Mi riferisco alla lettera aperta intitolata Agli enti che gestiscono il Servizio Civile, scritta da Pietro Barbieri, presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e pubblicata nei giorni scorsi da Superando.it.
A scanso di fraintendimenti, vorrei poi chiarire subito che il titolo da me proposto per questo testo non vuole e non può essere interpretato come l’avvio di una polemica nei confronti dello stesso Barbieri, anzi, esattamente il contrario.
“Furbi” contro “onesti”: sarà forse una terminologia poco dotta, poco “politica”, ma per essere sbrigativi e non fare perdere troppo tempo ai lettori, questi termini possono contribuire a farci capire bene e in fretta che questa Italia è davvero sempre più povera. Povera di tante cose: di diritti, di sapienza per capire verso quale futuro stiamo andando, di rispetto, di intelligenza civica, di giustizia sociale e povera di rispetto dei diritti umani, come le persone con disabilità e le loro famiglie sanno bene.
In questo impoverimento complessivo del Paese ci si mettono anche persone, enti e imprese che si credono più “furbi” degli altri, consapevoli o meno di produrre con il loro comportamento danni gravi, profondi e sempre più spesso irreparabili.
Sottoscrivo quindi in pieno la lettera di Barbieri e la rafforzo parlando in poche righe di una nostra esperienza che, grazie anche al Servizio Civile Volontario, sta consentendo a cinque persone con disabilità intellettiva e relazionale (quattro donne e un uomo) di provare (sottolineo: provare) a vivere in modo indipendente.
Il Progetto Vita Indipendente è attivo a Brescia dal 2004 ed è una scommessa che stiamo giocando su più piani: culturale, professionale, sociale, economico e politico. Una scommessa che per poter esser giocata con qualche probabilità di successo si basa su risorse in grandissima parte non-professionali, salvo che per i ruoli di coordinamento e supervisione.
Coloro i quali stanno vicino a queste cinque persone con disabilità per fornir loro i sostegni necessari allo sviluppo di un’esperienza di vita indipendente, sono dunque persone che per scelta, e non per lavoro, hanno voluto condividere questa scommessa.
C’è una splendida famiglia romena che ha accettato di svolgere una preziosa opera di vicinato sociale. Ci sono volontari del territorio che hanno condiviso e perfezionato con noi l’idea di un’accoglienza inclusiva, su basi di pari opportunità, nell’ambito di una serie di attività rivolte al quartiere.
E ci sono anche, e soprattutto, volontarie del Servizio Civile Nazionale, che negli ultimi due anni hanno consentito di avviare e condurre questa esperienza.
“Parole di rito”, che nascondono la volontà di sfruttare il volontariato per risparmiare soldi e quindi, anche nel nostro caso, “furbizia”? Ognuno può pensarla come vuole, ma questa esperienza non è nata e non si sta sviluppando sulla sostituzione di forza-lavoro, perché sin dalle origini – nelle finalità progettuali e nelle scelte organizzative – di lavoro professionale, come già detto, ce n’è davvero poco: quindici ore settimanali per l’educatore e cinque ore settimanali per la supervisione.
E l’équipe, ovviamente, non è fatta dall’educatore e dal supervisore, ma da tutte e tutti coloro che partecipano al progetto: operatori, volontari, famiglia d’appoggio, volontarie del servizio civile.
Peccato che il Servizio Civile Nazionale non sia una risorsa stabile, incentivata e promossa e forse proprio grazie al concorso di colpa a carico degli enti di cui parla il presidente della FISH nella sua lettera.
Nel 2008, infatti, il nostro progetto rimarrà privo di questa fondamentale risorsa, della passione, della creatività e della coscienza civica e civile che le persone che hanno sinora aderito al progetto hanno dimostrato.
Passione e coinvolgimento che hanno fatto sì che qualcuna di queste persone sia rimasta come volontaria “pura”, a testimonianza del fatto che, nonostante il clima organizzativo interno sia un po’ arruffato (come si conviene ad un progetto che sta sperimentando praticamente tutto: dalla pedagogia alla cucina, dalle assemblee condominiali alla sessualità), si respira un’aria avvincente ed entusiasmante.
Che fare quindi? Suggerisco alla FISH di iniziare a ragionare, dal punto di vista del movimento delle persone con disabilità, sui modi con cui poter iniziare a distinguere i “furbi” dagli “onesti”.
So bene che sul tema della qualità c’è un’amplissima letteratura, ci sono esperienze e norme che indicano il modo con cui i servizi pubblici (compresi i servizi privati in regime di convenzione con il pubblico) devono operare. Qui però non si tratta di certificare un processo, una procedura o un prodotto, ma di indicare se un’esperienza, un progetto, un’idea, riesce davvero a produrre un miglioramento della qualità della vita.
E allora lancio una proposta forse nemmeno originale: e se intendessimo la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità come il Manuale Qualità per valutare i servizi e chi li eroga?
Nel nostro piccolo – di Fondazione e di Associazione – questa scelta l’abbiamo fatta: i due Consigli di Amministrazione hanno deliberato infatti di rivedere complessivamente i servizi (gestiti dalla Fondazione e promossi dall’Associazione) alla luce della Convenzione.
Un piccolo e silenzioso “cantiere di idee e di sperimentazioni” che avvieremo nel 2008 e che speriamo possa risultare utile al movimento, sempre se saremo capaci di raccogliere la sfida che l’ONU ha proposto a tutti noi.
Per il resto, mi auguro che la FISH compia una severa battaglia per la tutela e la promozione del Servizio Civile Nazionale, che non può essere preda dei soliti “furbi” e della scarsa lungimiranza civica e civile del Governo e del Parlamento.
*Fobap ONLUS Brescia (Fondazione Bresciana Assistenza Psicodisabili) – ANFFAS Brescia ONLUS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale).
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