Il computer a controllo cerebrale – che d’ora in poi chiameremo BCI (Brain Computer Interface) – è una chimera che da più di un ventennio viene “avvistata” nei laboratori di mezzo mondo, anche se con discreta predilezione in quelli statunitensi. Dai laboratori si cerca di arrivare al pubblico, quello che fa mercato, attraverso la sensazionalità e l’ultima riguarda la possibilità di far volare un modellino di elicottero col pensiero.
La realtà è che il campo è variegato e che l’Italia è all’avanguardia. Il primo elicotterino che si è alzato in volo con la forza del pensiero si è infatti staccato da terra nell’ottobre del 2010 al Convegno Mind Force dell’Università di Siena ed è frutto di un lavoro tutto italiano. E oggi la BCI forse più efficace è italiana. È al servizio delle persone con disabilità, si presta a diventare uno strumento d’uso quotidiano e il sottoscritto l’ha provata. Ecco come funziona e cosa fa.
Il principale problema di un sistema di questo tipo – che per lo più consiste in un software – sta nell’intercettare i segnali cerebrali che coincidono con quello che volgarmente chiamiamo pensiero. Ogni impulso di questo tipo, infatti, genera un microsegnale elettrico, ma non tutto il pensare è uguale, e quindi bisogna scegliere innanzitutto quale tipo di pensiero utilizzare.
Principalmente si scelgono segnali di reazione a uno stimolo, cioè pensieri che si attuano ogni volta che il cervello reagisce a un fenomeno. Ad esempio, quando vediamo una luce che si accende all’improvviso. Questo è il metodo cosiddetto P300, dal nome dell’onda cerebrale che l’elettroencefalografo acquisisce ogniqualvolta si concretizza un impulso del genere.
Un altro metodo è quello dell’“immaginazione motoria”, o pensieri relativi al movimento (Motor Imagery), cioè di quegli impulsi che generiamo ogni volta che pensiamo di muovere qualcosa. Il computer che realizza un nostro desiderio al volo – tipo io penso di scrivere un’e-mail e lui me la scrive così come la sto pensando -, non esiste, però ci possiamo andare molto vicino.
Individuato dunque il tipo di segnale, bisogna catturarlo concretamente e per fare questo c’è bisogno di un meccanismo simile a quello dell’elettroencefalogramma.
Tale sistema è parte fondamentale della BCI ed è in essa integrato. Si compone di un software, che è parte integrante del software della BCI, e di una serie di elettrodi da posizionare il più vicino possibile al cervello. I sistemi più invasivi prevedono la collocazione di un sensore direttamente all’interno della scatola cranica, mentre quelli più pratici si servono di accessori analoghi a quelli che vengono posizionati in testa quando si fa un elettroencefalogramma (EEG). Generalmente si tratta di un caschetto flessibile che incorpora i sensori e che, naturalmente, è collegato al computer.
Il sistema che ho provato io è molto più versatile perché utilizza una sorta di corona di plastica con i sensori incorporati che si mette rapidamente ed è collegata al computer senza fili. Il computer è un tablet con sistema operativo Windows. L’impressione, a prima vista, è di un’apparecchiatura semplice, leggera e molto più vicina a un prodotto di consumo di massa che non ad un “dinosauro da laboratorio”.
Pasquale Fedele, ingegnere calabrese che cinque anni fa presso l’Università di Siena ha cominciato a realizzare questa BCI, mi mette in testa il caschetto posizionando bene i sensori, li umidifica con una soluzione salina (non il tipico gel da elettroencefalogramma), per migliorare la conduzione del segnale, e controlla sullo schermo del tablet che tutti siano in posizione. Pochi minuti e sono pronto.
L’ultima volta, con una P300, l’operazione aveva richiesto molto tempo in più e in testa mi era rimasto per giorni del pruriginosissimo gel conduttore. Già che non mi pruda la testa lo ritengo un successo. La BCI in questione si basa sul citato metodo dell’immaginazione motoria.
A questo punto io devo imparare ad usare il software e il software deve imparare a conoscere me. L’ingegnere mi spiega che devo immaginare di spingere qualcosa, quando voglio attivare una delle funzioni le cui icone scorrono sul tablet. Io ci provo e faccio una gran fatica. L’ingegnere lo capisce e mi spiega che non c’è bisogno di sforzarsi perché basta solo immaginare di spingere; non bisogna spingere veramente.
Calibro le mie intenzioni e il computer comincia a funzionare. È divertente. Sono ancora in fase di addestramento – ci vogliono quaranta minuti per un addestramento ottimale, ma ne bastano la metà per iniziare a vedere qualcosa – e già riesco a fermare il cursore che scorre lungo alcune icone quando voglio io. Fantastico. La sensazione è quella di utilizzare la tastiera, o un mouse o qualunque altro sistema di puntamento, solo che sto usando il pensiero.
La difficoltà sta nel cercare di smettere di pensare. A un certo punto, infatti, viene voglia di spingere qualunque cosa si guardi e allora bisogna educarsi a smettere e anche per questo è prevista un’apposita fase di addestramento.
Un aspetto non trascurabile consiste nella possibilità di guidare il computer senza guardare lo schermo. Un segnale sonoro, infatti, consente di capire che cosa sta facendo il computer stesso e quando è il momento di concentrarsi per attivare l’opzione desiderata. Questa funzione rende possibile l’utilizzo del tablet a distanza e, soprattutto, lo rende fruibile alle persone in stato di locked-in, cioè quelle che, per una qualsiasi ragione, non sono in grado di muovere gli occhi.
Alle persone con disabilità gravissime il sistema calza perfettamente perché consente loro di comunicare. Per esempio è possibile programmare delle frasi che la persona può far dire al sistema al posto suo. Se si ha sete si può spingere l’apposita icona con il bicchiere e il tablet farà capire che si vuole bere.
Un’apparecchiatura del genere, inoltre, può aiutare a distinguere i casi di stato vegetativo permanente, cioè quelle persone che approssimativamente non sono in grado di relazionarsi con l’ambiente in alcun modo, da quelli di minima coscienza, cioè quelle persone che vorrebbero comunicare, ma non sono in grado di muovere nessuna parte del corpo, occhi compresi, per poterlo fare. Metti in mano una BCI così a una persona che non sai se può comunicare o no e una volta che le hai insegnato come funziona le si aprirà un mondo. E noi sapremo che capisce e cosa vuole.
Attualmente, con questa BCI, è possibile farsi capire e sono in fase di sviluppo applicazioni per scrivere, mandare e-mail, gestire social network e controllare arti robotici in grado di agire al posto dell’operatore. Il costo è di 7.500 euro più IVA, ma si può acquisire con un canone di 480 euro al mese e nei costi è compreso il servizio d’addestramento a domicilio (per informazioni rivolgersi alla Liquidweb).
Questa versione della BCI è figlia di quella che per prima sollevò l’elicottero all’Università di Siena, portando l’Italia e questo gruppo di ricercatori ai vertici della ricerca in questo campo. Oggi queste persone compongono un’azienda, condotta dall’ingegner Fedele, che riceve contatti da tutto il mondo.
Per arrivare a un computer utile nella vita di tutti i giorni, quando, per esempio, si hanno le mani impegnate e si vuole attivare una funzione pensandola, ci vorranno ancora degli anni, intanto, però, la strada è tracciata e l’Italia ci ha messo una pietra miliare.
Testo già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Computer a controllo cerebrale: l’Italia all’avanguardia”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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