Paola Nepi nasce a Montevarchi (Arezzo) nel 1942 e già a nove anni inizia a manifestare i primi sintomi della distrofia muscolare. La malattia le impedisce di terminare gli studi, ma non di farsi una propria cultura, leggendo, viaggiando, ascoltando musica, coltivando amicizie e scrivendo.
Nel 2007 pubblica un libro di poesie (La ragione del dolore, Pratovecchio – Arezzo -, Fraternità di Romena), nel 2010 uno di memorie (Storie di Via Cennano. Briciole di vita: un paese, una strada, una bambina, Massarosa – Lucca -, Del Bucchia) e nel 2012 il monologo Le mani addosso (Firenze, Edizioni della Meridiana). Da quest’ultimo è stato tratto l’omonimo spettacolo teatrale diretto da Tiziano Trevisol e interpretato da Lorella Serni.
La malattia l’ha quasi totalmente immobilizzata e resa dipendente dalle cure altrui (il suo ultimo testo è stato scritto con un solo dito), un intervento di tracheotomia le ha levato la voce, ma Paola non ha smesso di sognare, né il suo cuore di scalpitare. I suoi libri rivelano la sua anima, e lo fanno con un linguaggio che nessuna scuola – se non quella della vita – potrà mai insegnare.
Ciò che attrae in modo quasi “calamitico” il mio interesse è proprio il suo ultimo lavoro e la sua trama fatta di mani. Non le proprie, ma quelle altrui, che seminano sul suo corpo «parole sconosciute» (P. Nepi, Le mani addosso, p. 34). Mani ogni volta diverse. «Mani esperte, devote, mani disposte ma straniere. […] Mani materne, mani matrigne, mani benedette, mani maledette, mani necessarie, mani indispensabili! Mani! Mani! Inconsapevoli mani da cui spesso mi sento come scancellata, che del mio corpo leggono i bisogni, mai i desideri…» (P. Nepi, Le mani addosso, pp. 18-19). Ma anche «rare e preziose […] mani calde che accolsero la mia diversità senza sbattermi in faccia d’esser differente […]» (P. Nepi, Le mani addosso, p. 29).
Le mani non mentono. Il corpo vivo e sensibile avverte le sensazioni, misura la distanza, l’incapacità di leggere le parole degli occhi, coglie l’ambivalenza di quei gesti che, pur necessari, diventano dolorosi, se compiuti senza prestare attenzione alla persona che lo abita. «Fate piano però, che fate? Vi prego! La mia carne avverte ogni umore, anche ciò che non s’immagina! L’anima mia comprende ma, piano con la volgarità dei gesti affrettati! Gesti tanto per fare e arrivare in fondo. Non sono solo il vostro compito pagato, sono viva carne che sente, sangue che pulsa…» (P. Nepi, Le mani addosso, p. 24).
Chi legge il testo del monologo si immerge in una dimensione intimista, ma in realtà esso aspira ad avere precisi risvolti politici: raccontare infatti come si vive “nelle mani altrui” è anche un modo per indurre la Regione Toscana a riconoscere il diritto a percepire l’assegno di cura di 1.500 euro – attualmente riconosciuto solo alle persone affette da malattie dei motoneuroni, e in particolare da sclerosi laterale amiotrofica (SLA), che si trovano nella fase avanzata della malattia stessa (Deliberazione della Giunta Regionale Toscana n. 721/09) – anche a persone che, pur essendo affette da patologie diverse, vivono in condizioni analoghe.
Dopo una prima indagine, volta a valutare l’impatto economico e la fattibilità per estendere questo intervento di sostegno anche ad altri soggetti (Mozione n. 310/11), la Regione Toscana ha bloccato l’iter procedurale, mantenendo inalterata questa inspiegabile disparità di trattamento.
In Regione, gli operatori, contattati telefonicamente, ammettono l’iniquità del provvedimento, e attribuiscono il persistere di questa situazione a dei vincoli imposti dal Governo centrale, in relazione alla distribuzione del Fondo per la Non Autosufficienza. Ammesso però che il Governo abbia dato tali indicazioni, perché la Regione le ha recepite senza batter ciglio? La mancanza di equità non è un vizio degno di nota?
In occasione di una presentazione pubblica delle Mani addosso, Paola ha espresso tutta la sua amarezza nei confronti di «un Paese [il nostro, N.d.C.], una società che affida l’alba ed il tramonto dei suoi figli a mani straniere, a parole, voci straniere e in cui, spesso, l’unica comunicazione dei due protagonisti sono i sentimenti elementari del sorriso o le lacrime. Che a quelle stesse mani straniere, poco considerate e gradite, affida compiti e responsabilità che le famiglie di sovente evadono. Un Paese, una società, una politica, un sistema che si regge anche e grazie a quelle mani straniere senza curarsi però di nessuno spazio per la loro preparazione. Due debolezze, assistito e assistente, che fanno la forza di un Paese, una società a dir poco distratta».
Sono anni che Paola si batte affinché vengano realizzati dei corsi di formazione rivolti agli assistenti di persone con bisogni di assistenza intensiva. Sono anni che anche questa richiesta – al pari di quella sull’assegno di cura – rimane inascoltata.
Forse la nostra società non è semplicemente distratta, forse è proprio sorda!
Qualche precisazione
A proposito della questione dell’assegno di cura, di cui si parla nel presente testo, è stata la stessa Paola Nepi a inviarci la seguente precisazione, dopo la nostra pubblicazione: «Io sono stata tracheotomizzata nel giugno del 2006 e sono tornata a casa alla fine di luglio di quell’anno. Dopo il primo stordimento, mi sono messa subito al lavoro, ho scritto di mio pugno (allora lo potevo fare, ora non più) ad Enrico Rossi, allora Assessore alla Salute della Regione Toscana [oggi Presidente della Regione, N.d.R.], allegando alla lettera le diagnosi mediche, il quadro della situazione e le previsioni mediche di vita, oltre al mio CUD e al 730 (dichiarazione dei redditi) di mio marito, più l’“ISEE estratto”; ho fatto fare, inoltre, il “conto della spesa giornaliera”, nel caso fossi rimasta a casa o avessi scelto il ricovero in una RSA [Residenza Sanitaria Assistenziale, N.d.R.], sottolineando la differenza; ho spedito quindi il tutto all’Assessore. Nel luglio del 2007 ho ricevuto la risposta. Con un giovane distrofico fiorentino sono stata inserita in un progetto pilota e mi è stato concesso l’assegno di cura come ai malati di SLA. Non erano proprio 1.500 euro mensili, ma 44,50 euro (o 42,50, non ricordo) al giorno. Quindi io “godo” dell’assegno di cura».
Nello scusarsi per l’imprecisione, la curatrice del testo, Simona Lancioni, sottolinea per altro che il problema evidenziato rimane comunque: «A parte infatti i casi del progetto pilota – scrive – dei quali la Regione Toscana nemmeno recentemente ci aveva informati, chi ha una malattia diversa da quelle indicate espressamente nella citata Delibera di Giunta Regionale 721/09, l’assegno di cura non lo riceve. Del tutto attuale è poi la questione dei corsi di formazione, per i quali Paola Nepi continua a battersi».
Ed è quanto dovevamo ai Lettori.
Il presente servizio è già apparso nel sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con il titolo “Paola Nepi, nelle mani altrui”. Viene qui ripreso, con alcuni lievi riadattamenti al contesto, per gentile concessione.
Per approfondire:
– La pagina di Facebook di Paola Nepi.
– Un filmato relativo allo spettacolo teatrale tratto dal testo Le mani addosso (diretto da Tiziano Trevisol e interpretato da Lorella Serni), andato in scena il 10 e l’11 marzo 2012 al Teatro Comunale di Cavriglia (Arezzo).
– Una relazione scritta da Paola Nepi in occasione di un convegno in tema di Malattie Rare, tenutosi il 16 ottobre 2009.
Il Gruppo Donne UILDM
14 eventi e altrettante pubblicazioni della collana Donna e disabilità, tantissimi articoli, interviste, recensioni, adesioni a campagne ecc., organizzati per temi, varie segnalazioni di film attinenti alle donne disabili, centinaia di segnalazioni bibliografiche e di risorse internet schedate: è questa la produzione del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), che costituisce certamente una delle esperienze più vive e interessanti – nel campo della documentazione riguardante la disabilità – avviata nel 1998 in modo informale.
Gli obiettivi originari erano da una parte quello di raggiungere le pari opportunità per le donne con disabilità, attraverso una maggiore consapevolezza di sé e dei propri diritti, dall’altra cogliere la “diversità nella diversità”, riconoscendo la specificità della situazione delle donne disabili.
Poi, nel corso degli anni, il Gruppo ha cambiato in parte il proprio ambito d’interesse, oltre a non essere più composto da sole donne e a non occuparsi esclusivamente di questioni femminili. La stessa disabilità è diventata uno dei tanti elementi in un percorso di integrazione e di apertura su più fronti.
Nel 2008, per festeggiare il suo decimo “compleanno”, il Coordinamento del Gruppo Donne (composto attualmente da Francesca Arcadu, Annalisa Benedetti, Valentina Boscolo, Oriana Fioccone, Simona Lancioni, Francesca Penno, Anna Petrone, Fulvia Reggiani e Gaia Valmarin) ha deciso di investire di più in informazione e in documentazione, recuperando i suoi obiettivi originari, senza rinunciare all’apertura quale tratto distintivo. E così – come in un laboratorio – è iniziato un lavoro finalizzato a organizzare e rendere fruibili, attraverso il proprio spazio internet, le informazioni che circolano all’interno del Coordinamento stesso.
Un importante, ulteriore salto di qualità, infine, si è avuto con la creazione di un repertorio (VRD – Virtual Reference Desk), che raggruppa le varie risorse fruibili in internet (in lingua italiana) di e su donne con disabilità.
Nel 2011 il Gruppo Donne UILDM ha anche ricevuto da Decima Musa Caravaggio (Associazione Culturale Europea-Compagnia Teatrale) il Premio Decima Musa «per il valore di un’attività finalizzata al raggiungimento delle pari opportunità, che sottolinea e affronta il problema specifico e la situazione delle donne disabili».
Il Gruppo Donne UILDM è anche su Facebook.
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