«Libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani – sottolinea Silvia Cutrera, presidente dell’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente) e componente della Segreteria di DPI Italia (Disabled Peoples’ International) – sono i valori fondanti dell’Unione Europea. La loro violazione potrebbe farci precipitare negli orrori che hanno segnato la storia del Novecento». E aggiunge: «Infatti, allontanandoci inesorabilmente da quel tragico evento rappresentato dalla Shoah, il tempo fa scomparire i testimoni, rendendo consistente il rischio che la memoria si trasformi in oblio».
Per scongiurare tale pericolo, dunque, la Commissione Europea finanzia annualmente progetti che abbiano come obiettivo l’educazione delle giovani generazioni a una cittadinanza responsabile. Lo fa in particolare attraverso il Programma Europa per i cittadini, attuato in quattro azioni di cui una riguarda l’analisi e lo studio delle violazioni dei diritti e dei valori avvenute durante il nazismo e lo stalinismo, mantenendo attiva la memoria del passato, allo scopo di comprendere i meccanismi che hanno trasformato persone comuni in carnefici, responsabili di efferati crimini. Ricordare, quindi, per comprendere che ciò che è accaduto non è estraneo al nostro presente, che la storia può ripetersi, che i tentativi di esclusione e discriminazione rivolti tuttora a gruppi minoritari di persone richiedono forme attuali di tutela di diritti umani.
È in questo fondamentale contesto che si muove il Progetto HABM: The Holocaust of All. Battle of Memory (letteralmente “L’Olocausto di tutti. La battaglia della memoria”), iniziativa ad ampio respiro, finanziata appunto nel quadro del citato Programma Europa per i cittadini, che ha per capofila proprio DPI Italia e che vede Silvia Cutrera tra gli esperti impegnati nella realizzazione di esso. Con lei – già spesso presente sulle nostre pagine, per affrontare tali argomenti – ne abbiamo approfondito le caratteristiche.
Quali sono gli obiettivi del Progetto HABM?
«L’obiettivo prioritario è quello di riportare alla memoria dei cittadini dell’Unione Europea lo sterminio nazista delle persone con disabilità, evidenziando come il nesso esistente tra modernità, burocrazia e deresponsabilizzazione contribuì a favorire politiche di esclusione pianificate e razionali, fino ad arrivare appunto allo sterminio.
Se nella società attuale la memoria è in pericolo, quella dello sterminio nazista di circa 275.000 persone con disabilità è stata cancellata già negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale e al tempo del Processo di Norimberga. I fatti passati – se adeguatamente ricordati e conservati – serviranno a sensibilizzare, educare e arricchire il patrimonio umano europeo, in modo che un evento simile non si ripeta mai più. La memoria, infatti, è dotata di una dimensione dinamica, conserva, ricrea e ricostruisce; pertanto questo progetto converge su un obiettivo unico e trasversale: la consapevolezza. La consapevolezza della storia individuale e collettiva delle persone con disabilità, quasi sempre costellata dalla discriminazione e dall’esclusione, che in alcune epoche storiche – come quella nazista – sono sfociate in eventi tragici e crudeli: sterilizzazione, infanticidio, omicidio, sterminio. La consapevolezza, inoltre, del riemergere, con sempre maggiore forza, delle tesi naziste, sicuramente con altri linguaggi e forme, ma sempre con lo stesso significato e obiettivo, cioè eliminare quelli che sono “di peso” per la società che ha sempre minori risorse a disposizione. E infine la consapevolezza che l’Unione Europea rappresenti il baluardo contro ogni deriva eugenetica ed è quindi necessario che tutti i suoi cittadini abbiano la conoscenza necessaria per partecipare pienamente alla costruzione di una società europea nella quale sia garantito il futuro a tutti i cittadini nel rispetto delle diversità e differenze».
A proposito di “deriva eugenetica” e di temi bioetici in generale, vale certamente la pena soffermarsi ancora un po’ su questioni tanto decisive…
«Ben volentieri. Innanzitutto va detto che le correnti principali dell’eugenetica e dell’“igiene razziale” dei primi anni del Novecento contribuirono indirettamente a rendere possibile la politica nazista che proponeva una nazione abitata da un popolo in grado di generare una razza “migliore e più pura”, promuovendo l’idea che la distruzione dei deboli fosse un “trattamento curativo” per la nazione. Tale approccio riduceva una parte dell’umanità a livello di “parassiti”, introducendo parametri di valutazione di tipo biologico, giustificativi di pratiche di esclusione ed eliminazione.
L’opera cruciale sull’argomento, L’autorizzazione all’annientamento delle “vite indegne” di essere vissute”, fu pubblicata nel 1920 e scritta congiuntamente da due eminenti professori tedeschi, il giurista Karl Binding, in pensione dopo quarant’anni di insegnamento all’Università di Lipsia, e Alfred Hoche, docente di Psichiatria all’Università di Friburgo. In quel libro essi affermarono che gli individui cosiddetti “zavorra”, cioè le persone ritenute un “peso” per la comunità, dovevano essere eliminate. E non si riferivano solo ai malati incurabili, ma anche ai malati di mente, a chi soffriva di lesioni cerebrali, ai bambini con ritardo mentale e deformi, visti come “gusci vuoti di esseri umani”.
L’uccisione di tali persone, scrisse in particolare Hoche, “non può essere messa sullo stesso piano con altri tipi di uccisione […] ma è un atto lecito, utile”. Egli accennò poi al “carico economico terribile” che tali persone imponevano alla società, collocando il concetto organico dello Stato in una prospettiva medica e insistendo sulla tesi che “i singoli membri meno validi” dovessero “essere abbandonati e respinti”. Le competenze giuridico-biologiche degli autori fornirono giustificazioni ben argomentate, volte a fare apparire la morte non come negazione, ma come esito naturale di certe condizioni di vita.
Il valore alla vita, insomma, veniva attribuito osservando la condizione biologica che separava le vite “degne” da quelle “indegne” di essere vissute, sulla base di una valutazione scientifica relativa al grado di malattia e normalità di un individuo. Queste teorie, tredici anni dopo, divennero fatti e la legge nazista sulla sterilizzazione fu il primo passo cui fece seguito l’Aktion T4 [l’operazione di “eutanasia forzata”, che portò allo sterminio di centinaia di migliaia di persone con disabilità, da parte del regime nazista, N.d.R.]».
E oggi?
«Oggi dobbiamo conservare la memoria e dialogare con il presente, per impedire pericolose proposte selettive. Oggi, lo sviluppo dei test prenatali, i metodi per diagnosticare malattie dell’embrione, il perfezionamento delle tecniche riproduttive e la fecondazione assistita rappresentano delicate scelte morali su procreazione e nascita.
Gli scienziati del campo biologico, i luminari della genetica – aiutati dallo sviluppo delle ricerche in campo medico e grazie alle nuove tecniche – hanno avviato una discussione circa il “valore della vita”, che sembra apparentemente lontana dalle idee del passato eugenetico. Il perfezionamento delle diagnosi prenatali, infatti, dà informazioni circa le malformazioni e le malattie del feto e, in caso positivo, in molti Paesi l’aborto è legalmente possibile. Seppure in modo involontario, però, la conseguenza di tale livello di controllo sulle nascite è quella di rimuovere il diritto di una persona con disabilità all’esistenza, lasciando la responsabilità di questa scelta a donne, genitori e medici, incaricati di evitare tale nascita.
È nota la tesi del filosofo Peter Singer, secondo il quale è preferibile sopprimere un bambino malato in fase neonatale e sostituirlo con un nuovo “progetto creativo” e anche l’adozione in Olanda del cosiddetto “Protocollo di Groningen”, che autorizza l’eutanasia infantile di bambini con spina bifida o altre gravi patologie. Anche nel Regno Unito, il Royal College degli Ostetrici e dei Ginecologi suggerisce di legalizzare l’eutanasia infantile per i neonati gravemente malati.
Queste scelte segnalano, a mio avviso, il riemergere di un modello positivista che propone efficienza, produttività, migliore e confortevole qualità della vita. Anche le aspettative nei confronti di terapie geniche che eliminino le malattie espongono a dei rischi. Sono stati migliorati molti metodi di cura per una serie di patologie, mentre per altre – come il cancro, l’AIDS, il Parkinson e l’Alzheimer – non sono state ancora trovate cure risolutive. È in queste aree che si auspica un successo decisivo mediante l’utilizzazione delle avanzate tecnologie genetiche, pur non conoscendone le implicazioni e le conseguenze. L’uso delle cellule staminali embrionali umane, ad esempio, è una grande speranza per la medicina basata su queste tecnologie e tuttavia il suo utilizzo ha sollevato questioni etiche e morali basate soprattutto su fondamenti religiosi.
I progressi tecnico-scientifici applicati alla medicina sollecitano poi riflessioni anche sulla questione del “fine-vita” e sulla richiesta della persona morente di essere aiutata nel momento finale della sua esistenza. Non solo gli anziani e i malati, ma anche i pazienti in coma, come le persone coinvolte in incidenti, possono diventare soggetti a pratiche di eutanasia.
Da un punto di vista etico e di rispetto dei diritti umani, l’avere spostato i limiti di ciò che era tecnicamente possibile in medicina ha creato pertanto delle situazioni conflittuali che evocano i fantasmi del passato. Certamente, documenti come la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità o il recente testo prodotto dal Comitato di Bioetica della Repubblica di San Marino, che alla Convenzione stessa si rifà, intitolato L’approccio bioetico alle persone con disabilità, sapranno orientare al meglio, per evitare derive eugenetiche».
Tornando al dettaglio del Progetto HABM, quali ne sono i partner e quali le attività previste?
«Capofila del progetto è DPI Italia (Disabled Peoples’ International), organizzazione da sempre impegnata in prima linea nella promozione e nella difesa dei diritti umani. Vi partecipano poi l’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente), la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), la Biblioteca Nazionale di Napoli, l’IFSBH (International Federation for Spina Bifida and Hydrocephalus), con sede in Belgio, e l’ILS (Interessenvertretung selbstbestimmt leben in Deutschland) della Germania.
Riguardo poi alle attività previste, innanzitutto – esclusivamente per l’Italia – è in programma una serie di seminari formativi, destinati ai docenti e agli studenti di dodici scuole superiori, dislocate in Calabria, Campania e Lazio. Condotti da sei trainer esperti, essi verteranno principalmente sulla visione storica negativa e sullo sterminio nazista delle persone con disabilità, sull’Aktion T4 e sulle nuove teorie e derive eugenetiche, oltreché sul ruolo della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, per la costruzione di un’Europa inclusiva.
Qui il risultato che il progetto si prefigge di raggiungere – tramite il coinvolgimento dei docenti -, sarà quello di accrescere la conoscenza della storia individuale e collettiva delle persone con disabilità e dello sterminio di queste ultime durante il Terzo Reich; dai seminari con gli studenti, invece, quali futuri cittadini europei, ci si attende che, nella prospettiva della storia quale “maestra di vita”, conoscendo e ricordando i tragici errori e le tragedie del Novecento, sappiano identificare nel presente i germi di possibili derive eugenetiche in nuove forme.
Vi sarà poi una mostra-installazione in memoria dell’Aktion T4, realizzata in Italia, Belgio e Germania e infine una conferenza internazionale, prevista per il prossimo Giorno della Memoria (27 gennaio 2014), presso la Biblioteca Nazionale di Napoli».
Presidente dell’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente) e componente della Segreteria di DPI Italia (Disabled Peoples’ International).
Per ulteriori informazioni e approfondimenti sul Progetto HABM: dpitalia@dpitalia.org. Per ulteriori approfondimenti, invece, sullo sterminio delle persone con disabilità durante il nazismo, oltre ai numerosi testi pubblicati dal nostro giornale e qui a fianco elencati, suggeriamo anche la consultazione del sito Olokaustos.
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