Trasformo la mia vita in versi. Questa è una frase di Marta Telatin, giovane padovana, diventata non vedente a tredici anni a causa di una malattia rara: la sindrome di Stickler.
Marta ha trent’anni e due lauree, conseguite all’Università di Padova, una in Scienze della Comunicazione, una in Sociologia; inoltre ha al suo attivo un corso in Comunicazione nei Media e ora sta frequentando un master in Criminologia Critica. «Per me – dice – il bicchiere è sempre mezzo pieno e cerco se possibile di riempire anche l’altra metà».
Marta è un’ottimista e affronta la vita con coraggio e passione. Vive da sola sin dall’età di diciotto anni e ha già pubblicato due libri di poesie, Con-fini-dell-anima in-(versi) e Il Caleido-scoppio dei pensieri, oltre ad avere un proprio sito. «Paradossalmente – afferma – da quando ho perso la vista ci vedo di più! E vorrei che le persone imparassero a guardare con la propria interiorità. Sono diventata cieca a tredici anni e so che si possono rendere preziosi tutti e cinque i sensi. La vista vi fa vedere, tutti gli altri sensi vi fanno guardare».
Nel 2012 Marta ha ricevuto il Premio Internazionale Universum Donna VIII nella Sezione Impegno Sociale e Solidarietà e anche una nomina ad ambasciatrice di pace dall’Università della Pace della Svizzera Italiana. «Ho molta fiducia in me stessa – spiega – e questo lo devo alla mia famiglia che ha creduto in me e mi ha assecondata da sempre. Mia madre sapeva che a causa della mia malattia avrei perso la vista e quindi mi ha spinto ad essere indipendente fin da piccola. Quando avevo tre anni, mi faceva ordinare la cameretta, piegare i vestiti, ora a distanza di tempo ho capito perché ci teneva tanto. Mia madre, scherzando, afferma che mi ha insegnato troppo bene a essere indipendente (a diciotto anni già vivevo da sola) e sapendo come sarei diventata, si sarebbe data meno da fare!»
La giovane propone dei corsi alle scuole, alle associazioni, nelle carceri, dove insegna a usare i sensi in maniera profonda. «Nei miei corsi – racconta – faccio eseguire degli esercizi al buio, per insegnare alle persone a muoversi senza luce, per “ascoltare” il proprio corpo e quello degli altri. Invito a toccare degli oggetti e mi faccio dire che sensazioni trasmettono, se evocano dei ricordi. Stesso discorso per i profumi, voglio sapere quel dato odore a che sensazione viene associato. Cerco di arrivare ai ricordi dell’infanzia, al bambino che abbiamo messo da parte».
Tutto il lavoro di Marta è su base volontaria, anche con i detenuti nella casa di reclusione Due Palazzi di Padova. «La mia disabilità – spiega – mi aiuta nel rapporto con i detenuti. Quando parlano con me, mi dicono: “Noi siamo in carcere perché lo abbiamo meritato, tu invece la vista l’hai persa per destino e non ti lamenti mai, sorridi, sei solare, questo tuo modo di vivere ci dà forza”».
Marta cerca di instaurare con i carcerati un rapporto di fiducia, per accompagnarli a scoprire i propri talenti nascosti e dare loro l’opportunità di ricrearsi. La giovane propone questi corsi anche nel Reparto “internati” del carcere di Padova, dove ci sono persone ritenute pericolose per la società. «La mia più grande soddisfazione – sottolinea – è che dopo un anno di incontri con loro parlano di arcobaleni, di speranza, di voglia di cambiare, prima invece i loro discorsi erano incentrati solo su droga, rapine e vedevano tutto nero».
Insomma, si può ben dire che Marta Telatin sia davvero una forza della natura, come ben testimonia anche suo motto personale, che è «Rovescio l’arcobaleno per farlo sorridere».
Ringraziamo Paola Maschio per la segnalazione.
Testo già apparso in «Golem – Dalla notizia all’informazione», con il titolo “Il verso della vita”, e qui ripreso – con minimi riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.
Articoli Correlati
- Marta e le (sue) fasi lunari “Gioca” (e ride) sin dal titolo della sua antologia, che ne anagramma il nome, la giovane poetessa non vedente Marta Telatin e “gioca” anche con le fasi lunari, cui fa…
- Sordocecità, la rivoluzione inclusiva delle donne Julia Brace, Laura Bridgman, Helen Keller, Sabina Santilli. E poi Anne Sullivan. Le prime quattro erano donne sordocieche, la quinta era “soltanto” quasi completamente cieca, ma non si può parlare…
- Per un nostro dibattito scientifico «Urge la nostra fondamentale presenza in qualità di studiosi - scrive Claudio Roberti - perché dobbiamo poter dire: “Niente su di Noi senza di Noi", anche in tale ambito». E…