La formazione dei docenti è un tema focale, che richiede di essere correttamente inquadrato. Credo cioè che vada chiarito come il compito di realizzare l’inclusività nella scuola non spetti soltanto ai docenti di sostegno, ma sia compito di tutti i docenti e di tutti i dirigenti scolastici. E della società nel suo insieme, che deve fornire supporti, condizioni, norme, risorse adeguati alla sfida.
Nel nostro ordinamento, qualsiasi docente, in ogni momento della propria carriera, può trovarsi a dover rispondere alla richiesta di insegnamento specializzato ad un allievo in ogni possibile condizione, ivi comprese le malattie o le sindromi rare o rarissime o le condizioni uniche.
Credo perciò che vada ribadita la corretta prospettiva da cui esaminare la questione: non si insegna alla disabilità o ai problemi, ma alle persone.
Per impostare un insegnamento efficace, è necessario innanzitutto avere strumenti per individuare le potenzialità di ciascun alunno e per svilupparle, in un quadro coerente di riferimenti che sappiano distinguere ciò che è essenziale e ciò che non lo è, quali conoscenze e competenze sono fondamentali e supportano lo sviluppo e quali invece sono ad esse conseguenti.
Credo che per dare concretezza a questo ampio orizzonte sia necessario che si arrivi a definire un curricolo di competenze essenziali cui si deve puntare nell’educazione di ciascun alunno con disabilità, ovviamente “gerarchizzate” in ordine di rilevanza, rispetto alla possibilità di crescita autonoma, di sviluppo dell’identità personale e della vita futura. Ed è necessario che i docenti siano aiutati a costruirsi il bagaglio essenziale di strumenti efficaci per fare sviluppare queste competenze in ragazzi diversi.
John Wooden, un grandissimo giocatore statunitense di basket, che è poi diventato anche un efficacissimo e stimatissimo coach, diceva durante una conferenza: «Non permettere che ciò che non puoi fare interferisca con quello che puoi fare».
Il tema di quella conferenza consisteva nella differenza tra “vittoria e successo”: «Successo come raggiungimento della serenità interiore dovuta alla consapevolezza di avere ottenuto il massimo miglioramento possibile in virtù delle proprie capacità e secondo i propri limiti».
Ecco: noi non dobbiamo cercare la vittoria – cosa che presuppone che qualcun altro sia sconfitto – ma dobbiamo cercare il successo di ogni ragazzo nel superamento delle proprie difficoltà, dei limiti, nella contemporanea accettazione di qualsiasi condizione umana non modificabile.
E questo non riguarda soltanto i ragazzi con disabilità, ma ciascun ragazzo che cresciamo nelle nostre case, nelle nostre scuole, nelle nostre strade.
Vicedirettore dell’Ufficio Scolastico Regionale dell’Emilia Romagna. Estratto dal discorso pronunciato a Castello di Serravalle (Bologna), il 5 ottobre 2013, in occasione della manifestazione “A come autismo: Invisibile, Sconosciuto, Frequente. Conoscere per agire”, promossa dall’ANGSA Bologna (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici). Ringraziamo per la segnalazione «Autismo 33.it».
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