Lo so, rischio di essere frainteso. Ma una notizia, tragica, dei giorni scorsi, un fatto di cronaca nera rimbalzato da Roma, merita purtroppo qualche riflessione, attorno al nostro mestiere di giornalisti, e attorno ai luoghi comuni.
Il fatto, più o meno, è questo. Per motivi ignoti, una persona in sedia a rotelle per una paraplegia (almeno così sembra) ha litigato violentemente con l’anziana zia, e l’ha uccisa a coltellate. Ha poi cercato di mascherare l’omicidio e persino di far sparire le tracce del cadavere, provando a infilarne il corpo in un baule, ma non riuscendo nell’impresa. Di qui la telefonata ai Carabinieri e il tentativo di simulare una rapina per scagionarsi, magari sperando che il fatto di essere in sedia a rotelle avrebbe fatto pensare agli agenti che non era possibile che fosse proprio lui il colpevole.
Fin qui i fatti, o almeno quel che ho capito io leggendo gli scarni articoli di cronaca sul web.
Ma sono stato colpito ancora una volta da un terribile «inchiodato su una sedia a rotelle», espressione che sarebbe irresistibilmente comica, se non apparisse irriverente e fuori luogo questa mia impressione. Per essere “inchiodato”, il nostro ci sapeva fare, evidentemente i chiodi non tenevano bene. In altri articoli si sorvola, e dopo poco la notizia è quasi scomparsa dall’home page dei principali quotidiani on line.
Anche questo, devo dire, mi inquieta non poco. Sarò ipersensibile, ma ho la sensazione che si sia cercato di stendere un velo pietoso sul fatto, proprio in considerazione della situazione fisica del presunto omicida (presunto fino a prova contraria, ovviamente). Come dire: non infieriamo su un “povero handicappato”.
Il mio è forse un processo alle intenzioni. Ma poi, quasi contemporaneamente, gli amici di Facebook mi porgono su un piatto d’argento un’altra chicca, davvero impressionante, vale a dire il titolo a tutta pagina, del 1° settembre, del quotidiano «La Voce di Mantova», ovvero Paraplegico si alza sul letto e invoca Satana… Il “peggio”, se così si può dire, arriva poi nel sommario: «Solo con l’arrivo del prete, chiamato dagli infermieri, lui ritorna nella propria infermità».
Ecco, qui la comicità sfiora la blasfemia. In parole povere, si tratterebbe di un “miracolo al contrario”, ossia Satana (sic!) avrebbe fatto drizzare come un obelisco il poveruomo, precipitato nuovamente sul letto “grazie” all’intervento salvifico del prete.
Non so che dire. La prima sensazione è che anni di onorate battaglie per cercare di favorire una comunicazione normale e corretta sulla disabilità finiscano nella spazzatura al primo caso di cronaca.
La seconda riflessione, più seria, è che l’episodio di Roma dimostra, se mai ci fosse ancora qualche dubbio, che le persone con disabilità non sono necessariamente dei “santi” e che possono arrivare anche a compiere delitti incredibili, utilizzando un’energia spesso derivante proprio dal continuo esercizio per mantenere la propria autonomia fisica.
Terzo pensiero, di nuovo di tipo professionale: questa di Roma è davvero una notizia di cronaca rilevante. Farla scomparire rapidamente dalle prime pagine non è un buon esercizio di correttezza professionale. Di tutto, come persone con disabilità, abbiamo bisogno, tranne che della pietà compassionevole. Su Mantova, invece, sono io a stendere un velo pietoso.
P.S.: per la precisione va detto che mentre al momento di scrivere queste mie riflessioni, l’articolo del «Messaggero.it» conteneva appunto l’espressione «inchiodato su una sedia a rotelle» (come del resto nel primo lancio ANSA, poi modificato), successivamente il pezzo è stato modificato ed ora è corretto. Sembra anzi di capire che la persona incriminata del delitto faccia solo ricorso alla sedia a rotelle, ma non sempre. Insomma, una bella differenza. Bene così.
Direttore responsabile di «Superando.it».
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