Tra le prime dichiarazioni del neonominato presidente della Regione Friuli Venezia Giulia Renzo Tondo, ricordiamo l’intenzione di scegliere Vladimir Kosic per la gestione della Sanità locale. E così è stato.
Nell’ottica, dunque, del Niente su di Noi senza di Noi, l’incarico di Kosic a capo dell’Assessorato Regionale alla Sanità del Friuli Venezia Giulia è un avvenimento importante per le persone con disabilità. Kosic, infatti, in veste di presidente della Consulta Regionale delle Associazioni dei Disabili, porta avanti da molti anni e in prima linea le battaglie per l’integrazione sociale.
Come intende gestire il suo mandato e quali sono i punti principali che affronterà?
«Per un settore importante qual è quello della salute e dell’assistenza, per la nostra Regione sono maturi i tempi affinché l’idea di Welfare State – in cui lo Stato attraverso le amministrazioni pubbliche locali garantisce i servizi primari – sia sostituita dall’idea di Welfare Community – in cui la società, con tutte le sue risorse, soprattutto di qualità (sia pubbliche che private, davvero non ci interessa più!), faccia fronte alle sfide contemporanee, come comunità in grado di sostenere e condividere le soluzioni migliori e disponibili.
È ormai evidente, infatti, che per fronteggiare le emergenze l’istituzione pubblica non basta più. Perciò ora è la società, nel suo insieme, che deve farsene carico (come di fatto già accade) nelle diverse articolazioni e forme di servizi cui ha saputo dar vita, aggregando bisogni e risposte. Soprattutto, e a maggior ragione, questo è già accaduto laddove l’ente pubblico si è dimostrato incapace e/o inefficiente».
Qual è la situazione attuale della sanità e dell’assistenza in Friuli Venezia Giulia, in particolare per quanto riguarda le persone con disabilità?
«La risposta va articolata in due parti. Innanzitutto va detto che in rapporto alle altre Regioni italiane, la situazione friulana è sicuramente positiva, perché l’attenzione per le persone con disabilità e il lavoro delle associazioni e degli enti locali hanno una storia e uno spessore di contenuti e di protagonisti straordinari. Traccia eloquente di questo lungo percorso si trova in alcune esperienze e norme pilota regionali che sono state in grado di offrire fondamentali opportunità per l’intero Paese.
Un’esperienza da ricordare, ad esempio, è quella di cui è stato protagonista Franco Basaglia a Gorizia e a Trieste negli anni Settanta; una Legge Regionale da ricordare, invece, è la 17/94, che ha precorso la Legge Nazionale 68/99 sul lavoro delle persone con disabilità.
La seconda parte della mia risposta attiene invece ai risultati.
Quello che posso dire è che, in rapporto alle aspettative delle persone con disabilità, delle famiglie e delle associazioni, si poteva e si sarebbe quindi dovuto fare meglio. Invece, ancor oggi, anche nella nostra Regione il tema della gravità è lasciato in gran parte a carico delle famiglie e delle associazioni. In particolare, sul territorio permangono urgenze rilevanti a livello domiciliare e residenziale.
A livello domiciliare, considerando quanto è successo nella riorganizzazione del Sistema Sanitario Regionale nell’ultimo decennio, direi che la riduzione dell’ospedalizzazione, da una parte, ha certamente prodotto più appropriatezza nell’utilizzo degli ospedali, ma dall’altra ha anche portato all’aumento di risorse poco efficaci e, al loro interno, contraddittorie. Infatti, l’aumento dell’Assistenza Domiciliare Integrata è stato accompagnato da quello del carico sulle famiglie (con 10.000 badanti), dell’istituzionalizzazione (10.000 ospiti nelle case di riposo) e della spesa per i contributi economici (mi riferisco all’assegno cura, per il quale si veda l’articolo 32 della Legge Regionale 10/98 e la Legge Nazionale 162/98).
E ancora, i dati del PSSR 2006-2008 (Piano Socio-Sanitario Regionale) riportano che il SID (Servizio Infermieristico Domiciliare) è passato da 343.637 accessi a 409.539 e da 26.665 utenti a 30.402. Nello stesso periodo, l’SRD (Servizio Riabilitativo Domiciliare) è passato da 27.971 accessi a 38.652 e da 3.845 utenti a 6.631. In particolare, sono i posti letto per non-autosufficienti ad aver subito un continuo aumento (3.963 nel 1994 e 5.722 nel 2003). La dotazione complessiva di personale distrettuale, al 30 giugno 2004, è pari a 1.882 unità: quasi il 50% è costituito da personale infermieristico-ostetrico. Al 31 dicembre 2004, infine, i Distretti della Regione contavano 488 dipendenti dedicati all’Assistenza Domiciliare, fra i quali il 79,3% costituito da personale infermieristico-ostetrico, il 7,4% da personale della riabilitazione e il 6,6% da personale di supporto.
Per meglio comprendere l’esigua dimensione dell’attuale intervento domiciliare, si consideri che le ore di assistenza domiciliare infermieristica per utente con bisogni complessi del SID non superano le quaranta all’anno e che in tale dato sono ricomprese anche le attività di supporto (preparazione materiale, imputazione dati…) e i tempi di percorrenza, che complessivamente possono superare il 50% del tempo totale, tant’è che nel citato PSSR si legge che vi sono «difficoltà a mettere in relazione le risorse utilizzate e i risultati di salute conseguiti». Nell’ASL n. 1 di Trieste, dove il rapporto infermieri-popolazione è il più alto della Regione (5,1 infermieri ogni 10.000 abitanti), vi è anche il più alto numero di persone non autosufficienti istituzionalizzate.
Ritengo dunque che queste criticità siano la conseguenza della rigidità del sistema pubblico, basato sul principio per cui i cittadini si devono adeguare ai servizi disponibili e non viceversa. Da questo concetto e dalla sua applicazione deriva il fallimento dei buoni propositi sul territorio.
Siccome nessun contributo economico sarà mai in grado di garantire i bisogni connessi alla salute per tutti i cittadini, ritengo che il carico della malattia connesso alla disabilità/cronicità grave (non autosufficienza) debba coinvolgere anche la riorganizzazione del sistema sanitario (Long Term Care), tanto in ospedale quanto sul territorio, e quanto più grave è la condizione, tanto più efficace dovrà essere l’integrazione con i servizi sociali.
I servizi sanitari prestati sul territorio dovranno essere erogati per soddisfare i bisogni più gravi e per prevenire e combattere l’istituzionalizzazione. Incrementare solo le risorse per i contributi assistenziali può risultare rischioso se non si procede anche a una rivisitazione della qualità e dell’efficacia dei servizi sanitari. Il pericolo più grave è di creare percorsi “paralleli”, nella forma di contributi economici, e scaricare solo alle famiglie/associazioni i casi più gravi. L’insostituibilità del ruolo della famiglia e delle associazioni non va confusa né con il ruolo di supplenza che sono costrette a svolgere nella comunità di appartenenza, né, purtroppo, con la loro eterna durata.
Per quanto riguarda poi le urgenze a livello residenziale, scontiamo ritardi rilevanti. Cito Michele Mangano, presidente nazionale dell’Auser – la principale associazione italiana impegnata in ambito di terza età – che dice: «Al centro delle relazioni tra enti locali e organismi del cosiddetto Terzo Settore c’è un enorme paradosso. Infatti, a fronte del rilevante apporto che associazioni e imprese sociali forniscono alla gestione dei servizi sociali, le autonomie locali sono ancora inadempienti nella creazione di un sistema di regole davvero efficiente e trasparente, per consentire al Terzo Settore di erogare servizi di qualità e svolgere una funzione importante anche in termini di programmazione e di sussidiarietà orizzontale».
Sono d’accordo con lui. In questo campo ci sono gravi inadempienze delle Regioni: ad esempio, a sette anni dall’approvazione della Legge 328/00, non sono ancora state completate le procedure per rendere operativo l’istituto dell’accreditamento dei servizi sociali, necessario a regolamentare il rapporto tra enti locali e imprese sociali e a fissare standard di funzionamento e di gestione delle strutture e dei servizi.
Ad oggi, solo tre amministrazioni locali (Marche, Veneto e provincia di Trento) hanno concluso il percorso di modernizzazione dei sistemi di offerta dei servizi sociali. Abruzzo, Calabria, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta e la Provincia di Bolzano hanno avviato procedure senza risultati concreti. Il Friuli Venezia Giulia, assieme a Basilicata, Campania, Lazio, Sardegna e Sicilia, non hanno ancora definito alcun sistema di accreditamento.
Ci tengo a dire, in conclusione, che nel maggio del 2006 si è costituito il Comitato Regionale delle Associazioni/Enti “Dopo-Durante Noi” del Friuli Venezia Giulia, allo scopo di costituire un tavolo unico di dialogo sulle tematiche e sui bisogni legati al “Dopo di Noi”, finalizzato ad implementare, valorizzare e promuovere efficaci modelli gestionali di servizi, di progettualità riabilitative, di inclusione delle persone con disabilità nelle comunità, di integrazione dei servizi privati e pubblici. Inoltre, altro scopo del Comitato è quello di confrontarsi sui criteri da inserire nella programmazione sociale e sanitaria ai vari livelli (regionale, provinciale, locale, ambito/distretto, area vasta), in merito alle problematiche dei servizi degli utenti del “Dopo di Noi”, con particolare riguardo alla gravità della disabilità, alla continuità nei confronti delle realtà esistenti, al superamento della precarietà, alla finalizzazione delle risorse e allo sviluppo di nuove progettualità condivise».
Come intende qualificare i percorsi di Vita Indipendente e del “Dopo di Noi” nel suo assessorato?
«Continueremo con il Fondo per l’Autonomia Possibile, e quindi anche con la Vita Indipendente, nonché con la creazione di un Tavolo Regionale sul Dopo di Noi».
Come potranno concretamente influenzare il suo mandato i contenuti della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità?
«Avranno molta influenza. Ad esempio, declinando i principi dell’inclusione e dell’antidiscriminazione con l’applicazione di strumenti appropriati.
D’altronde è questo, secondo me, lo straordinario potere descrittivo e di lettura multidimensionale dei bisogni e dei diritti delle persone con disabilità offertoci dall’ICF (la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità)».
Quali saranno le principali difficoltà con cui dovrà scontrarsi?
«Ho il sostegno del presidente Renzo Tondo e dell’intera Giunta Regionale, che mi ha accolto con grande disponibilità. Ho sentito, da parte di alcuni colleghi e colleghe, affetto. I dipendenti dell’Amministrazione Regionale, dall’usciere al segretario generale, fino al capo di gabinetto, hanno fatto di tutto per farmi sentire a mio agio. Sono grato a tutti, in primo luogo al presidente, con il quale ho maturato, nel corso di un decennio, tappe importanti della mia vita, privata e pubblica.
È stato proprio Renzo Tondo, nel 2001, a permettere l’ingresso della Consulta Regionale delle Associazioni dei Disabili a palazzo, dandoci la stanza attigua alla sua. Nel 2002, poi, ha organizzato una conferenza mondiale per presentare l’ICF ai delegati dei Paesi dell’Assemblea dell’OMS. Cercherò dunque di fare del mio meglio per non deludere la fiducia in me riposta». (Barbara Pianca)
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