Alto, con gli occhiali, i modi eleganti e gentili, l’ambasciatore Don MacKay, diplomatico della Nuova Zelanda, da questa sesta sessione è il presidente dell’Ad Hoc Committee. Egli ha sostituito l’ambasciatore Gallego, colombiano, che ha assunto un altro incarico.
Abbiamo avuto modo di scambiare quattro chiacchiere con lui in occasione di un party di benvenuto del 1° agosto, cui sono state invitate tutte le delegazioni. E in tale occasione abbiamo appreso che MacKay ha in passato conosciuto e apprezzato il nostro Paese, avendo lavorato all’ambasciata neozelandese a Roma per tre anni. Inoltre, la moglie è di origine italiana (i genitori erano di Stromboli e Massa Lubrense, nella penisola sorrentina) e conosce qualche parola di italiano.
Nel corso dell’incontro con l’International Disability Caucus che ha avuto luogo martedì 2 agosto, l’ambasciatore ha espresso il proprio punto di vista sul ruolo delle Organizzazioni Non Governative, che riportiamo assieme ad alcune domande che gli abbiamo rivolto direttamente.
«Il ruolo delle Organizzazioni Non Governative nella scrittura della Convenzione è importante e consentire anche alle persone con disabilità di parlare – attraverso le sessioni informali – è un valore aggiunto alla scrittura della Convenzione stessa. L’esperienza delle Organizzazioni Non Governative – ha continuato Mackay – ha già contribuito in maniera significativa alla qualità del testo, e io cercherò di garantire, nel corso dei lavori dell’Ad Hoc Committee, le stesse possibilità di partecipare alla discussione sia ai governi che alle Organizzazioni stesse ».
Ambasciatore Mackay, é difficile il lavoro di Presidente dell’Ad Hoc Committee?
«Si tratta di un lavoro delicato che presenta varie problematiche. Il primo problema è di carattere procedurale. Purtroppo, infatti, qui lavoriamo con la possibilità di presentare solo il testo elaborato dal gruppo di lavoro e quindi ogni volta che una delegazione presenta emendamenti o integrazioni, non facendolo il più delle volte attraverso testi scritti, diventa difficile avere una percezione del testo chiara e condivisa da tutti, e può risultare quindi non facile seguire i lavori.
Il secondo problema, invece, è legato ai contenuti. Tutelare i diritti umani delle persone con disabilità è un tema nuovo, che necessita di opportuni approfondimenti e proprio per questo motivo lascerò spazio a interventi di esperti, per consentire a tutti di conoscere meglio i temi più controversi.
Infine, c’è un problema che riguarda i differenti approcci culturali e i sistemi sociali di tutela. I problemi che affrontano i Paesi in via di sviluppo, infatti, sono differenti da quelli che vivono i Paesi sviluppati. Il mio compito, quindi, sarà anche quello di cercare di orientare i governi per rendere più rapida possibile l’approvazione di un testo comune. Come ripeto spesso, non c’è accordo su niente se non quando tutto è condiviso e, allo stesso tempo, la perfezione è nemica del bene. Questo, naturalmente, complica il mio lavoro».
Quanto tempo ci vorrà per avere un testo definitivo della Convenzione e l’approvazione da parte dei Paesi membri?
«Ho intenzione di accelerare il più possibile i tempi della discussione, garantendo però gli approfondimenti necessari. Sarà importante avere una Convenzione condivisa e un testo di qualità. Per quanto sia difficile prevedere il futuro in un campo così delicato e in cui sono coinvolti ben 191 Paesi, io spero che entro il 2006 l’Ad Hoc Committee possa licenziare un testo.
Diverso, poi, è il discorso del recepimento del testo da parte dei Paesi membri: qui i tempi si potrebbero allungare. Credo che ci vorranno probabilmente diversi anni per raggiungere il quorum di Paesi necessario a rendere la Convenzione effettiva. Forse, complessivamente, ne potranno passare una decina».
Alla fine della chiacchierata, l’ambasciatore ci licenzia con un largo sorriso: è una persona simpatica e ottimista e lavorare con lui, come presidente dell’Ad Hoc Committee, rincuora: egli trasmette allo stesso tempo leggerezza e serietà, oltre che speranza. Sarà sicuramente un buon presidente, attento a tutte le esigenze. Nel gestire ad esempio il delicato tema dell’educazione, è stato molto bravo a far emergere le diverse posizioni tra quelle delle associazioni di persone sorde e cieche, che difendono per loro un’educazione speciale e altre che vogliono invece un’educazione inclusiva per tutti.
MacKay lancia quindi un segnale di speranza per i 600 milioni di persone con disabilità che in tutti i Paesi del mondo attendono che i loro diritti umani vengano riconosciuti e rispettati.