Un respiro che significa vita

di Simone Fanti*
Il battesimo dell’acqua, tra tartarughe e delfini, di uno “strano animale”, il cui corpo per due terzi non si muove, ma che in quei fondali vede scomparire la propria fisicità «ingombrante e pesante». «Perché privarsi di questa possibilità?», scrive Simone Fanti, «immersi nel silenzio, si sente solo il rumore del proprio respiro... un respiro che significa vita»
Simone fanti sott'acqua, vicino a una tartaruga marina (foto di Beto Lima)
Una tartaruga marina fa da guida a Simone Fanti… (foto di Beto Lima)

Mi sono immerso. Per la prima volta in vita mia ho infilato la muta, vestito gag e bombola e sono sceso a dieci metri di profondità. Non avevo ancora fatto il corso da sub per persone con disabilità, di HSA Italia (Handicapped Scuba Association), e la “discesa negli abissi” si è limitata a una decina di metri.
Sono stato trasportato in un mondo diverso e spettacolare, un luogo dove la mia fisicità ingombrante e pesante – non potendo muovere due terzi del mio corpo, talvolta mi trascino faticosamente avanti – non esiste. Si fluttua a mezz’acqua sospinti dalla corrente e dalla mano esperta dell’istruttore che in mezz’ora di immersione non ha mai mollato la presa.
Entri a far parte di un mondo nuovo dove la curiosità sembra accomunarti ai pesci che ti circondano, che sembrano osservare da una distanza di sicurezza quello strano “animale goffo e sgraziato” che emette un sacco di bolle.
Non potevo lasciarmi scappare l’occasione, sono come un bimbo goloso di avventure e così, quando sono stato in Brasile, a Fernando de Noronha [se ne legga nel blog “InVisibili” del «Corriere della Sera.it», N.d.R.], ho sfruttato l’esperienza dei divers [subacquei, N.d.R.] locali, per scendere ad ammirare i fondali di quell’isola vulcanica: una cuspide di un monte alto quattromila metri che dal fondale atlantico emerge per pochi chilometri quadrati.

Un vero sub enumererebbe gli avvistamenti, io voglio raccontare le emozioni. E si parte dalla tensione che accompagna i neofiti. L’inesperienza e un po’ di “ansia da prestazione” non mi hanno permesso di godermi l’immersione a pieno, troppo attento a non sbagliare per poter solo osservare.
Disattento, ma non abbastanza per perdermi lo stupore di nuotare a fianco di una tartaruga marina, così elegante e rapida nei suoi movimenti. E poi ancora passare a qualche metro da una razza che pian piano, sollevando la sabbia del fondale, si mimetizzava per sfuggire al possibile predatore. Oppure osservare da lontano uno squalo e un barracuda.
E ancora, prendersi il proprio tempo per lasciarsi cullare dalle correnti sottomarine, aggrapparsi agli scogli per non essere trascinato dalle ondate (solo una sensazione: il mio tutor era mezzo metro da me). Il silenzio sordo di un vivacissimo mondo.
Perché privarsi di questa possibilità? (Esistono corsi di diving per persone non udenti e non vedenti e il Politecnico di Milano sta testando uno strumento anche per i tetraplegici su cui torneremo a scrivere presto). Immerso nel silenzio, si sente solo il rumore del proprio respiro… un respiro che significa vita.

Il presente testo, qui riproposto con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, è stato pubblicato da “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “Il mio battesimo dell’acqua tra tartarughe e delfini”. Viene qui ripreso per gentile concessione dell’Autore e del blog.

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