A Viterbo un disabile con il sindaco

a cura di Barbara Pianca
Michele Oliviero, sessantenne con la distrofia muscolare, da un anno e mezzo lavora come delegato del sindaco del Comune di Viterbo per le problematiche della disabilità. Vediamo com'è andata finora la sua esperienza, raccogliendo la testimonianza e le riflessioni del diretto interessato

persona al lavoro alla scrivaniaLo aveva già fatto Ileana Argentin per il Comune di Roma: Michele Oliviero, un anno e mezzo fa, di sua iniziativa ha contattato il Comune di Viterbo, dove vive dal 1979, proponendosi come possibile collaboratore dell’amministrazione.
Essendo lui stesso una persona con disabilità dalla nascita, avendo sessant’anni e quindi una certa esperienza in proposito, oltre ad essere conosciuto in città per aver sostenuto una serie di iniziative per l’integrazione delle persone con disabilità, Oliviero si è proposto all’ente pubblico come persona qualificata a gestire le problematiche dell’handicap. Sindaco e assessore ai Servizi Sociali hanno apprezzato l’iniziativa e deciso di emanare una delibera ad hoc.
E così, da un anno e mezzo, Oliviero varca ogni mattina la soglia del Comune ed entra nel suo ufficio accessibile, da dove riceve i cittadini che vogliono capire meglio la sua funzione e le loro possibilità, e dal quale coordina importanti progetti per una città accessibile e integrata.

Com’è stato iniziare questo nuovo incarico?
Non è stato facile né lo è ora. Molti assessori – Urbanistica, Lavori Pubblici, Sport, Cultura – non sono ancora abituati a una figura di questo genere e non riescono a sfruttarne le potenzialità. Accade ancora che essi procedano in varie direzioni senza consultarmi, per poi costringermi a un intervento successivo e riparatore.
Ultimo il caso della costruzione di una strada nuova: solo a lavori ultimati, su indicazione del mio ufficio, i responsabili si sono accorti della mancanza di alcuni scivoli, che hanno dovuto predisporre aggiungendoli, e non incorporandoli, alla costruzione stessa.
Però ci sono anche esempi positivi, come quello di un gruppo di banche che si è rivolto al Comune per una consulenza sull’abbattimento delle barriere architettoniche all’interno delle proprie strutture: il Comune ha incaricato me di intervenire.

Quali sono state finora le sue più importanti iniziative?
Tengo molto a dire che siamo riusciti a far capire alla municipalità l’importanza del trasporto per disabili alternativo a quello pubblico (che non è adeguato).
Il Comune ha acquistato tre mezzi con pedana, completamente accessibili, e li ha messi a disposizione delle persone con disabilità per gli spostamenti dalla città, per il lavoro o la scuola. Da poco tempo abbiamo ottenuto che questo servizio funzioni anche nelle ore notturne, oltre che il sabato e la domenica.
Altro punto fondamentale su cui sto lavorando è l’assistenza delle persone con disabilità grave. Stiamo elaborando un documento che spieghi al Comune che mandare ogni mattina assistenti a domicilio delle persone con disabilità, che le aiutano a lavarsi, cambiarsi e mettersi in carrozzina e che poi le lasciano a se stesse per il resto della giornata non è una buona soluzione per la qualità della loro vita. Il nostro intento è quello di introdurre a Viterbo il principio dell’assistenza indiretta e cioè della Vita Indipendente.

Non ci sono esperienze di Vita Indipendente nella vostra città?
In realtà un precedente importante esiste e mi vede coinvolto. Nel 1979, infatti, 54 persone ricoverate in un istituto, tra cui io stesso, convincemmo la Regione a consegnarci direttamente la metà della cifra che la stessa pagava all’istituto per ciascuno di noi. Con quei soldi dimostrammo di essere in grado di organizzarci una vita autonoma, in alcuni appartamenti.
Oggi, di quei 50, siamo rimasti in 32, perché alcuni hanno trovato lavoro e si sono spostati, qualcuno è deceduto, ma gli altri sono rimasti, si sono creati delle famiglie e hanno una vita fuori dall’istituto.
Ora vogliamo che anche i giovani abbiano questa stessa possibilità, uscendo non solo dagli istituti, ma anche dalle famiglie. È una soluzione importante condivisa dai genitori, perché li rassicura rispetto al “dopo di noi”.

Siete riusciti ad andare incontro alle esigenze delle persone con disabilità che vivono a Viterbo?
Dal punto di vista di progetti ampi, come quelli di cui ho appena parlato, stiamo facendo del nostro meglio.
Dal punto di vista più specifico, invece, abbiamo indetto un censimento in cui abbiamo chiesto a ogni persona con disabilità di Viterbo notizie circa la propria situazione economica, lavorativa e abitativa. Purtroppo però il Comune ci ha imposto l’anonimato delle risposte e questo ci ha impedito di organizzare interventi specifici per il singolo. Forse l’anno prossimo la Provincia ci permetterà di ripetere questa esperienza e allora cercheremo di non commettere gli stessi errori.

Il bilancio della sua esperienza sembra molto positivo. Perché sono così pochi i Comuni in Italia che la attivano?
Si tratta di una formula importante perché permette alle persone con disabilità di confrontarsi in modo diretto e quotidiano con le istituzioni e di agire al loro interno.
Abbiamo già chiesto alla nostra Provincia di replicare la delibera del Comune, in modo che un’altra persona con disabilità possa venire delegata dalla Provincia stessa per le problematiche dell’handicap e insieme possiamo coordinarci e sviluppare nuovi progetti.
In quest’anno e mezzo Viterbo – in termini di integrazione delle persone con disabilità – ha raggiunto quello che forse neanche in cinque anni sarebbe riuscita a ottenere senza questa delega.
Non so perché l’esperienza venga replicata solo in pochi Comuni. Forse si tratta di una mancanza di iniziativa da parte di noi disabili oppure sono le amministrazioni a non essere interessate. Probabilmente concorrono entrambi i fattori, perché, in ogni caso, gli amministratori hanno bisogno di essere stimolati da noi. Quando ho avuto questo incarico, tramite Internet ho cercato di diffondere la notizia, ma non posso dire se ho seminato qualcosa. Speriamo di sì. 

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