Storie di corpi solitari

di Silvia Cutrera*
Abbiamo incontrato chi da nove anni in Svizzera esercita la professione di “assistente sessuale”, per persone - soprattutto uomini - con disabilità. Un approfondimento utile a capire se e come anche in Italia potrà arrivare un giorno tale attività, come sembra dimostrare il primo corso di formazione di imminente avvio a Bologna. E ai temi della sessualità e dell’affettività sarà dedicato anche il secondo Premio “Teatro e Disabilità”

Persona sfuocata sullo sfondo, dietro ai raggi di una ruotaL’Istituto Italiano di Sessuologia Scientifica ha organizzato nei giorni scorsi a Roma un evento centrato sulla Promozione del benessere sessuale, durante il quale sono state affrontate varie tematiche tra cui anche quella centrata sulla Disabilità e la Sessualità, con un’attenzione particolare alla questione assai dibattuta in questi ultimi anni dell’“assistenza sessuale”.
Alla tavola rotonda organizzata per l’occasione ha partecipato come relatore anche Lorenzo Fumagalli, uno dei primi assistenti sessuali ad avere frequentato uno specifico corso di formazione in Svizzera, organizzato esattamente nel 2004 dall’Associazione Pro Infirmis.

A margine dell’incontro abbiamo rivolto alcune domande a Lorenzo, per fare un bilancio di questa attività, riflettendo sulle prospettive e le possibilità di offrire anche in Italia tale sostegno alle persone con disabilità interessate.
Inutile negare, infatti, che il bisogno affettivo e sessuale appartiene all’essere umano e quindi anche alle persone con disabilità le quali, però, anche in questo àmbito trovano spesso molti ostacoli di natura familiare, culturale e sociale, che impediscono sostanzialmente di esprimere i propri desideri. In particolare, una delle difficoltà più visibili è chiaramente data dalla “mancanza dell’Altro”, giacché avere una grave disabilità riduce le opportunità di incontro affettivo e sessuale, sia per questioni oggettive che per la percezione che l’Altro ha della disabilità, spesso vissuta con timore e inadeguatezza.
In alcuni Paesi europei – come l’Olanda, la Germania o la Danimarca -, la società si è fatta carico di questi bisogni, favorendo forme di sussidiarietà e avviando appunto corsi di formazione per assistenti sessuali di persone con disabilità. Leggendo per altro i moduli formativi di tali corsi (Francia e Svizzera), non ci si sente molto rassicurati e si coglie un eccesso nel voler professionalizzare questi nuovi operatori del benessere sessuale, con il rischio di affrontare ancora una volta la disabilità con l’ormai superato approccio medico-sociale.
Forse, quindi, sarebbe opportuno che anche in tale contesto il motto Nulla su di Noi senza di Noi trovasse realizzazione nel prevedere come formatori le stesse persone con disabilità. Inoltre, se consideriamo la prestazione sessuale come forma di assistenza, c’è il pericolo di assegnare ai contraenti ruoli confusi in cui il cliente diventa paziente e l’assistente sessuale un fisioterapista-assistente sociale, trasformando l’incontro in un’attività di “medicalizzazione” che non risolve la questione della mancanza di una relazione basata sulla parità e reciprocità.
Va infine detto che la prestazione sessuale – pagata dal cliente disabile oppure, nel Nord Europa, rimborsata dall’Ente Locale – oggi verrebbe considerata in Italia come una forma di prostituzione ed è proprio questo uno dei motivi che ha fatto nascere a Bologna, all’inizio di quest’anno, il Comitato Promotore per la Realizzazione e il Sostegno di Iniziative Popolari per l’Assistenza Sessuale, impegnato per ottenere il riconoscimento giuridico della professione di assistente sessuale.

Parlando con Lorenzo Fumagalli, è emerso che in questi nove anni le sue prestazioni si sono rivolte soprattutto a persone con gravi disabilità fisiche e con disabilità intellettive. In questi ultimi casi, a riolgersi a lui sono stati i familiari oppure, nel caso di persone ospitate in strutture residenziali, la richiesta è stata formulata dai Servizi Sociali.
Caratteristica degli incontri è la gradualità: sono previsti, infatti, incontri in cui conoscersi per capire come e cosa sarà possibile realizzare, avvertire del pericolo di innamoramento – che può rappresentare una criticità e che come tale va affrontato  nello svelarne le proiezioni -, prevedere un accompagnamento nella delusione ed eventualmente una sostituzione o interruzione. Fondamentale è la capacità di ascolto e accoglienza alle richieste della persona con disabilità nel rispetto delle disponibilità reciproche.

Cercando dunque di trarre un bilancio, questo è certamente positivo, alla luce del fatto, ad esempio, che la metà degli assistenti formati nel primo corso continuano la loro attività e durante questi anni hanno avuto tra loro momenti informali di confronto e condivisione, alcuni dei quali diventando anche formatori. Nel frattempo, ulteriori corsi sono stati avviati e l’anno scorso a Zurigo sono stati formati altri dieci assistenti (sei uomini e quattro donne) tra cui due persone omosessuali.
L’auspicio è che nella fase di selezione per l’accesso ai corsi vengano approfondite le motivazioni degli aspiranti formatori onde evitare il rischio di abusi.
Dal canto suo Lorenzo conferma che è bassa la percentuale di donne con disabilità che richiedono assistenza sessuale, sia per la necessità e la formazione culturale delle donne nell’immaginarsi in una relazione piuttosto che in sporadici rapporti a pagamento, sia per esperienze pregresse di abusi e molestie, ma anche per la paura e l’incapacità nel riconoscere i propri bisogni affettivi e desideri sessuali. E a volte si tratta di “richieste sommerse” che trovano soluzioni con il ricorso al classico “gigolò” oppure, nel caso di donne “naviganti” sul web, nei social network, nei blog o nei siti di incontro specializzati.
Lorenzo è ancora motivato a mantenere il ruolo del saper dare piacere, del favorire le persone con disabilità ad accedere pienamente al loro benessere, consentendo loro, in fondo, di esercitare il proprio stesso diritto alla salute. Con tale convinzione, ogni incontro è per lui occasione di scambio e soddisfazione laddove, più che il denaro, è la gioia dei clienti a ripagarlo.
Chissà, quindi, se anche in Italia avremo un giorno degli assistenti sessuali. Intanto accogliamo positivamente la notizia che dal prossimo mese di gennaio inizierà a Bologna un corso di formazione.

A questo punto, e in piena sintonia con l’interesse che tali argomenti suscitano, l’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente) e l’ECAD (Ebraismo Cultura Arte Drammaturgia) hanno deciso di dedicare la seconda edizione del Premio Teatro e Disabilità ai Linguaggi per una sessualità e affettività, ricordando che il teatro è stato scelto per questa iniziativa, tra le varie arti, poiché più di altre esso comunica direttamente – attraverso la fisicità e la corporeità – emozioni e concetti vissuti anche dalle persone con disabilità. In altre parole, il teatro, pur essendo “arte della finzione”, non nasconde sulla scena né la mente né il corpo.
Si potrà quindi partecipare al Premio, inviando, entro il 1° febbraio 2014, un testo teatrale (di non oltre trenta cartelle), che abbia appunto come tema la disabilità, i suoi protagonisti e la loro vita affettiva.
I vincitori – prescelti da una giuria presieduta dall’attrice Pamela Villoresi e composta da chi scrive, presidente dell’AVI di Roma, da Dino Barlaam, presidente della FISH Lazio (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), dalla giornalista Laura De Luca, dalla docente universitaria di Psicologia alla Sapienza di Roma Angela Guarino, dallo scrittore e giornalista Claudio Imprudente, dalla docente universitaria di Storia del Teatro all’Università di Roma Tor Vergata Donatella Orecchia, dal regista e scrittore Vittorio Pavoncello e dallo storico e scrittore Matteo Schianchi – verranno premiati a Roma il 7 aprile del prossimo anno.

Presidente dell’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente).

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: agvitaindipendente@libero.it.

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