Vicino alla sala in cui si svolgono le sessioni plenarie dell’Ad Hoc Committee, il Comitato che sta lavorando a New York per la Convenzione Internazionale dell’ONU sulla disabilità, vi è una hall con un bar dove si prendono accordi per progetti e collaborazioni e dove incontri di lavoro si intrecciano a conversazioni che possono influenzare il testo della Convenzione stessa.
Ed è proprio qui che – alla fine della prima settimana dei lavori di New York – che abbiamo incontrato Lydia la Rivière-Zijdel.
Capelli argentei, un viso aperto e comunicativo, Lydia è una delle leader del movimento delle donne con disabilità nel mondo. Responsabile per molti anni del Gruppo Donne dell’European Disability Forum (EDF) e presidente dell’European Women’s Lobby – l’Associazione più rappresentativa delle donne in Europa – Lydia ha partecipato anche alle negoziazioni del Gruppo Donne dell’International Disability Caucus.
Qual è la condizione delle donne con disabilità nel mondo?
Più della metà dei 600 milioni di persone con disabilità nel mondo sono di sesso femminile, ma nonostante questo le donne vengono spesso ignorate anche nelle politiche indirizzate alla disabilità, considerate invisibili, cancellate.
Le donne con disabilità vivono condizioni di multidiscriminazioni, sia nei Paesi poveri, dove le risorse sono limitate e il peso delle tradizioni le relega a posizioni di inferiorità – si pensi ad alcune aree della Cina in cui nascere donna è considerata una iattura, o a quei Paesi dove le donne hanno solo ruoli familiari e l’accesso all’educazione è loro negato – che in quelli ricchi, dove l’uguaglianza di opportunità tra uomini e donne è ben lungi dall’essere conseguita.
Nella Convenzione sull’Eliminazione delle Discriminazioni contro le Donne (Convention on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women, CEDAW) non vi sono specifici riferimenti alle donne con disabilità e sovente nel monitoraggio per verificarne il livello di applicazione, le donne con disabilità non vengono tenute in considerazione. Per questo – nella Convenzione sui Diritti delle Persone con Disabilità – chiediamo vi sia un’adeguata attenzione all’uguaglianza di genere e alle discriminazioni che vivono, ovunque nel mondo, le donne con disabilità.
Come stanno andando, quindi, le negoziazioni nell’Ad Hoc Committee su tali questioni?
Il Gruppo Donne dell’International Disability Caucus aveva chiesto che venisse utilizzato un doppio approccio: l’introduzione di un articolo specifico sulle donne (come per i bambini), oltre che di una serie di riferimenti all’uguaglianza di genere nei singoli articoli, in modo da conseguire il mainstreaming di genere anche per le donne con disabilità.
Purtroppo, alla realizzazione di ciò vi sono resistenze da parte di varie delegazioni governative. L’Unione Europea, ad esempio, non vuole un articolo specifico e ha varie perplessità ad introdurre riferimenti alle donne in diversi altri. Da qualche tempo, infatti, l’Unione Europea – e il Regno Unito in particolare, che al momento ne detiene la presidenza – spinte dalla necessità di favorire l’inclusione di cittadini provenienti da vari continenti, pongono l’accento più che sull’uguaglianza di genere sull’uguaglianza per tutti. E questo ha determinato un abbassamento del livello di attenzione – nell’Unione – all’uguaglianza di genere, che per altro nel campo della disabilità non era mai stata conseguita.
Per questo insistiamo nel ricordare che la Convenzione che stiamo realizzando non riguarda solamente i Paesi ricchi, ma tutti i Paesi del mondo, dove l’uguaglianza di genere è un principio essenziale per garantire l’uguaglianza di accesso ai diritti, ai servizi, alla società in generale.
Inoltre, la nostra richiesta di sostituire in vari articoli la tradizionale formula di persone con disabilità, con quella attenta alla distinzione di genere uomini e donne con disabilità, ragazzi e ragazze con disabilità, per noi è importante. Dev’essere ricordato anche nella scrittura che abbiamo un sesso! Nel modello medico della disabilità, invece, questo “dettaglio” è praticamente occultato.
Sempre dal punto di vista del negoziato, comunque, risulta evidente la necessità di una maggiore flessibilità, sia da parte delle Organizzazioni Non Governative, sia dei governi, per conseguire un testo soddisfacente per tutti. A questo livello – infatti – è necessario che le Organizzazioni Non Governative sappiano parlare anche il linguaggio dei governi.
A proposito di queste ultime, cosa pensi della loro partecipazione all’interno delle delegazioni governative?
Per quanto possa sembrare un importante elemento di inclusione, queste presenze non sono sempre positive. Infatti sussiste il rischio che i governi scelgano le Organizzazioni Non Governative più vicine alle loro posizioni o, peggio, che i rappresentati delle Organizzazioni stesse – per poter entrare a far parte delle delegazioni ufficiali – accettino posizioni subalterne. Ho già visto purtroppo fenomeni di questo tipo.
Altre volte, invece, le stesse richieste delle organizzazioni di persone con disabilità sono irrealistiche, e quindi destinate a rimanere inascoltate. In questo senso credo sia importante che in ogni regione vengano nominati dei “facilitatori”, in grado di trasferire determinate conoscenze alle Organizzazioni e di far avvicinare i due linguaggi.
Si dice spesso, però, che se non hai un sogno non riuscirai mai a realizzarlo…
E’ vero. Però bisogna avere sogni per i propri figli!
Cosa pensi stia producendo la globalizzazione nel campo della disabilità?
La globalizzazione che sta imponendosi a livello mondiale si basa su un unico standard, ovvero quello del mercato economico. Questo determina che la tutela dei diritti e delle esigenze delle persone vengano sacrificati all’obiettivo dello sviluppo economico. Lo abbiamo visto nel caso dei medicinali troppo cari per i malati di AIDS, a causa dei diritti di brevetto, indisponibili per i Paesi poveri. La logica del mercato, in quel caso, è stata più importante di quella dei diritti umani.
Così nel campo della disabilità, dove i diritti non sono ancora riconosciuti per milioni di persone e dove un modello medico della disabilità è ancora prevalente, un approccio “economico” abbassa i livelli di attenzione ai diritti sociali e alla solidarietà.
Inoltre, questa globalizzazione sta ampliando la forbice tra i Paesi ricchi e quelli poveri, e all’interno di questi, tra persone ricche e persone povere. Vedo un ritorno a pratiche che nel secondo dopoguerra sembravano ormai superate: mi riferisco, per esempio, a un nuovo colonialismo, al ritorno a strutture di potere oligarchico – e non solo all’interno di Paesi poveri – soprattutto a livello di rapporti internazionali.
Come valuti le prospettive future, in ambito europeo, dei diritti delle persone con disabilità? La stagnazione economica, la riformulazione del welfare state e il trasferimento di competenze pubbliche al privato non sembrano elementi tanto favorevoli. Cosa ne pensi?
In Europa c’è bisogno di un nuovo slancio nel campo della solidarietà. Il welfare è nato sulla base delle idee di Marshall, e cioè che ogni uomo deve poter vivere in modo dignitoso, con il rispetto che gli è proprio e in piena libertà. Questi principi, che fino agli inizi degli anni Settanta erano alla base delle politiche governative dello Stato sociale, ora sono dimenticati. Già oggi, alcuni interventi che un tempo facevano parte dei compiti degli Stati, sono stati trasferiti alla beneficenza privata, vedi l’esempio di Telethon.
Lo stesso poi avviene per quanto riguarda i Paesi poveri. E quindi le maggiori risorse necessarie per affrontare e ridurre la povertà nel mondo – tema dell’iniziativa globale dell’ONU per gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals – MDG) – rimangono un’esigenza rivendicata sulla carta, ma non realmente impegnativa per i governi.
La globalizzazione basata solo sull’economia sta trasformando una modalità di governare un tempo centrata sui principi sociali, in una modalità di liberalismo puro, dove ognuno agisce, in teoria, con la piena capacità di rappresentarsi contrattualmente sul mercato, ma in realtà con un potere limitato. Infatti, i rapporti tra impresa e lavoratore singolo e tra Stato e cittadino sono completamente sbilanciati a favore dei poteri del primo e a discapito dei secondi.
Non si deve dimenticare poi che in Europa stanno ritornando dei governi di destra in quasi tutti i Paesi: Portogallo, Francia, Olanda, Italia e così via. La stessa Commissione Europea, presieduta da Barroso, sta arretrando rispetto agli impegni di Lisbona e agli stessi diritti delle persone con disabilità. E così ritornano il paternalismo, il colonialismo e il liberalismo.
Oggi le persone con disabilità devono riflettere su questo nuovo quadro di riferimento culturale e politico, per trovare nuove strategie.
In questo quadro di involuzione, c’è qualche segnale di speranza?
La speranza la vedo nelle delegazioni dei Paesi poveri che partecipano a questo Ad Hoc Committee. Trasmette molta energia, infatti, incontrare i leader di questi Paesi, spesso dimenticati, che trasmettono vitalità, forza, desiderio di partecipazione, voglia di contare, e le donne con disabilità di queste delegazioni che sentono realmente di vivere – con la Convenzione – una vera opportunità di emancipazione.
A questo punto Lydia si commuove e le lacrime che inumidiscono i suoi occhi vispi e intelligenti trasmettono la sua profonda empatia per la condizione di discriminazione che guida il suo impegno nel Movimento.
Ci abbracciamo consapevoli che questa capacità di “sentire” le persone ci appartiene e ci arricchisce. Ci abbracciamo con le lacrime che si mescolano, emozionati di aver toccato l’uno il cuore dell’altro.