«Abbiamo letto con una certa sorpresa le dichiarazioni dell’arcivescovo di Pompei Carlo Liberati, apparse sul quotidiano “La Stampa” [uscito il 20 ottobre 2008, N.d.R.], riguardanti il presunto “fallimento” della Legge 149/01 (che ha stabilito la chiusura degli istituti per minori) e la necessità di riaprire gli orfanotrofi».
Lo dichiara in una nota ufficiale don Armando Zappolini, vicepresidente del CNCA (Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza), aggiungendo che tali dichiarazioni vanno intese come una presa di posizione ascrivibile solo a colui che le ha rilasciate e non possono essere considerate come la posizione dell’intera Chiesa Cattolica italiana».
«Per parte sua – continua il comunicato – il CNCA esprime la propria totale contrarietà a riportare in vita istituti che non rispondono in alcun modo agli interessi dei bambini di cui si preoccupa giustamente proprio l’arcivescovo di Pompei. I dati reali riguardanti la consistenza numerica del fenomeno degli abbandoni, dei minori che vivono fuori famiglia e degli affidamenti familiari sono poi più confortanti rispetto a quelli dichiarati da monsignor Liberati. Negli ultimi dieci anni, ad esempio, sono cresciuti gli affidamenti familiari e diminuiti complessivamente i minori che vivono fuori dalla famiglia. Mentre è stabile il numero di bambini in condizione di abbandono».
Il problema, secondo don Zappolini, sta invece nella necessità di migliorare proprio la citata Legge 149/01. «Bisogna implementare appieno quella norma, facendo bene le cose giuste che essa ha previsto: realizzando ad esempio la banca dati nazionale dei bambini in stato di abbandono, destinando le risorse che occorrono agli Enti Locali affinché possano essere valorizzate al meglio le soluzioni che la legge ritiene più adeguate per questi bambini e ragazzi, come gli affidamenti familiari e le comunità residenziali, potenziando i servizi sociali dei Comuni, investendo sulla formazione e la qualificazione degli educatori, valorizzando le esperienze dei centri affidi, stimolando le Regioni che non lo hanno ancora fatto a predisporre l’anagrafe delle strutture e dei bambini accolti e a svolgere procedure di verifica e vigilanza. Invece, né le famiglie di origine né le famiglie affidatarie, né le comunità residenziali, né i servizi e gli operatori hanno potuto contare sulle risorse che sarebbe stato necessario mettere in campo per offrire opportunità di crescita e di benessere a tanti minori in difficoltà».
«Proprio perché abbiamo a cuore i bambini e i ragazzi che sono costretti a lasciare le loro famiglie – conclude don Zappolini – crediamo che loro stessi abbiano diritto a spazi che assicurino il più possibile un’atmosfera e una vita di tipo familiare e non vadano perciò accolti in istituti che non sono in grado, per la loro stessa natura, di offrire un progetto individualizzato e forme di cura adeguati».
(S.B.)
Ringraziamo per la segnalazione Arianna Saulini.
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