L’avrei mandata volentieri una vera cartolina da Rimini [Giorgio Genta, come avevamo riferito la scorsa settimana, è stato invitato a Rimini, per presentare un intervento al nono Convegno Internazionale “La Qualità dell’integrazione scolastica e sociale”, organizzato dal Centro Studi Erickson, N.d.R.], se avessi trovato la penna per scriverla, il francobollo per spedirla e naturalmente la cartolina in oggetto. Anzi ero quasi in procinto di farlo e la colpa del mancato invio è stata di Claudio Imprudente, Marco Espa e Francesca Palmas, che mi hanno teso un simpatico “agguato” in albergo, appena arrivato.
Mi hanno sollecitato a far presto a scrollarmi di dosso la stanchezza delle solite veglie notturne casalinghe e delle “quaresime” in un reparto di rianimazione e io, reso ubbidiente dalla vista di un bellissimo buffet stracolmo di leccornie adriatiche, ho magnanimamente accondisceso al loro invito.
E così tra la tavoletta di plastica di Claudio [l’ausilio con cui comunica Claudio Imprudente, N.d.R.], magistralmente gestita dalla sua accompagnatrice-aiutante di campo, le raccomandazioni di Marco e le informazioni aggiornatissime di Francesca, sono riuscito a stare quasi zitto, perché non sta bene – come dicevano ai miei tempi -, parlare con la bocca troppo piena.
Ah, l’ospitalità della Erickson! Un felicissimo connubio tra precisione trentina e calore adriatico. Credendomi sempre una persona morigerata (non si rida troppo, ve ne prego!), mi ritiro per tempo nella “suite Federico Fellini”, non prima di aver castamente rifiutato calicetti di mirto, limoncello o grappa. Solo un rude caffè.
Scioccamente mi illudevo così di propiziare un sonno ristoratore in un ampio letto, ma purtroppo quasi tutti viviamo di abitudini e le mie sono particolarmente “maniacali e nocive”: mi manca infatti soprattutto il suono degli allarmi di pompe di alimentazione, ventilatori polmonari e tecnologia varie dedicate a mia figlia Silvia, che non so assolutamente gestire, cosicché eccomi alle quattro e mezza del mattino sul terrazzino, a cercare di indovinare da che parte stia il mare, con un cielo terso, l’aria mite e la vista un po’ annebbiata sia dal vino Trebbiano che dalla mancanza degli occhiali, poi ritrovati.
Come sia quindi riuscito a raggiungere il Palacongressi in tempo utile, rimane un fatto misterioso (di solito sono bravissimo a far tardi, pur preparandomi alcune ore prima), e comunque nella fresca mattinata i notevoli volumi del palazzo contengono a stento il popolo della scuola italiana e non solo, che sembra esservisi radunato tutto per l’evento.
Non si è capito nulla della vita, se si pensa a me come a un possibile protagonista dell’evento, anche se – lo confesso – per un attimo mi sono sentito tale. Un protagonista “da ridere” s’intende. Mentre cerco infatti di mantenere un contegno decoroso, evitando di inciampare nei cavi della televisione e nelle gambe di qualche gentile congressista (credo donne al 90% del totale), raggiungo un palco smisurato, sotto l’implacabile canicola prodotta di un centinaio di riflettori da 50.000 watt.
Sul palco siedono “anche” i più bei nomi della scienza, della scuola e della politica e io mi sento come una specie di vermiciattolo, piccolo piccolo, come quelli delle mele… no, queste cose non si devono dire* con tutti i big della Erickson di Trento che mi ascoltano (quasi tutte bellissime signore, Dario Ianes e Andrea Canevaro a parte…).
Bevo parecchia acqua mentre ascolto relatori affascinanti e tra una ritirata strategica e l’altra, trovo modo di fare le solite gaffe*, mio unico titolo di notorietà.
Ed eccomi finalmente sul podio più alto, anche se forse è a livello del palco: ci fossero stati infatti dei gradini, sarei sicuramente inciampato. Sono vecchio, stanco, faccio pena (ci scappa persino un piccolo applauso di incoraggiamento), riesco a ripetere otto volte le stesse cose inutili e neppure una quelle un po’ meno inutili. Fingo di non vedere la mano gentile del professor Canevaro che dirigendo il concerto con umana tolleranza, mi implora di concludere.
Se poi qualche anima gentile e candida vorrà leggersi la relazione che avrei dovuto illustrare, avessi avuto sette ore di tempo e l’energia per farlo, la troverà cliccando qui.
Al ritorno, Silvia – come voi magnanima – mi ha perdonato. Altre un po’ meno, ovvero quella santa donna di mia moglie e la sorella maggiore di Silvia, che piegano la schiena mentre io latito, come sempre.
*Qualche nota in più sulle gaffe, che non creo apposta – sennò tra l’altro non sarebbero nemmeno tali – ma che mi vengono proprio spontanee, come ad altri, temo. Il “vermetto delle mele”, che vanta una storiografia, letteratura e simbologia sterminata, non va nominato di fronte a persone del Trentino, perché le famosissime mele di quella Regione (già oggetto a suo tempo di un articoletto su queste stesse pagine, scritto da un autore da ignorare…), pur biologicissime, non ne albergano veruno.
E un’altra “gaffe a due stelle” riguarda una gentilissima signora che a Rimini mi sorride e mi ferma mentre mi arrampico sulla “scala del paradiso” – con tanto di pedana elevatrice – che porta al palco. Conversiamo amabilmente, fingo di riconoscerla, sembro un incallito uomo politico nell’esercizio delle sue male funzioni, mentre cerco disperatamente di leggerne il nome sul cartellino che porta vezzosamente appeso al collo (come me, del resto, anche se assai meno vezzosamente). La vista, però, non mi sostiene, non riesco proprio a mettere a fuoco il nome (sarà l’effetto dei riflettori?) e vengo colto dall’acuto sguardo femminile, mentre tento vanamente di farlo. Confesso così la mia smemoratezza e la mia scarsa vista. Perdonami, Lucia Ferlino, ti conosco “da mille anni” (altra gaffe nella gaffe…)! E pensare che proprio tu mi avevi svelato per prima i segreti del puntamento visivo… (Lucia Ferlino è ricercatrice dell’Istituto per le Tecnologie Didattiche del CNR di Genova).
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