Tutte le varie iniziative nate in ambito di informazione negli anni Novanta hanno avuto e hanno tuttora alcune peculiarità per quanto riguarda le motivazioni che li hanno fatti nascere: i CDH (Centri Documentazione Handicap), circa una cinquantina in Italia, sono nati in gran parte attorno alle tematiche dell’integrazione scolastica; i servizi di informazione telefonica si occupano principalmente di consulenza in campo clinico; i siti a forte specializzazione informativa come Disabili.com o Superabile.it e gli Sportelli Informahandicap hanno soprattutto nelle persone handicappate adulte il loro pubblico di riferimento e nelle tematiche delle barriere architettoniche, trasporti, ausili e tecnologie, tempo libero, servizi socio-assistenziali e facilitazioni fiscali l’oggetto esplicito della gran parte delle richieste di informazioni.
Abbiamo aggiunto l’aggettivo esplicito appositamente per sottolineare che in realtà, al di la dell’oggetto specifico delle richieste, è molto più complesso ciò che l’utente -soprattutto persona con disabilità o familiare – chiede/porta allo sportello.
Età diverse e deficit diversi
Tornando agli Informahandicap, esiste un panorama variegato, con scarse iniziative di coordinamento (la rete dei CDH della Regione Emilia Romagna e quella degli Informahandicap della Regione Piemonte) che delineano sostanzialmente due mondi diversi:
– quello legato all’infanzia disabile, con ambiti (riabilitazione e scuola), che necessitando di prassi di presa in carico nel tempo, assolvono al loro interno molte delle esigenze di carattere informativo, in ciò “facilitati”, per certi versi, dalla presenza di figure di riferimento più o meno stabili (la terapista della riabilitazione, l’insegnante di appoggio, l’assistente sociale);
– quello legato alle persone handicappate diventate adulte o diventate tali in età adulta, che escono sostanzialmente dal circuito dei servizi (terminano l’istruzione e le “speranze di guarigione”) e devono quindi ricercare nel mercato sociale, pubblico o privato, strumenti, opportunità e servizi, cercando, se possibile, di ricomporre il tutto in un quadro unitario.
Occorre qui introdurre una sintetica sottolineatura – altrimenti il tema ci porterebbe molto lontano – che evidenzia come parrebbe molta di più per questi servizi l’utenza legata a deficit di tipo fisico piuttosto che intellettivo o sensoriale.
In realtà non esiste una polarizzazione netta tra le due dimensioni nei dati dell’utenza degli Informahandicap, mentre esiste certamente una percezione sociale diffusa di ciò, legata tuttavia ai meccanismi dell’informazione (sia esterna che interna ai mondi della disabilità) che trova più facile (e forse tranquillizzante…) raccontare la disabilità fisica. Ciò che è accaduto durante il recente 2003, Anno Europeo delle Persone con Disabilità, ne è un buon esempio.
Dall’utente al contesto
Al di là quindi della quantità di informazioni erogabili e della ricchezza o meno di opportunità del territorio di appartenenza, è proprio sul piano del quadro, dello sfondo complessivo che i Servizi Informahandicap sanno delineare, che si gioca la qualità di queste iniziative.
Ancora una volta di più diventano decisive le capacità di relazione, di scambio e collegamento con altri soggetti, pubblici e privati, del territorio e non, alle quali dedicare tempo, energie (e passione…) al pari delle attività di sportello.
In un certo senso i Servizi Informahandicap, nati attorno agli anni Novanta con l’entrata in vigore della Legge quadro 104/92 e ora diffusi sull’intero territorio nazionale, anche se con il classico squilibrio Nord-Sud (44 al Nord e 8 nel Centro-Sud, come risulta anche dalla banca dati degli Informahandicap italiani in www.handybo.it ), hanno incarnato la necessità operativa di muoversi nei confronti del contesto e non solo della specifica persona con disabilità, intesa al massimo sullo sfondo del suo nucleo familiare.
Esiste in Italia, pur tra tutte le difficoltà del momento, un sotterraneo evolversi delle culture legate agli operatori sociali, assistenziali, educativi, riabilitativi che operano nell’area della disabilità (lo straordinario successo del convegno Re/immaginare il lavoro sociale organizzato a Bologna l’11 e 12 febbraio 2005 dalla Regione Emilia Romagna e dal Gruppo Abele, ne è una testimonianza) e per i quali si rendono sempre più necessarie «professionalità aperte a saperi esperienziali, che non prendano in carico più direttamente la persona con handicap, il disabile, ma aiutino a connettere nuovi punti di vista, diverse disponibilità e sensibilità: appaiono rilevanti capacità di connessione e mediazione, d’interpretazione di fenomeni e d’aiuto alla loro comprensione, più che di gestione diretta. Operatori quindi che agiscano anche sul contesto e non solo con la persona disabile» (M. Colleoni, La provocazione della disabilità, in «Animazione Sociale», Torino, ottobre 2003).
Quale rotta seguire?
Dalle considerazioni sopra esposte, pur in maniera sintetica, deriva una necessità di riflessione dei Servizi Informahandicap forzatamente rivolta al proprio interno e nell’ambito delle reti locali in cui sono coinvolti, che deve procedere di pari passo ad una riflessione sull’organizzazione e l’operatività, da una parte, e sulla collocazione rispetto all’evolversi delle politiche sociali dall’altra.
Su questi due aspetti non entriamo nel merito, ma rimandiamo alla lettura di quanto può essere consultato nella sezione “Gli informahandicap” del sito www.handybo.it.
Quali comunque le possibili piste di riflessione? ne elenchiamo alcune:
– il rischio della deriva organizzativa, tipica ad esempio dello sviluppo italiano dei sistemi non profit, che tende a dimenticare/sottovalutare l’imprescindibile dimensione conoscitiva del lavoro sociale.
Qui l’attenzione che i Servizi Informahandicap possono avere è quella di non dimenticare gli sfondi su cui le richieste di informazione si collocano. Avere quindi oltre alle capacità di accoglienza dell’utenza e di risposta corretta ed esauriente, anche una pratica informativa e di linguaggio (la famosa…comunicazione) che ricomprenda gli aspetti relazionali e culturali, così centrali nella disabilità e soprattutto nelle economie di vita delle persone con disabilità e dei loro familiari.
Questo torna utile anche in funzione delle dinamiche che sempre più chiedono al lavoro sociale di “dimostrare” la sua utilità e di sottoporsi a pratiche di valutazione e validazione.
– La necessità di integrazione nel campo informativo tra i diversi sistemi che si occupano degli interventi nelle aree della disabilità.
In questo senso, ad esempio, si potrebbero proporre forme di gestione partecipata dei Servizi Informahandicap e ancora forme di integrazione informativa tra i servizi operanti su questo segmento di popolazione (Informahandicap, Centri per gli Ausili, Servizi Socioassistenziali per Disabili, Agenzia delle Entrate, Servizi delle Province per il Lavoro…) o ancora network locali, ad esempio di siti Internet, che perseguano il medesimo obiettivo diversificando le azioni: chiunque può sperimentare l’alto tasso di ripetitività dei siti Internet di respiro locale dedicati alla disabilità.
– Un’ultima riflessione è dedicata a quella zona grigia e al tempo stesso importantissima che si colloca tra Sportello Informahandicap e Servizi Socioassistenziali Territoriali (anche se in alcune esperienze le cose coincidono).
Gli Informahandicap non si occupano di presa in carico, i servizi territoriali non hanno il tempo e lo spazio informativo dell’Informahandicap. Ovvio scegliere la sinergia per non rischiare il conflitto.
Un terreno comune di riflessione può essere dato dalle necessità informative della famiglia e del contesto nelle varie età. In fondo ogni carriera nell’ambito della disabilità nasce da un problema informativo: come, quando e a chi comunicare che è nato un bambino disabile? Come, quando e a chi comunicare che quell’incidente avrà conseguenza?
Una riflessione sulle varie età della vita lette attraverso la lente delle esigenze e delle opportunità informative sarebbe di sicuro interesse e utilità e costruirebbe un terreno ancor più comune.
Questo ci porta ad una riflessione di carattere generale, vale a dire che sempre più il collegamento, la rete non possono essere legati alla sola logica dei tavoli, ma hanno bisogno di buone pratiche di informazione e di document-azione che le rendano agire quotidiano.
*CRH (Centro Risorse Handicap) del Comune di Bologna.
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