È ormai pronta la bozza del PAD (Piano di Azione per la Disabilità) in Kosovo, realizzata dalle istituzioni locali in collaborazione con la cooperazione italiana. All’inizio di questo mese di dicembre il documento è stato presentato a Prishtina e ora si dovrà procedere per arrivare alla sua versione definitiva.
Ne parliamo con Elisabetta Belloni, direttore generale per la Cooperazione allo Sviluppo del MAE (Ministero degli Affari Esteri Italiano), facendoci innanzitutto spiegare che cos’è esattamente un PAD.
«Si tratta di un Piano d’Azione ratificato al più alto livello, espressione della concertazione tra le istituzioni centrali e decentrate dello Stato e le formazioni sociali, per la realizzazione di interventi sul piano culturale, normativo e amministrativo in favore delle persone con disabilità».
Quali sono gli attori coinvolti nella stesura della bozza del PAD per il Kosovo presentata a Prishtina il 3 dicembre?
«L’Ufficio del Primo Ministro del Kosovo – Ufficio per la Good Governance, Diritti umani e Pari Opportunità – ha richiesto alla cooperazione italiana assistenza tecnica per la redazione del Piano Nazionale della Disabilità. La Cooperazione italiana, a sua volta, ha coinvolto per la definizione della strategia, della metodologia e degli obiettivi del Piano Nazionale della Disabilità tutti gli interlocutori presenti sul territorio e cioè dieci ministeri della Repubblica del Kosovo, rappresentanti di agenzie e organismi internazionali e di istituzioni e associazioni locali».
Qual è il ruolo specifico del Ministero degli Esteri italiano in questo contesto?
«Il Ministero finanzia l’assistenza tecnica per la redazione del Piano Nazionale sulla Disabilità in Kosovo, assistenza tecnica che è fornita da un team di esperti italiani i quali assicurano la loro esperienza in diversi settori: educazione, salute, impiego, accessibilità, protezione sociale, dati statistici».
Com’è andata la presentazione del 3 dicembre? Quali saranno i passaggi successivi e in che tempi avverranno?
«La giornata del 3 dicembre ha visto la presenza dell’ambasciatore italiano a Prishtina, Michael Louis Giffoni, del vice primo ministro del Kosovo Rame Manaj, della cooperazione italiana, di organismi bilaterali e multilaterali, di associazioni di persone con disabilità, di ministeri e istituzioni del Kosovo. I circa centocinquanta partecipanti hanno espresso piena soddisfazione riguardo al lavoro svolto e presentato lo stesso non solo nelle lingue delle diverse comunità del Kosovo, ma anche in linguaggio braille e nella Lingua dei Segni.
La Cooperazione Italiana ha ribadito che la prima bozza del Piano presentato è un documento interlocutorio pronto a ricevere commenti e suggerimenti dalla società civile, prima della sua stesura definitiva.
Per quanto riguarda i prossimi passi, presenteremo la bozza del Piano in numerose muncipalità, nel corso di workshop aperti al pubblico; finalizzeremo i suoi contenuti assicurando l’utilizzo di una terminologia di settore condivisa nelle lingue ufficiali del Kosovo; forniremo indicazioni operative e finanziarie per la sua applicazione sulla base del Medium Term Expenditure Framework 2008-2011 e, infine, ci adopereremo per la sua definitiva presentazione nel mese di maggio 2009».
Quali sono i contenuti principali della bozza e quali sono i campi di intervento?
«I contenuti sono rappresentati dalla ricognizione e dall’analisi normativa, dall’individuazione di obiettivi prioritari, dalla definizione di attività sostenibili e di indicatori di performance, dall’identificazione degli attori coinvolti e dall’individuazione delle risorse economiche e finanziarie disponibili. Ciascun contenuto, poi, è stato messo in relazione ai singoli settori di intervento: educazione, protezione sociale, accessibilità, impiego, lavoro e dati statistici, tutte tematiche traversali».
Qual è l’attuale situazione in Kosovo relativamente alla disabilità?
«In Kosovo esiste una legge sulla non discriminazione in linea con i principi internazionali in tema di diritti umani e talune disposizioni normative che riconoscono pari opportunità ai disabili. Tuttavia, l’attuazione pratica di tali norme non garantisce una piena partecipazione alla società delle persone disabili in Kosovo. Ad esempio, la presenza nel sistema educativo delle scuole speciali e di classi differenziate non garantisce l’integrazione scolastica. Anche dal punto di vista della tutela sanitaria, poi, vi sono numerose carenze, soprattutto per ciò che concerne la diagnosi precoce l’attività di prevenzione. Nella diffusa disoccupazione dell’intera popolazione, le opportunità di lavoro per i disabili sono minime e la legge sul collocamento obbligatorio non è mai stata approvata alla Commissione Finanze del Parlamento. Le provvidenze economiche concernono solo taluni disabili in stato di estrema gravità. Da ultimo, ma non meno importante, l’accesso agli edifici pubblici e privati e agli spazi aperti al pubblico, all’informazione e alle tecnologie è poco garantito».
Quale cifra ha stanziato il nostro Ministero degli Esteri per la realizzazione del PAD in Kosovo?
«Il progetto per la redazione del Piano al momento è finanziato per 150.000 euro: 100.000 di assistenza tecnica assicurata dal team degli esperti italiani e 50.000 del fondo in loco. La presenza costante del personale dell’Unità Tecnica Centrale assicura la pianificazione delle fasi di assistenza attraverso una modalità di work in progress, rimodellando di fatto le attività del Piano sulla base di quanto emerge dai gruppi di lavoro costituiti dalle istituzioni del Kosovo, dalle associazioni e dalle organizzazione presenti nel territorio, dagli organismi internazionali e dagli esperti esterni italiani in missione».
Ci è stato riferito che il progetto della cooperazione italiana in Kosovo è innovativo e pilota: in che senso? Quali sono le caratteristiche che lo rendono tale?
«Tra i vari punti di forza di tale iniziativa, l’aspetto più innovativo consiste nella qualità delle risorse umane impegnate; raramente la stesura dei Piani Nazionali sulla Disabilità prevede il coinvolgimento di persone non abili come in questo caso. Il team di esperti, inviati dalla Direzione Generale in Kosovo, infatti, in cui figurano due persone con disabilità, ha lavorato di concerto con l’Unità Tecnica Centrale della DGCS (Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo), elaborando una prima bozza del documento del Piano Nazionale, partecipato e condiviso. Tale prassi è coerente con l’articolo 32 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, che esorta a coinvolgere le persone con disabilità nei programmi di sviluppo a livello internazionale».
Quali sono le zone di intervento del Ministero degli Esteri italiano nel mondo, oltre al Kosovo?
«Attualmente, la nostra Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo sta finanziando e realizzando ventun iniziative in questo settore in quindici Paesi: Albania, Bosnia Erzegovina, Camerun, Cina, Etiopia, Giordania, Kosovo, Libano, Libia, Serbia, Sudan, Territori Palestinesi, Tunisia, Vietnam, Zambia, per un impegno complessivo di circa 21 milioni di euro».
Quali sono le caratteristiche principali di questo tipo di interventi, dal punto di vista concreto?
«Gli interventi della cooperazione italiana si ispirano ai contenuti delle Linee Guida sulla Disabilità, del luglio 2002, che prevedono interventi per l’inclusione sociale del disabile in ambito educativo, lavorativo, culturale e sociale. Inoltre, molta enfasi viene attribuita ad interventi di tipo preventivo e riabilitativo su base comunitaria».
Ci sono degli esempi virtuosi di interventi in stato già avanzato?
«Credo che un grande contributo della cooperazione italiana riguardi il finanziamento a programmi in tema di legislazione sociale sulla disabilità».
Dove invece l’azione è più difficile?
«Incontriamo maggiori difficoltà quando si tratta di promuovere modelli di intervento sull’inclusione sociale delle persone con disabilità, ambito per il quale il nostro Paese può vantare un’esperienza avanzata».
Il Governo Italiano ha ridotto sensibilmente il finanziamento alle attività di cooperazione allo sviluppo. Possiamo avere le cifre per gli anni dal 2005 al 2009?
«I tagli sono indubbiamente significativi, basti un dato per tutti: per il 2009 avremo 321 milioni di euro, meno del 50% dello scorso anno. Ciò però non implica un disimpegno dell’Italia sul fronte dell’Aiuto allo Sviluppo. In uno scenario inevitabilmente caratterizzato da diffuse difficoltà nel rispettare le scadenze relative agli impegni quantitativi per l’APS (Aiuto Pubblico allo Sviluppo), il nostro Paese riconferma la propria adesione, ma responsabilmente rende esplicita, anche in sede europea e internazionale, la necessità di maggior gradualità nel loro conseguimento. Comunque meno fondi non significano una cooperazione meno efficiente. Il nuovo rigore finanziario ci offre l’occasione di rafforzare l’efficacia dei progetti in corso e di quelli ancora da realizzare. Insomma, occorre passare dalla quantità alla qualità, migliorando gli strumenti di programmazione, valutazione, controllo e trasparenza nell’uso delle risorse destinate ai progetti per lo sviluppo».
In qualità di presidente del prossimo G8, l’Italia come intende impegnarsi? Sono stati individuati degli impegni concreti che assumerà per l’occasione?
«La programmazione triennale dell’attività di cooperazione, 2009-2011 terrà conto del quadro di priorità delineato nell’ambito G8, di cui nel 2009 l’Italia eserciterà la presidenza. Fin dal Vertice di Gleneagles del 2005, il G8 ha individuato una priorità geografica – l’Africa – e alcuni settori chiave nel campo dello sviluppo: agricoltura e sicurezza alimentare, acqua e ambiente, salute, istruzione».
Se il finanziamento generale ha subito un significativo ridimensionamento, in che modo verrà distribuito adesso e cosa si è deciso di tagliare?
«Il percorso programmato dell’attività di cooperazione 2009-2011 è improntato al rispetto degli impegni qualitativi assunti insieme agli altri donatori, ai Paesi partner e alle organizzazioni internazionali. Sono stati individuati alcuni settori prioritari, che saranno presentati presto e il loro numero è stato ridotto per un’azione più efficace dove le competenze e le esperienze della Cooperazione Italiana hanno un loro valore aggiunto. Si perseguirà, a tale riguardo, la piena partecipazione italiana alla fase operativa dei criteri di divisione del lavoro stabiliti nell’ambito del Codice di Condotta dell’Unione Europea, anche con gli adeguamenti normativi necessari». (Barbara Pianca)
*Direttore generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri Italiano.
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