«Negli ultimi mesi si è intensificato il dibattito su cosa significhi servizio pubblico e su quali requisiti debba confermare o conquistare la RAI per continuare ad essere concessionaria di servizio radio televisivo. Noi crediamo fermamente che oltre a dover “garantire la libertà, il pluralismo, l’obiettività, la completezza, l’imparzialità e la correttezza dell’informazione, favorire la crescita civile e il progresso sociale, promuovere la cultura…”, ci sia un altro requisito irrinunciabile per chi si candida a veder riconfermato tale importante e delicatissimo ruolo e che è rappresentato dal principio di responsabilità etica nei confronti dei propri dipendenti. Principio che non può esaurirsi con le affermazioni, se pur impeccabili, presenti nel Codice Etico della RAI, ma che deve trovare quotidiana attuazione, a partire dal modo in cui si applicano le leggi per l’inserimento e l’integrazione lavorativa di persone con disabilità».
Sono parole di Barbara Apuzzo, che è a capo della Segreteria Nazionale dell’SLC (Sindacato Lavoratori Comunicazione)-CGIL, nel commentare una recente, discussa Circolare prodotta dalla RAI e riguardante proprio i lavoratori con disabilità.
«Nonostante le segnalazioni e le richieste di intervento già fatte – prosegue Apuzzo -, continuiamo ad assistere a provvedimenti e circolari aziendali che tradiscono, nella sostanza, quegli obiettivi che dovrebbero contribuire a trovare uno spazio adeguato alla cultura dell’inserimento e dell’integrazione sociale dei disabili, con la sensibilizzazione del pubblico ai problemi della disabilità e del disadattamento sociale. Come può essere infatti definita altrimenti una Circolare che, aggirando quanto previsto dalla legge per l’inserimento e l’integrazione lavorativa di persone disabili [Legge 68/99, N.d.R.], in relazione alle indicazioni di formalizzazione dei contratti a tempo determinato del personale delle testate giornalistiche e delle reti televisive, impone che questi debbano essere stipulati per un periodo di sei mesi meno un giorno?».
«Il motivo – conclude l’esponente sindacale – non riguarda evidentemente esigenze organizzative o produttive, ma si pone l’obiettivo, tutt’altro che nobile, di non conteggiare il personale a tempo determinato nel calcolo della base occupazionale, in modo tale da non “ampliare immotivatamente” tale base di partenza per le assunzioni da collocamento obbligatorio. E questo è un comportamento intollerabile ed eticamente inaccettabile, di cui chiediamo l’immediato ritiro, insieme a quello di tutti gli eventuali altri provvedimenti che ledono i diritti dei lavoratori e in particolare di coloro che sono portatori di disagi e fragilità». (B.P.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: barbara.perversi@slc.cgil.it.
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