Lamelalgiorno è una delle iniziative collaterali organizzate dalla nostra Associazione. È un gruppo di lavoro nato con l’obiettivo di scoprire, studiare e diffondere le idee della salute e si impegna a formare e informare la popolazione urbana sui rischi correlati allo stile di vita contemporaneo.
Si sofferma sugli aspetti pratici della medicina, con attenzione allo scenario internazionale, e in particolar modo alla situazione socio-sanitaria del Terzo Mondo e dei Paesi in via di sviluppo, con l’intenzione di far conoscere e di approfondire le problematiche relative alla guerra, alla ristrettezza economica, all’arretratezza logistica e quel che ne consegue nell’ambito della salute umana.
Lamelalgiorno, inoltre, va a scuola, per discutere e ragionare con i ragazzi sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili, attraverso le tecniche della cosiddetta Peer Education, che permette, ancor prima dell’informazione, una condivisione informale e diretta di idee ed esperienze.
Infine, attraverso percorsi mirati e incontri informativi, cerca di far fronte alle necessità che si manifestano nell’ambito della disabilità, con particolare attenzione alla sindrome di Down. Il nostro lavoro si ispira a un’idea di intervento utile, efficace, interessante. Crediamo nella necessità di promuovere un’educazione alla salute gratuita e accessibile a tutti, e investiamo nel significato del volontariato come mezzo di arricchimento bidirezionale».

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