Marta Pagni è il classico “visino d’angelo”. Incarnato chiaro, sorriso dolce e accogliente, una folta e morbida chioma di capelli castani. Ma sotto quegli occhialetti alla moda sprizzano due occhi scuri, profondi e furbissimi. «Laurea, patente e massima autonomia»: ha ben chiari i suoi prossimi obiettivi, la venticinquenne bergamasca, laureanda in Scienze Pedagogiche all’Università della città orobica e sembra proprio possedere tutta la grinta necessaria per concretizzarli al più presto. Il suo sogno è «aiutare chi è disabile e non ha la forza e la voce per farsi valere come persona».
L’abbiamo incontrata nella sede della UILDM di Bergamo (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), dove ha svolto sette mesi di tirocinio.
Cara Marta, ti va di cominciare proprio “dalle origini”, ovvero dalla tua nascita?
«Certo! Vivo e sono cresciuta a Seriate (Bergamo), anche se non mi sento bergamasca. Sono nata, inaspettatamente, a Trieste, il 26 agosto 1988, mentre mamma rientrava da una vacanza passata dai cugini in Istria. I miei nonni materni, infatti, sono profughi di quella splendida terra bagnata dal mare e per rimanere italiani, durante il periodo di Tito, nel secondo conflitto mondiale, sono fuggiti in Italia, ritrovandosi a Cividate al Piano, un paese della Bassa Bergamasca.
Inaspettatamente, dicevo, perché avrei dovuto nascere tre mesi più tardi. È stato un parto prematuro, avvenuto a sei mesi di gravidanza, per una rottura intempestiva del sacco amniotico. Questo, insieme alla mancanza di ossigeno dovuta anche a tre giri di cordone ombelicale intorno al collo, ha provocato una lesione al cervelletto, con una conseguente disabilità motoria, che ha compromesso sia le braccia sia le gambe (tetraparesi spastica). Però, dopo molto esercizio e fatica, ho recuperato l’uso di mani e braccia e così la mia diagnosi si è trasformata da tetraparesi a paraparesi spastica».
Pensi che la tua disabilità ti abbia creato più limiti o più opportunità?
«Posso sicuramente dire che, se per il 20% la mia condizione di disabilità mi ha posto dei limiti logistici, per il restante 80% mi ha offerto delle opportunità che, in altre circostanze, non avrei potuto cogliere. Non avrei mai incontrato, ad esempio, le realtà della musicoterapia e del nuoto agonistico per disabili; certamente avrei sviluppato i miei interessi per gli studi umanistici, ma, magari, non con la passione con cui mi sto dedicando in questi anni, per aiutare, nel mio piccolo, chi ha bisogno e chi è disabile e non ha la forza e la voce per farsi valere come persona!
Sono stata un’atleta della PHB (Polisportiva Bergamasca ONLUS) del settore nuoto. Ho gareggiato dalla terza superiore, per ben sette anni consecutivi, fino ad arrivare ai Campionati Italiani Assoluti di categoria. Ora ho dovuto lasciare per vari motivi, però, appena posso, ho intenzione di riprendere!
Oltre alla fisioterapia, poi, la musicoterapia è un’altra delle attività che mi ha occupato parecchio durante il periodo dell’infanzia».
Di che cosa si tratta esattamente?
«Lo spiego ben volentieri. Ogni nostro gesto, movimento, azione, intonazione della voce, scaturisce da quello che “bolle” dentro di noi, dalle nostre emozioni, belle o brutte che siano non ha importanza. In ogni nostro gesto, movimento, azione, intonazione della voce, c’è un ritmo, un tempo, una musica. La musicoterapia, intesa come arte della comunicazione, consiste nel dare voce, trasformare in melodia, canto, armonia, il ritmo insito in un gesto, movimento, azione. Le capacità musicali, infatti, sono in ciascuno di noi perché la nostra storia è intessuta di ritmi, suoni, versi, rumori, a partire dal momento del concepimento. Il silenzio è il grande assente nella vita dell’uomo sulla terra. Voci, suoni, rumori, versi del mondo sono il silenzio della natura.
Il modello teorico della musicoterapia umanistica è fondato sulle leggi della fisica acustica, a partire dal concetto che il suono è la relazione per eccellenza. Da questo principio derivano i punti focali della musicoterapia umanistica, elaborata presso l’APMM (Associazione Pedagogica Musicale e Musicoterapia) di Ponteranica (Bergamo), ovvero:
– la “prima orchestra”: il grembo materno non ha un attimo di silenzio. Le nostre memorie sono radicate nelle esperienze ritmico-sonore vissute prima della nascita;
– il “corpo vibrante”: la relazione madre/figlio prima della nascita è fondata sulla risonanza corporea. Il nostro corpo è il “risuonatore” per eccellenza, che “con-vibra” nell’ascolto e vibra nella produzione dei suoi suoni, della voce;
– la “partitura vivente”: il nostro corpo con i suoi gesti, le sue tensioni emotive, la mimica del volto parla, narra, racconta delle nostre emozioni.
L’improvvisazione musicale al pianoforte è lo strumento di lavoro che crea il dialogo diretto con la persona, grande o piccola che sia. Lo studio epistemologico in atto da decenni presso l’APMM è radicato su questi princìpi. Movimento, ordine nel movimento, numerazione, parola, scaturiscono dalle esperienze ritmico-sonore vissute nel grembo materno attraverso il corpo vibrante, giocate nella relazione con il mondo (ascoltare), con gli altri (ascoltare ed essere ascoltato), con se stessi (ascoltarsi). In sostanza si può dire che ogni essere umano sia una “partitura vivente” (Edith Stein), che il musicoterapeuta impara a leggere attraverso un percorso di formazione.
E tuttavia gli studi non bastano. La lettura di questa “partitura”, infatti, richiede un costante interrogarsi alla ricerca dei princìpi sui quali si fondano le azioni nostre e delle persone delle quali ci prendiamo cura. Nulla può essere lasciato al caso. La scelta di uno strumento musicale è una scelta che comporta il poter giocare con ritmi, melodia e armonia in un modo specifico. Il percorso di formazione, poi, ruota attorno a tre cardini: musicale, corporeo, personale. La corporeità è sempre in gioco perché «tutti noi siamo il nostro corpo, il proprio corpo» (Edmund Husserl; Maurice Merleau-Ponty; Edith Stein). La musica è in gioco perché ogni gesto porta in sé un ritmo, una successione nel tempo e nello spazio. Personale, perché non è possibile prendersi cura delle emozioni, della sofferenza altrui, senza curarsi delle proprie.
Gli àmbiti di intervento interessano principalmente il periodo dell’età evolutiva e sono: autismo infantile (sindrome autistica e tratti di autismo); bambini non vedenti; bambini prematuri; bambini in fase prenatale; paralisi cerebrali infantili; plurihandicap; problemi di apprendimento; problemi e/o disturbi di linguaggio; sindrome di Down; sindromi varie; sordità infantile».
Trovo molto interessante il fatto che tu abbia vissuto l’associazione musicale prima come “paziente” e poi come “operatrice”…
«Già! Personalmente, sono stata in terapia dai tre anni fino alla quinta elementare e attraverso questo lavoro ho potuto riscoprire il mio corpo, riuscendo anche a recuperare l’uso di mani e braccia. Sono poi tornata da adulta presso l’APMM, tra il 2010 e il 2011, per svolgere il tirocinio previsto per il Corso di Laurea Triennale in Scienze dell’Educazione, come “operatrice”, allo scopo di studiare le implicazioni educative alla base di tale lavoro terapeutico.
Ho vissuto insomma l’esperienza della musicoterapia, sia al di qua che al di là della barricata, ciò che mi ha sicuramente agevolato nel riuscire a trasmettere meglio, da operatrice, i suoi benefìci e a farne comprendere l’importanza. Pochi sanno dell’esistenza di questa “disciplina” e mi piacerebbe molto riuscire a farla conoscere di più».
Sei soddisfatta del tuo percorso universitario, che dopo la citata laurea triennale in Scienze dell’Educazione, ti sta ora portando a conseguire quella specialistica in Scienze Pedagogiche?
«Sì, sono soddisfatta e penso che soprattutto questa fase finale mi abbia dato gli strumenti per realizzare il mio desiderio di lavorare nel campo della progettualità e gestione dei servizi educativi. Il tirocinio svolto presso la Sezione UILDM di Bergamo (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) mi è risultato molto utile per conoscere l’ambiente della progettazione sociale. La cosa che mi è rimasta più impressa è stata la capacità di flessibilità richiesta in campo progettuale e la complessità che ci sta dietro, per gli “addetti a lavori”.
Riguardo poi alla prossima tesi, non ho ancora le idee ben precise, ma sicuramente verterà proprio sulla progettazione sociale nel campo della disabilità».
Tutto bene anche dal punto di vista organizzativo?
«Beh, dal punto di vista organizzativo non è sempre stato tutto così semplice, vuoi per le barriere architettoniche, vuoi per il fatto di dipendere costantemente da qualcuno per i vari spostamenti. La questione trasporto, infatti, (a volte) impedisce la possibilità di creare delle relazioni e di conoscere più a fondo le persone con cui condividi una parte di percorso. Per quanto riguarda invece l’assistenza presso l’Università (di cui ho usufruito nei primi due anni degli studi), è stata molto utile per inserirmi efficacemente nel nuovo ambiente e per risolvere le prime incombenze burocratiche».
Hai già avviato contatti con qualche organizzazione per realizzare la tua ambizione lavorativa?
«No, per il momento, non ho contatti con nessuna organizzazione. Spero che in futuro mi si presentino delle occasioni!».
E dopo la laurea, la patente di guida! Ci tieni molto, vero?
«Sì, moltissimo! La patente mi permetterà maggiore autonomia dal punto di vista lavorativo, relazionale, ma, soprattutto, personale».
Immagino abbia giocato un ruolo importante la tua famiglia nella tua vita finora.
«È così. La mia famiglia ha avuto un ruolo fondamentale nella mia vita: mi ha spronato, sostenuto e accompagnato finora! Siamo in cinque e siamo una famiglia molto unita. Ho un fratello di 37 anni e una sorella di 32 che lavora in un Centro Diurno per Disabili. Mio padre è un medico patologo clinico con due lauree, una in Biologia e una in Medicina; mia madre, invece, è casalinga, anche se ha lavorato come maestra d’asilo e successivamente all’Ufficio Pubblica Istruzione del Comune di Bergamo. Oggi è lei la mia “autista personale”!».
Come te la immagini la tua “vita indipendente”?
«Beh, vorrei tanto avere una casa tutta mia, una famiglia con dei figli, perché ho un fortissimo senso materno. In più mi immagino con un lavoro soddisfacente sotto tutti i punti di vista».
Come ti piace passare il tempo libero, quando ne hai?
«Mi pace molto la musica, il cinema e il nuoto. I miei cantanti italiani preferiti sono Eros Ramazzotti, Francesco Renga ed Elisa Toffoli; quelli stranieri gli U2, i Coldplay e Paolo Nutini. Il film più bello che mi è capitato di vedere negli ultimi anni è stato Quasi amici, che consiglio a tutti. L’attività che invece vorrei riprendere è il nuoto agonistico».
So che ami molto Facebook…
«No, per niente. Non ho Facebook per principio! Primo perché in questa maniera “tutti sanno tutto di tutti” e poi perché non ho tempo extra da spendere al computer, oltre a quello che devo spenderci per dovere di studio».
E la croce che porti al collo?
«È un segno di appartenenza al gruppo dei Familiari della Fraternità Francescana di Betania in qualità di “Giovane di Betania”. Sono quei giovani che si sentono chiamati, dallo Spirito Santo, a vivere la propria esperienza di vita cristiana alla luce del messaggio di San Francesco e della spiritualità della Fraternità Francescana di Betania, approfondendo la propria vocazione».
Gioco finale del “se fossi-sarei”…
«Dunque, se fossi uno strumento musicale, sarei un pianoforte; un elemento naturale, l’acqua; un animale, il koala; un fiore, la calla; un indumento, la gonna; un personaggio storico, Giovanna D’Arco; un VIP moderno, Julia Roberts; un cartone animato, Kiss Me Licia».
La presente intervista è già apparsa nel sito del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con il titolo “Dar voce alle persone che non ci riescono”. Viene qui ripresa, con alcuni lievi riadattamenti al contesto, per gentile concessione.
Il Gruppo Donne UILDM
Quattordici eventi e altrettante pubblicazioni della collana Donna e disabilità, tantissimi articoli, interviste, recensioni, adesioni a campagne ecc., organizzati per temi, varie segnalazioni di film attinenti alle donne disabili, centinaia di film attinenti alle donne disabili, centinaia di segnalazioni bibliografiche e di risorse internet schedate: è questa la produzione del Gruppo Donne UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), che costituisce certamente una delle esperienze più vive e interessanti – nel campo della documentazione riguardante la disabilità – avviata nel 1998 in modo informale.
Gli obiettivi originari erano da una parte quello di raggiungere le pari opportunità per le donne con disabilità, attraverso una maggiore consapevolezza di sé e dei propri diritti, dall’altra cogliere la “diversità nella diversità”, riconoscendo la specificità della situazione delle donne disabili.
Poi, nel corso degli anni, il Gruppo ha cambiato in parte il proprio ambito d’interesse, oltre a non essere più composto da sole donne e a non occuparsi esclusivamente di questioni femminili. La stessa disabilità è diventata uno dei tanti elementi in un percorso di integrazione e di apertura su più fronti.
Nel 2008, per festeggiare il suo decimo “compleanno”, il Coordinamento del Gruppo Donne (composto allora da Francesca Arcadu, Annalisa Benedetti, Valentina Boscolo, Oriana Fioccone, Simona Lancioni, Francesca Penno, Anna Petrone, Fulvia Reggiani e Gaia Valmarin), decise di investire di più in informazione e in documentazione, recuperando i propri obiettivi originari, senza rinunciare all’apertura quale tratto distintivo. E così – come in un laboratorio – è iniziato un lavoro finalizzato a organizzare e rendere fruibili, attraverso il proprio spazio internet, le informazioni che circolano all’interno del Coordinamento stesso.
Un importante, ulteriore salto di qualità, infine, si è avuto con la creazione di un repertorio (VRD – Virtual Reference Desk), che raggruppa le varie risorse fruibili in internet (in lingua italiana) di e su donne con disabilità.
Nel 2011 il Gruppo Donne UILDM (che è anche su Facebook) ha anche ricevuto da Decima Musa Caravaggio (Associazione Culturale Europea-Compagnia Teatrale) il Premio Decima Musa «per il valore di un’attività finalizzata al raggiungimento delle pari opportunità, che sottolinea e affronta il problema specifico e la situazione delle donne disabili».
Un lavoro davvero prezioso, quindi, che purtroppo, recentemente, ha perso una delle sue prime “colonne”, a causa della dolorosa scomparsa di Gaia Valmarin, che a proposito della sua collaborazione con il Gruppo Donne UILDM aveva scritto: «Questa è una bellissima esperienza, che mi ha permesso di ampliare gli orizzonti e di aumentare la mia conoscenza del prossimo, e questo è il più bel dono che si possa ricevere!».
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