Ricerche sulla sindrome di Down: alcune precisazioni

Il titolo e il taglio di un articolo dedicato ad alcune ricerche in corso sulla sindrome di Down, apparso in un quotidiano, merita alcuni chiarimenti, a parere del CoorDown (Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down), «perché l’approccio giornalistico riduttivo di quel testo può determinare confusione e false illusioni tra le famiglie, oltre al disappunto dei tanti professionisti impegnati in questo settore»

Primo piano di occhi di una bimaba con sindrome di Down«Il tema è molto forte e altrettanto forte è il dibattito scaturito negli ultimi giorni attraverso numerosi articoli e interviste, soprattutto a causa di un titolo sensazionalistico e di un taglio giornalistico certamente riduttivo, ma non falso: le risposte della specialista interpellata, infatti, non confermano la possibilità di guarigione, ma solo la possibilità, in un futuro prossimo, di intervenire sulla disabilità intellettiva dei bambini con la somministrazione di un determinato farmaco. Per il nostro Coordinamento è dunque doveroso esprimere alcune osservazioni e chiarimenti».
Si apre così un comunicato diffuso dal CoorDown (Coordinamento Nazionale Associazioni delle Persone con Sindrome di Down), motivato principalmente da un articolo uscito qualche giorno fa nel quotidiano «La Nazione», dal titolo C’è una speranza per i Down: possiamo guarire quei bambini, contenente un’intervista a Renata Bartesaghi, che ha guidato un lavoro di ricerca del Laboratorio di Scienze Biomediche e Neuromotorie dell’Università di Bologna, sulla possibilità di curare la sindrome di Down con un antidepressivo serotoninergico.

«In questi anni – si legge nella nota del CoorDown – i progressi della medicina hanno permesso a tantissime persone con sindrome di Down, in tutto il mondo, una qualità di vita impensabile solo alcuni decenni fa e noi sappiamo bene, così come tutte le Associazioni che si occupano delle persone con sindrome di Down e delle loro famiglie, quanti professionisti diano il loro insostituibile contributo nel campo medico, psicologico e psicopedagogico affinché la disabilità intellettiva non sia più un ostacolo invalicabile per partecipare a pieno diritto e con dignità alla vita sociale. L’impegno è massimo per costruire una cultura accogliente della diversità: il contributo che anche le persone con disabilità intellettiva possono dare alla nostra società è prezioso e va sempre rispettato. Inoltre, un numero sempre maggiore di persone con sindrome di Down raggiunge significativi obiettivi di inclusione sociale, grazie a percorsi educativi che fin da piccoli sviluppano e potenziano in loro autocoscienza e capacità di vita autonoma e indipendente».
«Dal canto suo – prosegue la nota – la ricerca di base sulla sindrome di Down, che è stata presentata in recenti articoli e che sta sviluppandosi anche in Italia con pubblicazioni su autorevoli riviste scientifiche, sta cercando di individuare i meccanismi biochimici e molecolari che, a partire da una determinata condizione genetica, inducono un determinato fenotipo, il cui elemento più “pesante” è evidentemente la disabilità intellettiva. Ed è su questa disabilità che si sta orientando comprensibilmente l’attenzione dei ricercatori: non certo, però, per “guarire” dalla sindrome, ma piuttosto per ridurne gli effetti sullo sviluppo cerebrale e neuronale. E la ricerca di base cerca nei modelli animali o negli studi biostatistici gli elementi utili per individuare punti di intervento. Sappiamo benissimo che tali studi necessitano di tempi spesso molto lunghi, prima di poter ottenere una plausibile applicazione clinica. Non basta cioè che un farmaco sia in grado di risolvere un problema in un animale da esperimento, per dire che esso possa essere efficace nell’uomo. Il cammino della sperimentazione clinica è lungo e a volte può presentare battute di arresto, come anche improvvise accelerazioni. Pertanto, esso non deve certamente produrre inutili illusioni o indurre conclusioni troppo semplicistiche. Allo stesso tempo, tuttavia, non si deve perdere la speranza che in tale cammino un rilievo, magari piccolo o apparentemente casuale, possa dare una svolta decisiva alla ricerca e aprire soluzioni percorribili. È già successo molte volte nella lunga storia della medicina».

«Non abbiamo bisogno di interventi miracolistici – sottolinea dunque a questo punto la nota del CoorDown – , ma di un sapiente e paziente lavoro di seria ricerca. Sappiamo quanto, in questi tempi di crisi, la ricerca viva con difficoltà il proprio essenziale compito. Proprio per questo ci pare doveroso innanzituttotutto esprimere il nostro apprezzamento per tutti i ricercatori che con serietà e competenza si dedicano allo studio della sindrome di Down. È necessario contribuire ciascuno secondo la propria competenza alla costruzione di un presente e di un futuro per le persone con sindrome di Down. La loro crescita e la loro piena realizzazione di vita dipende dall’impegno di tanti: ricercatori, medici, educatori e psicologi, senza dimenticare tutte le persone che quotidianamente incontrano sulla propria strada come gli insegnanti, i datori e colleghi di lavoro, gli allenatori, i vicini di casa».

La conclusione della nota è tutta dedicata agli organi d’informazione e alle loro grandi responsabilità, nel bene e nel male: «Conosciamo l’abitudine di trovare titoli “notiziabili” – dichiarano infatti dal CoorDown -, capaci di attirare l’attenzione dei lettori, ma non è certamente con l’annuncio della possibile guarigione delle persone con sindrome di Down che si rende giustizia all’impegno e alla ricerca di tanti professionisti. Per questo ringraziamo anche tutti i giornalisti che prendono a cuore le notizie positive e incoraggianti per le persone con sindrome di Down e chiediamo loro di coinvolgerci volentieri, quando affrontano questi temi, per poter così fornire a tutti un’immagine realistica e corretta della condizione di queste persone e delle loro famiglie». (S.B.)

Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@coordown.it (Federico De Cesare Viola).

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