Parlando dei cosiddetti “gravissimi” (o come propone ad esempio Andrea Canevaro, di «coloro che hanno disabilità complesse»), solitamente ci si arrocca in difesa dei loro diritti fondamentali, quale il diritto alla vita. E tuttavia noi crediamo fermamente che la difesa dei loro diritti debba spingersi sino al “diritto alla vita piena”. Crediamo cioè che la gravità non possa mai essere indicata come limite alla fruizione di tutto ciò che dà senso e valore alla vita delle altre persone.
Per questo traiamo conforto e appoggio anche dalla legislazione italiana là dove essa ammonisce che la gravità dell’handicap non può mai costituire limitazione al diritto all’istruzione. Ricaviamo poi una conferma pratica alla nostra tesi dall’esperienza umana delle nostre famiglie, ove quotidianamente si compie, con grandi fatiche e grande umiltà, il vero e proprio miracolo esistenziale di dare pienezza di contenuti al contenitore esistenziale delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi “gravissimi”.
Con Canevaro crediamo in quella che lui chiama «la pedagogia dell’amore»: crediamo cioè che grazie all’amore che portiamo alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi sia possibile “insegnare”, ovvero comprendere e ricordare che “quasi” tutto è possibile e che quel “quasi” può essere ridotto ad una dimensione così piccola da non essere più visibile, almeno con gli occhi del cuore, come giustamente scrisse nel Piccolo principe Antoine de Saint Exupéry e come oggi viene ricordato anche da Superando.it [ci si riferisce al testo L’essenziale è invisibile agli occhi, disponibile cliccando qui, N.d.R.].
24 ore non bastano
24 ore di lavoro non bastano, non bastano mai, a far quadrare la giornata di Silvia; è a questo che penso mentre cerco di assumere una posizione non esageratamente scomoda sulla sedia a fianco del letto ove Silvia sembra dormire, mentre invece è ancora in una fase precaria del sonno e basta un rumore o un bisbiglio a svegliarla.
L’orologio digitale della televisione che dal braccio mobile sovrasta minacciosamente il letto indica mezzanotte esatta: inizia un’altra giornata.
Le giornate di Silvia sono particolari: non sono di 12-14 ore di attività e le restanti di riposo, sono giornate di 24 ore, almeno per chi vive con lei e per lei. Per sopravvivere ad una tal “pienezza di vita” (e c’è ancora chi pensa che i ragazzi con disabilità non abbiano una vita piena e non colmino abbastanza quella dei genitori!), sarebbe necessaria una ferrea organizzazione di turni e compiti, ma io sono negato per il lavoro di squadra (c’è chi dice che sia negato per ogni lavoro…) e quindi mi sono autoisolato nelle lunghe notti di veglia. Beh, proprio tutta veglia non è… ma quasi.
Dalla vicina cucina giungono i rumori, attenuati da due porte ben chiuse, delle faccende domestiche che tra un po’ cesseranno, non perché la mamma di Silvia sia andata a dormire, ma perché è semplicemente passata a fare altro, a controllare che i testi per la scuola non contengano errori.
Non avevamo infatti abbastanza problemi con la gestione casalinga dell’istruzione di Silvia: ci siamo “avventurati” nella “scuola frequentata” (naturalmente abbiamo incominciato dalle secondarie superiori, tanto per non fare le cose troppo semplici) ed è stata una fatica tremenda. Ma a Silvia piace ed è questo che conta, e poi… a chi non piacciono le avventure?
Mentre penso di trasferirmi dalla sedia al… tavolo (credevate dormissi in un letto come tutti gli altri?) – che poi è il “tavolo di lavoro” di Silvia, un vecchio tavolo da cucina un po’ imbottito in modo da assomigliare ad uno da fisioterapia – tavolo, dicevamo, che mi serve da scomodo giaciglio perché mi permette di controllare dall’alto il sonno e soprattutto il respiro di Silvia, un suono insistente avverte che la pompa di alimentazione ha qualche problema.
Breve indagine nella penombra e «batteria scarica!», avvisa il display. Bisognerebbe inserire il caricabatteria nella “ciabatta” che è sotto il letto di Silvia, ma le prese di corrente sono tutte occupate: ne stacco una che non sembra indispensabile e la stanza piomba nel buio (era quella della luce notturna).
Individuo finalmente quella di un abat-jour non utilizzato, la stacco e inserisco il caricabatterie. Naturalmente l’allarme della pompa continua cupamente a suonare. Questa volta «ostruzione». Una decina di millilitri di acqua introdotti da una diramazione laterale (che talvolta, non ben chiusa, finisce per allagare il letto di un terribile mix – ma cosa ti danno da mangiare Silvia?! – di pesche, piselli, carne bovina e suina e altre prelibatezze miscelate a vitamine ed oligoelementi) risolve il problema e torna la pace notturna…
Domani cercherò (invano) sui giornali…
Naturalmente non dura. Faccio appena in tempo a sdraiarmi e a constatare, per la milionesima volta, che non ho imbottito a sufficienza la prolunga del tavolo che quindi non risulta allo stesso livello del resto del piano, con conseguenti inevitabili crampi alle gambe al mattino, che Silvia si agita.
Salto (si fa per dire) giù dal tavolo, centrando i sandali “da notte” (modello speciale con plantare ben modellato per reggere i 115 chili di genitore più figlia, fornito anche di lacciolo antisgancio), accendo l’aspiratore e rimuovo la secrezione che ostruisce parzialmente la cannula tracheale. Silvia si quieta.
Dopo qualche minuto di attesa risalgo sul tavolo, ma intanto il sonno che sembrava così impellente finché ero sulla sedia, se n’è andato.
Cautamente guadagno la cucina lasciando le porte ben aperte, accendo la televisione con volume a zero e cerco un telegiornale che abbia le didascalie per seguire le notizie mentre mi faccio un caffè.
In TV un signore dall’aria stanca viene intervistato. La didascalia dice «Comitato per il prepensionamento». Quando realizzo, con la solita lentezza, che si tratta del Comitato per il Prepensionamento dei genitori dei disabili gravi, alzo cautamente il volume, ma ormai le notizie riguardano un focolaio di afta epizootica in Gran Bretagna. Pazienza! Domani cercherò (invano) sui giornali.
Torno da Silvia, con la quale non ho mai perso il contatto sonoro, e le sistemo un cuscino tra le ginocchia. Negli ultimi mesi, infatti, ha accentuato la tendenza a tenere le gambe contratte e strette e cerchiamo, ogni volta che è possibile, di tenergliele allargate. Soprattutto quando dorme.
Bisogna anche cambiarle posizione nel letto con una buona frequenza, per impedire che la saliva che tende ad inalare ristagni nella stessa zona dei bronchi.
Sono quasi le due e mezza e la notte prosegue abbastanza tranquilla. Visto che il sonno per il momento se n’è andato e al solito ho dimenticato di procurarmi qualcosa da leggere, scrivo qualche lettera: al dirigente scolastico della scuola di Silvia con il quale siamo in dissidio circa la fruibilità delle gite scolastiche, alla Regione chiedendo un finanziamento per un nuovo progetto relativo all’insegnamento “anche domiciliare” per studenti con disabilità grave, alla Provincia ringraziandola per la tempestiva costruzione a scuola di una rampa “antincendio” come uscita di sicurezza in carrozzina.
Né un angelo né un diavolo
Tenere rapporti possibilmente buoni con tutti gli enti che si occupano di disabilità è veramente importante anche se spesso è frustrante e porta via un sacco di tempo.
Leggo anche la posta elettronica dell’Associazione (anzi delle Associazioni perché in realtà sono due) che presiedo: ancor più fondamentale, se possibile, non isolarsi mai e tenere i contatti con le altre famiglie che hanno gli stessi problemi. Siamo qualche centinaia in tutta Italia, un migliaio di persone, volontari compresi. Siamo molto attivi: organizziamo convegni, conferenze, dibattiti pubblici.
Scriviamo. Quando si tratta di far conoscere le nostre idee su riabilitazione, scuola e assistenza e quindi di difendere i diritti dei nostri ragazzi non siamo timidi. Proprio per niente.
L’allarme della pompa di alimentazione mi richiama urgentemente da Silvia: questa volta la serafica creatura (è appena uscito da Erickson un “nostro libro” scritto a otto mani di genitori, Mio figlio ha le ali, titolo bellissimo che significa che i nostri ragazzi hanno qualcosa in più, non in meno degli altri. Io avrei aggiunto «Ma non è né un angelo né un diavolo»), la serafica creatura, dicevo, schiaccia con il ginocchio il tubo di alimentazione e la pompa tecnologicamente perfetta segnala l’ostruzione.
Approfitto dello stop per preparare e somministrare i medicinali notturni: una puzzolentissima miscela di omega 3 e 6 contenuti in olio di pesce, da spremere previa foratura da certe capsule gelatinose dotate di perversa scivolosità. Sto bene attento a non macchiare il vezzoso lenzuolino rosa shocking del letto di Silvia (la quale, afferma sua sorella, tiene moltissimo al look ed è piuttosto vanitosa) e stranamente l’operazione riesce.
Intanto abbiamo fatto le tre e quaranta e ora un pisolino ci starebbe proprio bene, ma Silvia non è d’accordo e non tollera che altri dormano mentre lo fa lei e quindi si contrae e si muove continuamente.
Per precauzione spengo la pompa di alimentazione e stacco i raccordi. Un letto inzuppato di “pappa” a quest’ora è un trauma che è meglio evitare. Dopo una decina di minuti si può riprendere con l’alimentazione.
Sono il solito testone e non riesco quasi mai a mettere in pratica quello che dovrei sapere benissimo: bisogna assolutamente dormire la tra mezzanotte e le tre perché è il periodo di sonno profondo della “sorvegliata speciale”; più tardi passa in una fase assai lieve e basta nulla a svegliarla, per ripiombare poi in profondità abissali quando è ora di alzarsi. Infatti l’ora successiva è un continuo saliscendi dal tavolo, condito da mal di schiena e umore plumbeo.
Suona ancora l’allarme ma questa volta è la «fine pasto». Siamo in orario: tra tre ore, a stomaco abbastanza vuoto, potrà bere, prima di andare a scuola. A quest’ora Silvia va cambiata integralmente perché nelle fasi di sonno agitato suda molto e bisognerebbe riuscire a farlo senza svegliarla. Miracolosamente ci riesco. Peccato che pochi secondi dopo riesca ad urtare e a far cadere nel letto l’aspiratore: Silvia si sveglia indignata (chi ha osato tanto?) e ha gli occhi meravigliosi sì, ma tremendamente accusatori puntati sul “povero disgraziato”.
Carezze, baci, sussurri affettuosi e dopo una mezz’oretta la ragazza, placato il proprio ego infuriato, si riaddormenta.
Per un po’ resto inchiodato immobile sulla sedia, poi molto cautamente mi trasferisco sul tavolo e dormo anch’io per quasi un’ora.
Silvia e la disoccupazione
Il “maledetto cane” che ci complica la già difficile vita incomincia a far chiasso (Simona dice sia molto amato da Silvia, ma è una sorta di “difesa d’ufficio”). Questa volta però è perdonato perché è l’ora di organizzarsi (impossibile per me) e di organizzare quanto serve a Silvia per la scuola (ci ha già pensato sua madre).
A me toccano di solito compiti di bassa, ma insostituibile manovalanza tipo vuotare e pulire gli aspiratori, controllare lo stato di carica delle batterie, aprire il cancello poco prima che arrivi la signora che ci aiuta con Silvia al mattino, prima che vada a scuola.
Silvia contribuisce notevolmente a combattere la disoccupazione; infatti dà lavoro ad un sacco di persone: genitori, sorella, signora del mattino, assistente alla comunicazione, insegnante di sostegno, autista di pulmino con pedana elevatrice, operatore di cooperativa di assistenza domiciliare nel pomeriggio, insegnanti domiciliari. Un vero e proprio esercito, compresi alcuni volontari che resistono da molti anni. Poi, fortunatamente più a part-time, uno staff clinico che va dal medico di scelta (visita settimanale programmata) ai rianimatori (siamo in ottimi rapporti con quattro-cinque di loro, tutte persone gentilissime e molto amabili, soprattutto se viste non d’urgenza…).
Il campanello del cancello sancisce sonoramente la mia smemoratezza. Infatti, ho appena scritto che al mattino devo lasciare il cancello aperto per evitare che si debba suonare e… me lo dimentico regolarmente.
Dalle 8.30 alle 10.15 è il tempo dell’igiene e del look. Lavaggio generale (esistono validi sistemi per fare in pratica il bagno ad una persona “allettata” (nel senso che è a letto!), ma comportano una serie di macchinari che non si sa mai dove mettere. Noi procediamo all’antica: un grande vassoio, due catini, tre spugne e uno “schiavo” che va avanti e indietro dal bagno. Il garante per la privacy ci ha diffidato dal fare il nome di quest’ultimo!
Mentre Silvia viene elegantemente vestita, scappo a prendere un cappuccino, un paio di brioche (è certo una fame nervosa dovuta ad un calo di glicemia) e un’occhiata ai giornali nel bar più vicino. Bisogna però rientrare velocemente per raccogliere tutto quello che serve per la scuola (naturalmente già preparato perfettamente da mia moglie): sacca dell’ambu [strumento che serve per la respirazione artificiale, N.d.R.] e delle attrezzature d’emergenza, zainetto con materiale scolastico, aspiratore portatile e relativi accessori, cambio di vestiario.
Alle 10.15 arriva l’assistente alla comunicazione che accompagna Silvia a scuola, alle 10.30 il pulmino con la pedana elevatrice.
La costruzione della piramide
Silvia frequenta un istituto secondario superiore con buon profitto. Per necessità geografiche è stato scelto quello più vicino (è veramente impossibile organizzare un trasporto quotidiano andata e ritorno ad orario fisso a quindici-venti chilometri da casa, soprattutto per via delle non rare emergenze), anche se il corso di studi che offre non è il più adatto ad uno studente con grave disabilità fisica.
Spesso seguo il pulmino in macchina o in motorino per aiutare nelle operazioni “di sbarco” e per mantenere un buon contatto con la scuola, con la quale ci sono stati ottimi periodi di armonia, ma anche grossi problemi.
Silvia sta a scuola solitamente tre ore perché non può stare seduta sulla carrozzina per periodi troppo lunghi (tre ore, anzi, sarebbero già troppe) e ovvia alla frequenza ridotta con l’insegnamento “anche domiciliare”, un progetto “biblico” soprattutto per il lavoro che ci è costato, paragonabile certamente all’edificazione di una piramide.
Mentre Silvia è a scuola, a casa ferve l’attività: bisogna prepararle il pranzo (in realtà è già pronto, la solita orrida miscela prodotta da una nota casa farmaceutica tedesca, ma a base di prodotti naturali – strano che manchino i crauti! – che Silvia assume attraverso la stomia gastrica) e quanto serve agli insegnanti domiciliari che di solito vengono nel primo pomeriggio.
Non avendo difficoltà di ordine intellettivo, Silvia segue normalmente le lezioni. A casa utilizziamo una grande lavagna a fogli mobili (il retro di vecchi manifesti non più utilizzati dal Comune) e i fogli adoperati vengono religiosamente arrotolati, classificati e conservati in quella che sembra la biblioteca di un ricco patrizio romano dell’età imperiale amante delle lettere: centinaia, forse migliaia di rotoli di grandi dimensioni che riempiono un paio di stanze.
Otto-dieci fogli per libro
Mentre Silvia mangia, se il tempo è bello passeggia in giardino spinta dal solito “schiavo a tempo pieno”. Se è brutto, guarda un video o la TV in casa. La sorella è delegata alla razzia di video interessanti e non visti nelle pubbliche biblioteche che ne dispongono (sempre troppo pochi!), la madre sovrintende alla programmazione televisiva.
Intanto alle 15 arrivano praticamente assieme l’insegnante domiciliare e l’operatore della cooperativa che ci aiuta al pomeriggio. Per Silvia un’ora di lezione, poi è tempo del programma riabilitativo di mantenimento: maschera di riflesso per migliorare l’espettorazione, maschera respiratoria a pressione positiva, piano di statica per “far carico” sulle ossa e simulare lo stazionamento eretto e, quando possibile (ovvero quando non è contratta), schema crociato sul tavolo da lavoro (ecco perché è imbottito!), per mobilizzare tutte le articolazioni. Proprio tutte!
Alcuni volontari sopravvissuti ai tempi eroici della riabilitazione intensiva ci aiutano ancora oggi e sono grandi amici di Silvia.
Il lavoro fisico viene alternato alla lettura dei libri di testo: Silvia vede abbastanza bene, anche se recentemente ha avuto seri problemi agli occhi. E tuttavia una fastidiosa diplopia la obbliga ad utilizzare un paio di occhiali che in pratica escludono un occhio per evitare una visione sdoppiata.
I suoi libri di testo, preparati al computer e stampati (in un’unica copia) sono impaginati su portacataloghi trasparenti, le lettere sono alte circa due centimetri e di solito contengono cinque righe scritte per foglio, per un totale di otto-dieci fogli per “libro”.
In uno spazio così è davvero difficile condensare un argomento scolastico di senso compiuto, scritto in un buon italiano (o inglese o francese) e senza errori (la mamma di Silvia è una grandissima “cacciatrice di errori”).
Silvia legge quando è sul piano di statica e i libri le vengono sfogliati tenendoli a 50-60 centimetri di distanza, per una corretta messa a fuoco dei caratteri.
L’apprendimento di Silvia viene frequentemente controllato con l’aiuto dell’assistente alla comunicazione (si chiama così proprio per questo!). Le verifiche, visto che la ragazza non ha una manualità sufficiente per scrivere o utilizzare direttamente un mouse o una tastiera, vengono fatte utilizzando il puntamento visivo o altre tecniche di comunicazione aumentativa (ad esempio la comunicazione facilitata che permette a Silvia, supportandole il braccio, di scrivere direttamente, indicando le lettere su una tastiera figurata; un procedimento che tuttavia costa moltissimo a Silvia in termini di fatica per la coordinazione motoria che richiede e che viene utilizzato “con parsimonia” e per le cose più importanti).
Il pollaio restaurato
Quello della comunicazione è veramente un settore importantissimo e che ci impegna molto; abbiamo organizzato dei corsi per gli insegnanti di sostegno e per gli assistenti che sono un po’ il vanto delle nostre Associazioni.
Ma oltre alla mente bisogna nutrire anche il corpo e tenerlo ben idratato: nel pomeriggio Silvia beve una o due volte a seconda del clima e della stagione, ricordando sempre che per bere devono essere trascorse tre ore dalla fine del pasto precedente e quindi un’altra ora per bere nuovamente o per mangiare.
In fondo al giardino, in un ex pollaio restaurato, ristrutturato e trasformato in magazzino, conserviamo i materiali sanitari di Silvia. Diversi metri cubi occupati da grandi cartoni pieni di alimentazione (viene recapitata a domicilio dall’ASL una volta al mese), sonde e sacche da alimentazione, sonde da aspirazione, “nasini-filtro” per la tracheostomia, guanti sterili, garze, ricambi per gastro- e tracheostomia, più un paio di grandi sacche pronte con un mix di tutto quanto elencato, disponibili per i viaggi di piacere e di servizio (ahimè = ospedale). Un paio di volte al giorno traghettiamo quanto serve in casa.
La madre di Silvia è costantemente occupata in quella che sembra una lavanderia industriale: Silvia utilizza infatti una quantità incredibile di vestiario e di accessori tecnici (asciugamani, salviette ecc.), per via del mancato controllo della deglutizione e delle stomie che naturalmente non sono state fatte da un idraulico e quindi perdono “fisiologicamente” qualche goccia di saliva o di succo gastrico.
In giardino, poi, una trentina di metri lineari di filo da stendere e alcuni stendibiancheria pieghevoli (tatticamente spostabili al coperto se piove) allietano il paesaggio con i variopinti colori di quanto steso.
Il pappagallo sul trespolo e l’araba fenice
E arriviamo così alle 20, all’ora di cena: all’aperto, dicevamo, se il tempo è mite (è per questo che abitiamo in un noto paradiso climatico). Nelle due ore circa necessarie alla pompa per somministrare quanto deve ci facciamo un bel po’ di chilometri “dietro carrozzina”, nuova specialità sportiva che potrebbe essere inserita quanto prima nelle Paralimpiadi!
22.30: è ora di rientrare in casa e di completare il rito serale della vestizione notturna. Il letto (automaticamente semovente, cioè che si posta da solo quando non dovrebbe farlo) viene preparato per la notte; vengono posizionati cuscini vari, asciugamani, salviette, luci notturne e quant’altro serve e quindi Silvia, contornata di musica soft e munita di vezzoso pigiamino griffato, è pronta per la nanna.
Il vecchio boy, che sa fare praticamente solo quello, vigila sul sonno dell’innocente (???) creatura, appollaiato sulla sedia come un gallinaccio sul trespolo. Alcuni (figlia maggiore) sagacemente lo paragonano ad un pappagallo, forse per via degli sproloqui monotoni e del piumaggio (ovvero il vestiario che usa per la notte, di colori e gusto assai dubbi).
Mentre il resto della famiglia barricato in cucina si concede finalmente una foglia d’insalata e un mezzo bicchiere di minerale non gasata, il vecchiaccio cerca di assumere, come si diceva all’inizio, una posizione non troppo scomoda. Poi, cautamente, accende una piccola luce da lettura (questa volta si è fatto furbo e ha saccheggiato la biblioteca comunale) e si appresta ad accrescere la sua conoscenza dell’eresia catara (pagine 1870, un chilo e mezzo di tomo).
Una di queste notti finirà sul rogo, almeno in sogno, ma domani (ovvero tra pochi minuti) risorgerà come l’araba fenice, a mo’ di carabiniere (semper fidelis) al servizio di Silvia. Questa è vita!
*ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi) – Federazione Italiana.
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