Là, dove l’impossibile diventa possibile. Straordinaria la chiusura della Paralimpiade Invernale di Sochi, in Russia, cui chi scrive ha avuto la fortuna di assistere. Reaching the Impossible (“Raggiungendo l’impossibile”), si è sviluppato in una trama che ha illuminato la sera del mondo, di chi ha voluto partecipare alla festa, mostrando come i sogni possano essere raggiunti e diventare realtà cambiando la percezione delle possibilità.
Ecco, allora, che la parola Impossible (impossibile), si è trasformata in I’m possibile, “io mostro che è possibile”, con una traduzione un po’ libera, ma efficace. Basta poco: mettere un apostrofo, inserire uno spazio. E cambia il mondo. Lo sport mostra proprio questo: togliete le barriere mentali, e non solo quelle, perché qui ci sono le abilità.
Lo ha spiegato bene Phil Craven, presidente del Comitato Paralimpico Internazionale, alla sua ultima Paralimpiade Invernale: «Lo spirito paralimpico ha unito e contagiato tutti noi. Voi, Proud Paralympians [“orgogliosi atleti paralimpici”], le vostre prestazioni, che sanno ispirare gli altri, hanno ridefinito i confini delle possibilità. Avete dimostrato al mondo che è assolutamente tutto possibile e che la vita è saper percepire le belle abilità e non ciò che manca». C’è poco da aggiungere perché il senso è tutto qui: saper vedere le abilità nel luogo dove l’impossibile si trasforma nel possibile.
Un’intuizione straordinaria quella di chi ha ideato e prodotto lo spettacolo più costoso di sempre per una Paralimpiade. Ed è stato un team tutto italiano a farlo: Marco Balich il produttore esecutivo (ormai riferimento nel mondo; sue saranno anche le produzioni dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro 2016), Lida Castelli la regista, a guidare uno straordinario team con numeri da capogiro.
Giusto uno, magari banale, ma curioso per rendere l’idea: per le due cerimonie paralimpiche (apertura e chiusura) sono state ordinate oltre ottomila paia di scarpe. Moltiplicate tutto per le cose meno banali e capirete perché queste cerimonie erano davvero uno spettacolo molto, molto importante. E si parlava di Paralimpiadi, quelli che erano i “Giochi degli handicappati” solo pochi decenni fa. Chi pensava che sarebbe potuta accadere una crescita di questo tipo? Ecco, anche in questo caso: è diventato possibile, anche se pareva incredibile.
Nel complesso sono stati i Giochi Paralimpici Invernali più belli e appassionanti di sempre, con record di partecipazione (547 atleti di 44 Paesi), di biglietti venduti (oltre 360.000, quasi 90.000 in più rispetto a Vancouver nel 2010) e di visibilità (per la prima volta trasmessi in diretta negli Stati Uniti, cosa che la RAI fa regolarmente, dopo Torino2006, questa volta con 120 ore di trasmissione; solo la TV russa ha fatto di più).
Dal punto di vista agonistico, l’Italia non è andata bene: zero medaglie, come non ci accadeva dal 1980, ma in quel caso eravamo rappresentati da un solo atleta. E tuttavia, nella notte di Sochi, con quella parola fatta di tetramini (le figure del videogioco Tetris, inventato proprio in Russia), che si trasforma e fa capire molto della vita, non è stata questa la cosa importante. Contava davvero esserci, nel luogo dove l’impossibile diventa possibile.
Testo già apparso – con il titolo “Impossible? No, I’m possible” – in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it». Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.
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