Ammetto di esserci rimasto quasi male, venendo da Milano, “metropoli europea” proiettata verso l’Expo 2015, quando, arrivando a Roma, ho potuto tranquillamente, come tutti i viaggiatori “normali” che escono sciamando dalla Stazione Termini, salire su un bel taxi, rimanendo seduto sulla mia sedia a rotelle.
Un’emozione che a Milano non posso provare, e neppure immaginare, perché nel capoluogo lombardo – dove vivo e lavoro – di taxi accessibili non ce n’è neppure uno. A Roma, al momento, sono più di venti. Non tantissimi, tenendo conto della dimensione della Capitale, ma pur sempre un buon biglietto da visita per chi, volendo evitare il faticoso e spesso pericoloso trasferimento dalla carrozzina al sedile, vorrebbe appunto poter scegliere – pagando – un servizio completo e confortevole.
È “3570” la cooperativa romana che fornisce da qualche tempo questo servizio, e non si tratta di una scelta marginale, ma di un impegno convinto, come si può vedere dal sito internet di questa azienda, che conta su 3.000 tassisti distribuiti nei due turni giornalieri (180 donne). Un colosso nel settore, evidentemente.
Ma la scelta di dotarsi di autovetture accessibili anche alle carrozzine è relativamente recente, risalendo infatti al 2010, decisione presa tenendo conto della realtà romana, nella quale i mezzi pubblici si stanno pian piano adeguando a criteri di accessibilità, ma non in modo tale da garantire comunque una mobilità veloce per tutti.
Ne parlo con i due conducenti, uno all’andata e uno al ritorno, che mi accompagnano da Termini a Via Teulada, dove sono atteso per una partecipazione al programma di RaiUno La vita in diretta, andato in onda l’11 settembre, con uno spazio dedicato al fatto di Casamicciola d’Ischia, di cui ho scritto anche su queste pagine. Alla fine pagherò per ogni corsa 24 euro, tassametro regolare e ricevuta, nessun supplemento per la disabilità.
Chiacchieriamo a lungo, cerco infatti di capire perché, ad esempio, entrambi abbiano scelto di collocare, nel taxi, una rampa manuale, senza allestimento idraulico. Una scelta che li costringe, per capirsi, a spingermi dentro con buona energia, prima di bloccare le ruote della sedia con gli appositi fermi.
Molte le spiegazioni. Il costo degli allestimenti, secondo loro tuttora molto elevato; l’incertezza sui tempi di ottenimento di un contributo pubblico, che pure è previsto; la possibilità, senza allestimento speciale, di cambiare vettura rapidamente, quando è ormai usurata per l’elevato chilometraggio; e poi la sensazione che un taxi “connotato” per l’accesso a persone con disabilità potrebbe apparire agli altri clienti “meno appetibile”. Tutte cose che so, che ho sentito tante volte. Ma resta il fatto che questi taxi ci sono. Alcuni dei loro colleghi hanno scelto l’allestimento con pedana elettronica e idraulica, ognuno è libero di decidere come meglio crede, l’importante è che il servizio funzioni, sia accurato, e soprattutto personalizzato.
Mi colpisce, in entrambi, la sincerità nelle risposte. «Dobbiamo pur guadagnare – mi dicono – ma certo questo non è il servizio che ti fa fare soldi. Però incontriamo persone vere, e si stabiliscono relazioni umane bellissime. Cerchiamo sempre di risolvere piccoli problemi, ognuno ha le sue caratteristiche, dall’ingombro della carrozzina al livello di mobilità personale». Occorre dunque un po’ di passione in più, non si può fare questo servizio se non c’è attenzione e rispetto per le persone. Sembra quasi una lezione di formazione alla cultura inclusiva, resto sbalordito.
Poi scopro nel sito che c’è anche una App per i clienti sordi, in modo tale che possano comunicare via smartphone con il conducente. Gratuita, ovviamente, e senza sovrapprezzo per la corsa da effettuare.
Fino a pochi anni fa, a Roma era davvero complicato muoversi in autonomia, senza usare la propria autovettura. Alcuni tentativi di servizio pubblico – alternativo rispetto ai pulmini privati delle associazioni o delle cooperative, sono finiti male – sino a quando è partita questa sperimentazione, riuscita.
Il numero dei taxi accessibili – mi dicono – è destinato ancora a crescere. Penso che gli argomenti usati dai due taxisti romani dovrebbero far riflettere chiunque è preposto all’organizzazione e alla soluzione dei problemi di trasporto pubblico per tutti. In Italia, “a macchia di leopardo”, esistono situazioni positive. La più nota è quella di Bologna, ma buoni esempi cominciano a diffondersi da Nord a Sud (ad esempio è notevole il caso di Trieste).
Torno a Milano, Treno Frecciarossa, poco più di tre ore. Poi in Stazione Centrale vado a riprendere la mia macchina, che fortunatamente sono riuscito a lasciare in sosta tutto il giorno (ma i posti per disabili sono pochi e mal segnalati anche in Centrale). Il taxi, inutile dire, me lo scordo.
Direttore responsabile di «Superando.it».
Articoli Correlati
- L'integrazione scolastica oggi "Una scuola, tante disabilità: dall'inserimento all'integrazione scolastica degli alunni con disabilità". Questo il titolo dell'approfondita analisi prodotta da Filippo Furioso - docente e giudice onorario del Tribunale dei Minorenni piemontese…
- Sordocecità, la rivoluzione inclusiva delle donne Julia Brace, Laura Bridgman, Helen Keller, Sabina Santilli. E poi Anne Sullivan. Le prime quattro erano donne sordocieche, la quinta era “soltanto” quasi completamente cieca, ma non si può parlare…
- Qualcosa di intangibile che ti manca Venticinque anni accanto a una figlia con gravissimi problemi di disabilità, con tutti i tempi della vita quotidiana letteralmente “irregimentati”, come «in una fionda, con l’elastico sempre tirato». Poi la…