«Questo progetto nasce con lo scopo di rendere visibile ciò che ai più non risulta tale. Le barriere architettoniche, quegli ostacoli invisibili per chi può camminare con le proprie gambe, sono ogni giorno un limite invalicabile per chi invece è costretto a vivere su una sedia a rotelle. Ma la fruizione dei luoghi pubblici non può essere oggetto di discriminazione e una città come Padova, spesso teatro di accesi dibattiti sull’integrazione, mossi dalla coesistenza sul territorio di gruppi molto eterogenei, non può trascurare la “categoria disabili”».
Così un gruppo di studenti dell’Università di Padova, sotto la guida di Alessio Vieno, ricercatore del Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione, presentano l’ottimo progetto da loro condotto, intitolato Io non riesco a passare, basato sugli assunti della Psicologia di Comunità e finalizzato a far sì che i cittadini padovani «guardino con altri occhi la loro realtà».
«Il principio dell’inclusione – spiegano poi – è stato il punto di partenza di ogni nostra scelta. Considerato alla luce del quadro teorico di riferimento, il termine inclusione, concettualmente costruito in senso antitetico rispetto a esclusione, è da intendersi come libero accesso al godimento di una cittadinanza formalmente concessa a tutti, ma di fatto soggetta a molteplici discriminazioni».
Dal punto di vista operativo, Io non riesco a passare – esempio di buona prassi del tutto degno di essere preso a modello anche altrove, contestualizzandolo, naturalmente, alle specifiche realtà cittadine – si è articolato in quattro fasi successive.
Innanzitutto la cosiddetta Fase Foto, che ha visto gli studenti cercare di catturare, con la macchina fotografica, una serie di immagini simboliche, riguardanti comuni luoghi del centro cittadino, “comunemente” ricchi di insidie, avvalendosi di indicazioni provenienti da chi è effettivamente costretto a muoversi in carrozzina.
Nella Fase Modifica, quindi, le varie foto sono state appunto modificate, evidenziandovi gli ostacoli in esse celati. Ogni immagine, poi, è stata esposta nello stesso luogo rappresentato, sorta di mostra a cielo aperto, dedicata a una “Padova che vorremmo”, priva di barriere architettoniche.
«“La Padova che vorremmo” – sottolineano i promotori del progetto – è costituita da persone in grado di guardare criticamente al territorio, considerandolo come un fattore determinante del proprio benessere, non soltanto in maniera diretta, ma anche in maniera indiretta, attraverso la modulazione dei processi relazionali e sociali. Un ambiente che discrimina silenziosamente minoranze invisibili pregiudica l’inclusione sociale dalle fondamenta, impedendo lo sviluppo di un reale benessere comunitario. La visione critica, la capacità di guardare oltre ciò che ci circonda in un’ottica propositiva, nutrita di senso di appartenenza e di controllo, è un punto di partenza imprescindibile per l’emancipazione del cittadino che può così muoversi attivamente, per riappropriarsi di un territorio che non gli appartiene solo sulla carta. Nella Fase Modifica, il meccanismo sul quale abbiamo voluto agire è stato quello dell’attenzione selettiva. Un gradino, cioè, può essere per qualcuno solo un gradino, ma per qualcun altro è un monito costante, un’immagine da cui scaturisce un solo pensiero: “Io non riesco a passare!”. L’orientamento immediato della nostra attenzione non dipende pertanto dalla nostra volontà, ma è un meccanismo automatico di selezione degli stimoli ambientali destinati ad essere processati cognitivamente al fine di essere poi, di fatto, “visti”. In ogni cartello, quindi, è stato aggiunto un provocatorio “ci avevi pensato?”, in modo da suscitare un interrogativo razionale nella mente del lettore e, auspichiamo, una conseguente riflessione che possa incidere sulla futura capacità di “visione” di ciascuno».
Successivamente è arrivata la Fase Pratica, che ha visto i giovani studenti aggirarsi per Padova, chiedendo ai passanti di provare a muoversi in carrozzina, per aiutarli a capire quali zone fossero effettivamente di difficile percorrenza. «Una sorta di “gioco di ruolo su strada” – spiegano – in cui abbiamo spinto le persone nei panni di un disabile che, impossibilitato a proseguire su un percorso cittadino, deve trovare strategie alternative per giungere alla meta prescelta. Qui, accanto a scene drammaticamente esilaranti, molti sono stati i momenti di riflessione sostenuti dall’incredibile entusiasmo dei cittadini i quali, più che cortesemente collaborativi, si sono dimostrati realmente interessati alla nostra causa». «Tale sorprendente impatto – aggiungono – ha portato il nostro gruppo a una riflessione ulteriore: l’individualismo condito con insensibilità che sembra annidarsi in ogni angolo delle comunità che abitiamo, a nostro parere altro non è che una risposta ad iniziative di coinvolgimento e partecipazione ormai obsolete e inflazionate, reiterate a tal punto da aver perso qualsiasi significato e qualsiasi carica innovativa per il target prescelto, e che spesso si basano su un irrealistico canale monodirezionale, per cui il messaggio di sensibilizzazione passa senza intoppi dal “sensibilizzante” al “sensibilizzato”. Noi abbiamo voluto costruire insieme alle persone il significato del messaggio di cui esse stesse erano destinatarie, ottenendo risultati sorprendenti».
Raccolti, in conclusione, i precedenti risultati del progetto in un breve video, la Fase Diffusione si è rivolta segnatamente ai mass media da una parte, ai social network dall’altra, ottenendo già alcuni momenti di visibilità (in calce ne segnaliamo alcuni).
«Questa quarta e ultima fase – sottolineano per altro gli studenti – non punta al raggiungimento di una visibilità per così dire effimera, in quanto, consapevoli del fatto che il nostro video sia solo uno dei tanti in circolazione, riteniamo che la diffusione su larga scala sia un passo necessario, ma non sufficiente, per sollecitare la rimozione delle barriere architettoniche in città. L’obiettivo è dunque quello di mostrare al nostro target di riferimento – tutti coloro, cioè, che si sono imbattuti nei nostri cartelli o hanno preso parte alla fase di sensibilizzazione su strada – che “la Padova che vogliamo” è una comunità coesa in cui le iniziative collettive possono trovare un valido riscontro a livello organizzativo. Un individuo che ha acquisito un pensiero critico e che sente di muoversi in una comunità interconnessa anche a livello organizzativo diventa così in grado, in linea con il principio dell’empowerment [crescita dell’autoconsapevolezza, N.d.R.], di determinare e sostenere un cambiamento permanente nell’ambiente circostante».
Non resta a questo punto che citare tutti i componenti di questo meritorio gruppo di lavoro, vale a dire, in rigoroso ordine alfabetico, Francesco Bacchin, Margherita Battistella, Simone Dal Monte, Silvia Dalò, Nura Ferraretto, Daniela Filipuzzi, Marika Lazzarin, Martina Mancuso, Melissa Reggiannini, Silvia Vitello e Flavio Zane. (S.B.)
Il video prodotto nell’àmbito del Progetto Io non riesco a passare è in YouTube e anche in «Corriere della Sera – Veneto» e nel «Gazzettino».
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