Essere madri di una persona con autismo

di Liana Baroni*
«Non mi sono mai sentita “vittima” di mio figlio con autismo - scrive Liana Baroni -, ma ho sempre posto un limite al mio sacrificio, per mantenere il mio equilibrio, per essere moglie, mamma e donna inserita nel mondo del lavoro. Né ho mai voluto essere una sua “estensione”, cercando invece di essere la mamma che prepara il figlio e lo educa affinché possa essere inserito nella vita sociale»

Ragazzo con autismo insieme a operatrici educativeE una donna che stringeva un bambino al seno disse: / Parlaci dei Figli / Ed egli rispose: / Sono lo strumento perfetto del divino: l’espressione vivente forgiato dal suo unico “pensiero” / E i figli sono le risposte che la vita dona ad ognuno di noi. / Sono loro l’essenza del vostro sorriso. / Sono sangue e carne della vostra carne./ ma non il vostro sangue e la vostra carne. / Loro sono i figli e le figlie della fame che la vita ha di se stessa. / Attraverso di voi giungono, ma non da voi. / E benché vivano con voi, non vi appartengono. / Affidategli tutto il vostro amore ma non i vostri pensieri: / Essi hanno i loro pensieri. / Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime: / Esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno. / Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi: / La vita è una strada che sempre procede in avanti e mai si ferma sul passato. / Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono stati scoccati in avanti. / È l’Arciere che guarda il bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane. / Affidatevi con gioia alla mano dell’Arciere; / Poiché come ama egli il volo della freccia, così ama la fermezza dell’arco.
(Kahlil Gibran)

Che peccato non avere l’estro di uno scrittore per poter scrivere tutto quanto passa per la mente, con considerazioni, riflessioni, ribellioni ecc., sul fatto di essere madre di un figlio con autismo.
Ho vissuto in prima persona, e condiviso con tantissime mamme, le ansie e i dubbi su “cosa fare per questo bambino mal equipaggiato”, e insieme ci siamo date le stesse risposte (“non è una colpa, ma una casualità”).
Perché l’autismo di mio figlio mi ha trasformato pian piano in una “leonessa”, pur nella mitezza del mio carattere, che lotta per lui, e per le persone con autismo piccole e adulte.
Perché non mi sono mai sentita “sua vittima”, ma ho sempre posto un limite al mio sacrificio, per mantenere il mio equilibrio, per essere moglie, mamma e donna inserita nel mondo del lavoro. Non ho mai voluto essere una sua “estensione”, ma ho sempre cercato di essere la mamma che prepara il figlio e lo educa affinché possa essere inserito nella vita sociale.

Nel brano riportato all’inizio, Kahlil Gibran scrive che i figli non ci appartengono ma «sono del mondo» («Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono stati scoccati in avanti. / È l’Arciere che guarda il bersaglio sul sentiero dell’infinito e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane»).
In Italia i figli sono pezzi ’e core e si tengono spesso a lungo in famiglia. In questi tempi di difficoltà economiche avere l’indipendenza dei propri figli è diventata quasi una chimera. Se questo poi è difficile per i giovani adulti, immaginiamo le difficoltà per prospettare una vita fuori casa di un ragazzo con disabilità.
Il mio pensiero è che sia diritto di ogni figlio/a, quando diventa adulto, ad avere una vita indipendente dalla famiglia, anche di un ragazzo con autismo, così come succede ai coetanei.

Per quanto poi mi riguarda, se non sono tanto elegante nella mia persona e frequento poco il parrucchiere, non è dovuto a mancanza di cura, ma piuttosto alla mia “esperienza sessantottina”, che non mi ha mai fatto amare un look formalmente perfetto, prediligendo una libertà da schemi imposti di una femminilità stereotipata.
Non ho mai considerato mio figlio come una “sventura”, è nato in una famiglia in cui è stato amato e rispettato per la sua diversità. Una famiglia che lo ha accolto e aiutato a crescere sereno e felice.
Tutto ciò è stato possibile grazie all’aiuto di tante persone: educatori, familiari, insegnanti ed esperti in pedagogia speciale, che lo hanno aiutato a crescere per un’ottima integrazione quando frequentava la scuola. Perché è fondamentale non restare soli, e sapere anche che qualcuno può correre in tuo e in suo aiuto. Una rete di relazioni che ha aiutato la nostra famiglia a non sentirsi abbandonata.

Quando però per la famiglia i riferimenti mancano, non sappiamo come si possa reagire al carico enorme di lavoro e di preoccupazione. E se arriva la depressione, il carico da sopportare è schiacciante. Cosicché quando accade qualche orribile fatto di violenza, come quello dei giorni scorsi a Città di Castello (Perugia), con l’accoltellamento di un ragazzo con autismo da parte della mamma, c’è naturalmente la colpa di quest’ultima, ma è colpevole anche chi l’ha lasciata sola, quando ci sarebbe stato il dovere morale e istituzionale di intervenire.

Mamma di una persona con autismo. Presidente nazionale dell’ANGSA (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici).

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