Una storia di servizio e di comunicazione sociale

di Carla Rossi*
Sono state numerose le storie di volontari, raccolte recentemente a Lucca, in occasione del Festival del Volontariato. Ne presentiamo una, «simile a quella di tante altre persone e gruppi - come scrive la stessa Autrice - che dagli Anni Sessanta in poi si sono dati da fare in maniera gratuita per il prossimo». Una storia passata attraverso varie realtà, ma centrata su due filoni collegati tra di loro: il servizio e la comunicazione sociale
Henri Matisse, "La danza"
Henri Matisse, “La danza”

Raccontare “una storia di volontariato” è cosa ben diversa dal raccontare “la propria” storia: è difficile presentare quell’esperienza personale in cui entrano i sentimenti, e tra questi il pudore: io, infatti, non mi sento per niente una “protagonista”.
Comunque raccontare fa bene, sicuramente anche a me, oltre che agli altri. La mia è un’esperienza  simile a quella di tante altre di persone e gruppi che dagli Anni Sessanta in poi si sono dati da fare in maniera gratuita per il prossimo.

Per me “fare volontariato” non è mai stato un di più, ma un’esigenza vitale. Ho fatto volontariato dalla prima giovinezza e ho continuato a farlo anche nell’esperienza professionale. La mia formazione è passata attraverso varie realtà, ma tutte si possono raggruppare in due filoni, sempre in fondo collegati tra loro: il servizio e la comunicazione sociale.
Ho cominciato con la realtà della Caritas e, prima ancora della sua nascita, nel famoso Sessantotto, con attività giovanili di raccolte varie (carta, ferro, stracci), per ricavare, con il lavoro concreto, risorse per aiutare gli altri. Facevo l’università (mi sono laureata in Lettere e Filosofia) e per me il materiale da macero, la raccolta delle castagne e delle olive e il clima forte di “sogni da realizzare per una società diversa” che si respirava intorno a queste cose, riempiva l’anima.
Ho fatto poi esperienza di attenzione concreta ai bisogni del territorio e di interventi nelle emergenze, ho lavorato per alcune zone italiane colpite dal terremoto, ho animato un centro di ascolto, un centro di accoglienza per anziani, un gruppo interculturale, attività di doposcuola e campi estivi, raccolte per le emergenze, campi di lavoro in Albania, adozioni a distanza ecc.

Dette in questo modo, sembrano iniziative una dietro l’altra, ma quanto lavoro e quante emozioni! Ricordo ad esempio il gemellaggio con Paternopoli, località terremotata dell’Avellinese, che coinvolse tutta la mia città [Cortona, in provincia di Arezzo, N.d.R.] dal Comune alla Chiesa, con la Sala del Consiglio adibita a centro di raccolta e il Vescovo che benediceva i TIR che partivano…
Ricordo la conoscenza dell’Albania, negli Anni Novanta, che per noi, tra i primi che la visitavano, rappresentava un universo sconosciuto da sempre esistito a poche centinaia di metri dalle nostre coste! Che emozione l’incontro con i giovani albanesi pieni di stupore e di promesse! Il Preside della Scuola Media di Tirana – gemellato con la scuola media del mio paese – venne a trovarci con i suoi alunni che, scesi dal pullman, sembravano rappresentare una scena dell’Albero degli zoccoli [noto film di Ermanno Olmi, N.d.R.]. Il preside Andrea Topore, in un incontro con gli scout programmato nei giorni di permanenza a Cortona, si mise a piangere: «Non mi sembra cosa possibile che dei ragazzi come voi – disse – possano pensare di sacrificare il loro periodo estivo per venire, volontari, ad aiutare noi». Per gli albanesi e la loro cultura il significato di “volontariato” era proprio sconosciuto, come quello di “bene pubblico”… non solo per gli albanesi, ho scoperto poi!
In occasione di un viaggio in Albania nel quale avevo portato alcuni medici del mio territorio per fare delle visite, ci venne fatto conoscere un piccolo bambino con i suoi giovanissimi genitori: era nato con una malformazione alla vescica, per cui aveva la pancia letteralmente aperta. Sentii i dottori parlare tra loro e dire: «Peccato per questo bambino! Se fosse nato in Italia sarebbe vivo, in Albania è condannato a morire».
Quando tornai a casa, ripensai a quelle parole, trovai un ospedale disposto ad accoglierlo per l’intervento e organizzai tutta la documentazione necessaria per far venire bambino e mamma in Italia. Trovai anche una famiglia disposta ad accogliere la madre e il figlio nel periodo di ospedalizzazione e convalescenza. Che bel ragazzo è oggi Brunino!
In prima persona, dopo di lui, mi sono impegnata per far venire in Italia altri bambini albanesi con le loro famiglie, per ricevere cure mediche impossibili nel loro Paese. Ricordo che quando si fu costretti ad interrompere il lavoro che facevamo con il centro di accoglienza per anziani, una signora della Casa di Riposo, la “Etta”, continuò per tanto tempo, incontrandomi, a salutarmi, dicendo: «Perché noi no più ballare con voi?».

Insieme a tutto questo, c’è sempre stato l’impegno per la comunicazione delle esperienze attraverso articoli su quotidiani locali, volantinaggio, cartelloni e mostre, non per spirito di propaganda, ma per il desiderio di attirare sempre più persone attorno al servizio e coinvolgere le scuole, le strutture pubbliche e private, le realtà civili ed ecclesiali del territorio.
Ovviamente non ho fatto tutto questo da sola, ma assieme a una comunità di appartenenza, non molto numerosa, ma molto stretta nei rapporti e nei legami reciproci, nata da un gruppo giovanile e poi passata al servizio Caritas.
Tutto quanto abbiamo fatto è sempre stato sostenuto economicamente da un “Mercatino dell’Usato”, che è ormai diventato una tradizione nel mio paese. A Cortona, ha fatto storia! Tutto rigorosamente… volontario!
Abbiamo accolto e coinvolto nei nostri progetti  obiettori di coscienza e civilisti, di cui io sono stata referente. Poi, negli Anni Ottanta, è nata l’idea di una radio locale [Radio Incontri, N.d.R.], comunitaria, anch’essa rigorosamente volontaria e senza pubblicità né sponsorizzazioni, legata al lavoro Caritas, per diffondere le idee e le esperienze del servizio e del volontariato, dell’offerta e della valorizzazione del superfluo e, via via, delle nuove frontiere che si sono aperte, dal commercio equo ai “gas”, dalla finanza etica al disarmo, alle nuove proposte ambientali, alle problematiche degli extracomunitari e alle lotte contro i respingimenti.
Abbiamo portato avanti servizi di redazione sociale sui problemi degli anziani, degli ammalati, delle carceri, ma anche dei giovani, delle famiglie, della mondialità, della cultura, dell’arte. Tramite la nostra radio abbiamo fatto conoscere negli anni testimoni e testimonianze, esperienze e proposte, dal territorio, dall’Italia, dal mondo.
Io, in particolare, ho sempre voluto che il rapporto tra comunicazione e servizio fosse concreto: la nostra radio aderisce infatti al Banco Alimentare e diamo aiuto a più di un centinaio di persone che vengono settimanalmente a fare rifornimento di spesa da noi.

Questa è… una parte della mia storia. Che dire? Che non cambierei un giorno della mia vita! In particolare  è stata grande la soddisfazione nello scorgere – nel corso degli anni – che il volontariato, prima entrato prepotentemente nella “moda giovanile”, poi snobbato, passato in secondo piano, scambiato con il “fare quel che piace quando piace”, per riempire il vuoto della vita, senza professionalità, il famoso “dare di pesce invece che insegnare a pescare”, è oggi considerato un “valore aggiunto”, anche all’interno del mondo del lavoro, un elemento educativo, possibile risorsa persino nei confronti di quanto lo Stato da solo non riesce più a fare.

Redazione di «Radio Incontri» (realtà a carattere comunitario, che trasmette coprendo un’area comprendente le Province di Arezzo, Perugia, Siena e Firenze). Il presente testo fa parte di una serie di storie di volontari, raccolte in occasione del Festival del Volontariato – Villaggio Solidale (Lucca, 11-14 aprile 2013) e inserite in un e-book (“L’Italia migliora, storie di cambiamento”), visionabile nel sito del Centro Nazionale per il Volontariato.

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