Per le donne vita più lunga, ma più «disabile»

di Simona Lancioni*
Donne e disabilità: un legame al quale è difficile sottrarsi. Lo dimostra anche una recente ricerca - curata dall'Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna - che spiega come gli uomini guadagnino anni di vita «in salute», mentre le donne ne acquisiscono «in disabilità». Ed è un'affermazione che deve far riflettere perché se ad un primo sguardo si sarebbe indotti a credere che la diversità di aspettative sia riconducibile alla diversità biologica tra maschi e femmine, ad un’analisi più approfondita non può sfuggire come l’appartenenza di genere abbia importanti ripercussioni sulla salute

Terapia con gli animali in una casa di riposo a Bolzano«Benché l’aspettativa di vita stia crescendo in tutti i Paesi occidentali, appare sempre più evidente che, spesso, gli uomini guadagnano anni di vita “in salute”, mentre le donne acquisiscono anni di vita “in disabilità”»: è questo l’incipit dell’introduzione dell’ultima pubblicazione prodotta dall’ONDa (Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna), vale a dire La salute della donna. Proposte, strategie, provvedimenti per migliorarla. Libro verde (Milano, Franco Angeli, 2008). Ed è un’affermazione che dovrebbe far riflettere perché se ad un primo sguardo si sarebbe indotti a credere che la diversità di aspettative sia riconducibile alla diversità biologica tra maschi e femmine, ad un’analisi più approfondita non può sfuggire come l’appartenenza di genere abbia importanti ripercussioni sulla salute.
«Il genere femminile ha, infatti, meno accesso ai servizi sanitari rispetto a quello maschile e questo è ormai indiscutibilmente attribuibile a cause di tipo sociale (ruolo di shock absorber nella famiglia, difficoltà economiche, discriminazioni all’interno del nucleo familiare ecc.)» (op. cit., pag. 17). Minore è anche la fruizione delle campagne di prevenzione primaria e secondaria.

Il genere non viene considerato rilevante
Il Libro verde fornisce diversi dati (sia a livello nazionale, sia disaggregati per Regione), ma noi ci concentriamo in specifico su quelli che connettono l’invecchiamento ai maggiori rischi di disabilità e solitudine per le donne.
Circa il 20% del totale della popolazione italiana è composto da persone di età pari o superiore ai 65 anni e all’interno di questa fascia di età circa la metà sono ultrasettantacinquenni. Tra i soggetti anziani le donne rappresentano il 54% delle persone di età compresa tra i 65 e i 74 anni e il 63% delle persone di età uguale o superiore ai 75 anni.
Si evidenzia poi come, nonostante la donna anziana soffra maggiormente di esclusione sociale, nel dibattito etico circa l’allocamento di costosi servizi sanitari rivolti ai soggetti più anziani, il genere non sia solitamente considerato rilevante, mentre si presta attenzione alla prognosi, agli anni di vita considerati in relazione alla qualità della stessa, alla capacità di farsi carico di parte dei costi ecc.
Un indicatore molto utile nella valutazione dello stato di salute della persona anziana è quello denominato “speranza di vita libera da disabilità”. Infatti, la caratteristica di questo strumento è quella di combinare insieme sia l’aspettativa di vita (la quantità di anni che restano da vivere), sia la qualità della stessa (ossia la capacità del soggetto di adattarsi/reagire alle modificazioni indotte dall’invecchiamento, conservando la propria autonomia nello svolgimento delle attività quotidiane). Rispetto a quest’ultimo indicatore, i dati riportati si riferiscono agli anni 2004-2005 ed evidenziano come a 15 anni i maschi abbiano una speranza di vita libera da disabilità di 60.5 anni, mentre per le femmine è di 63.5 anni. Tale speranza, misurata a 65 anni, diventa di 14.9 per i maschi e di 16.1 per le femmine.

Un iniquo contratto “sociale”
La maggiore longevità delle donne è spesso caratterizzata da salute precaria, ristrettezza economica (correlata anche al frequente consumo di risorse spese per curare il partner negli ultimi anni di vita) e solitudine (tra gli ultrasessantacinquenni i maschi che vivono da soli sono il 14%, le donne il 37%).
«La nostra, come altre società occidentali, vive il paradosso di un contratto “sociale” estremamente iniquo: ogni anziano è, infatti, titolato a ricevere direttamente una porzione delle risorse sociali pari alla propria contribuzione […]. Il contributo è quasi ovunque letto in termini di partecipazione alla “forza lavoro” pagata da terzi e, quindi, il lavoro delle donne nei confronti della famiglia e della società non viene economicamente valorizzato» (op. cit., pag. 28).
Donna anziana con disabilitàIl Libro verde non fornisce dati numerici specifici e dettagliati sulla situazione della donna con disabilità, ma in relazione a tale condizione evidenzia come – a fronte dell’ampio aumento della sopravvivenza a carico delle donne – esse siano solo in leggera prevalenza sul totale dei percettori di pensione per disabilità in Italia (poco meno di 5 milioni nel 2004). A ciò si aggiunga che in quasi tutte le Regioni l’importo medio totale di queste provvidenze economiche è inferiore per il genere femminile. Inoltre – sempre in merito alla donna disabile – si rileva una minore partecipazione ad attività sociali, una minore indipendenza da un punto di vista economico e burocratico (ad esempio l’accesso ai servizi bancari e agli uffici pubblici), un minore accesso all’informazione (lettura dei quotidiani, frequentazione di teatro o cinema) e una peggiore salute percepita rispetto all’uomo con disabilità.

Legame a tripla mandata
Il Libro verde non si limita alla semplice analisi del fenomeno in esame. Infatti, ogni capitolo è completato da alcune proposte di intervento, da un elenco di indicatori per valutare gli effetti delle proposte, dall’individuazione dei soggetti coinvolti nell’intervento stesso, da qualche considerazione in merito alle risorse necessarie. Un’impostazione, questa, che conferisce all’opera lo spessore della concretezza e la pone su un piano più elevato rispetto alla semplice rivendicazione.
Abbiamo provato ad operare delle sintesi, ma ognuna di esse ci è sembrata riduttiva e pertanto – per questi aspetti che consideriamo di grande importanza – rimandiamo alla lettura del testo.
In conclusione vogliamo dire che alcune donne possono essere disabili, e questo è un primo modo in cui le donne e la disabilità possono entrare in relazione.
Un secondo modo consiste nel rilevare come, in Italia, siano ancora quasi esclusivamente donne coloro che (spesso a titolo gratuito) si fanno carico di prestare assistenza alle persone disabili.
Il terzo punto d’incontro, lo abbiamo visto, considera la maggiore esposizione delle donne al rischio di disabilità a causa della crescita delle aspettative di vita e dell’invecchiamento.
E quindi, donne e disabilità: un legame a tripla mandata al quale è davvero difficile sottrarsi.

*Testo già apparso nel n. 167 di «DM», periodico nazionale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), con il titolo Vita più lunga, ma più «disabile» e qui riprodotto per gentile concessione.

Per maggiori informazioni sull’ONDa (Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna): www.ondaosservatorio.it.
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