La scorsa settimana hanno chiesto a Maria Felicia, una giovane ragazza disabile di 24 anni, di fare un disegno su un foglietto di carta, poi le hanno fatto qualche domanda e hanno comunicato ai suoi genitori che per la loro figlia si era concluso il “progetto terapeutico”.
Da quel giorno il tempo che Maria Felicia trascorreva nel semiconvitto che l’aveva accolta subito dopo la scuola media si è dovuto interrompere. La mia giovane amica, infatti, era in condizioni di “transitare” – a detta dei funzionari della ASL Napoli 4 – presso una struttura socio-sanitaria, non avendo più necessità di un trattamento così complesso e oneroso come quello garantitole sino a quel giorno dal Centro Antoniano.
Maria Felicia non ha capito perché deve smettere di andare al Centro, è impaurita all’idea di dover lasciare per sempre i suoi amici, i suoi operatori e quelle insostituibili attività quotidiane che rendono degna la sua giornata.
Il tempo, per i disabili mentali e per le loro famiglie, è scandito da gesti, pratiche e tenerezze che la maggioranza dei “normali” non comprende perché non conosce. Qualcuno, però, ha stabilito che il tempo di Maria Felicia si è interrotto e la obbliga a trovarsi un altro posto dove andare. Poco interessa se i Comuni dell’hinterland di Napoli non hanno Centri Socio-Sanitari, come previsto dall’avanzata legislazione italiana e che la Regione Campania non possegga nemmeno un’anagrafe delle persone con disabilità.
Nella Regione della spazzatura e della camorra, figuriamoci se a qualcuno dei nostri amministratori può interessare il futuro delle decine di disabili mentali di grado medio e lieve (!) e delle loro famiglie alle quali viene consegnato un laconico “fine trattamento” e l’invito a trovarsi altrove un luogo che non esiste.
Maria Felicia è nata a Casalnuovo di Napoli e non a Desenzano sul Garda e non vive nemmeno in una Regione a Statuto Speciale, sebbene lei sia una ragazza speciale.
In Campania i disabili mentali che escono dalla scuola vivono tutti nelle loro famiglie, ad eccezione di qualche centinaio di giovani e adulti “fortunati” che da qualche giorno sono piombati – come lei – nell’incubo di dover smettere quel faticoso percorso di vita che strutture come quella che la accoglie garantiscono loro.
Non ci interessa sottolineare l’inadeguatezza di una classe politica incapace della benché minima capacità di programmazione, tutta invischiata nella conservazione del proprio status quo e impossibilitata a rispondere ai bisogni dei cittadini più deboli. Sarebbe tuttavia interessante sapere se qualcuno in questi anni si sia occupato – non preoccupato, perché questo dimostrerebbe un’intrinseca tensione etica – di redistribuire risorse dalla sfera sanitaria a quella delle politiche sociali. Risorse economiche da destinare ai Comuni, per consentire agli incolpevoli (?) amministratori locali di far nascere Centri Socio-Sanitari e simili nei loro territori.
Sarebbe di grande conforto sapere, dopo oltre dieci anni di amministrazioni regionali e locali di centrosinistra, che per Maria Felicia esistono delle alternative al suo semiconvitto. Sarebbe desolante scoprire invece che di lei, dei suoi amici disabili e delle loro famiglie la razionalizzazione delle spese sanitarie non può né deve occuparsi.
Da qualche giorno abbiamo ancora di più la consapevolezza di essere stati malgovernati in larga misura da pessimi amministratori locali e regionali, incapaci di distinguere le priorità e i reali bisogni delle fasce più indifese della popolazione campana. Ma restiamo in attesa di autorevoli smentite.
*Associazione Tutti a Scuola di Napoli.
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