Le luci e le ombre di quella Proposta di Legge

di Michela Giangualano*
«Riteniamo - scrive Michela Giangualano, a nome del Movimento Sostegno Doc - che l’impianto complessivo di quella Proposta di Legge sostenuta dalle Federazioni di persone con disabilità sia abbastanza confacente alle esigenze dell’inclusione scolastica. Ciò che contestiamo, invece, è la separazione delle carriere scolastiche in nome della continuità e il fatto che l’insegnante di sostegno possa in futuro non avere più una formazione disciplinare completa a supportarlo»

Ragazzo in carrozzina studia al tavolo di una bibliotecaA nome del Movimento Sostegno Doc (Docenti) e per non ingenerare fraintendimenti, desidero far presente che la nostra contrarietà alla Proposta di Legge C-2444 (Norme per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con altri bisogni educativi speciali), sostenuta dalle Federazioni di persone con disabilità, non riguarda la Proposta stessa nella sua intierezza. Riteniamo infatti che l’impianto complessivo sia abbastanza confacente alle esigenze dell’inclusione scolastica e ci trova d’accordo soprattutto la parte in cui si specifica che ci saranno corsi di formazione per tutti i docenti di classe e l’aggiornamento obbligatorio per tutte le componenti scolastiche sui temi della disabilità, ma anche l’idea di organi preposti al monitoraggio delle pratiche d’inclusione.

Ciò che contestiamo, invece, è la separazione delle carriere scolastiche in nome della continuità e il fatto che l’insegnante di sostegno possa in un prossimo futuro non avere più una formazione disciplinare completa a supportarlo.
Si possono infatti mediare solo le discipline scolastiche che si conoscono bene. Invece, il rischio nel futuro sarà che l’insegnante di sostegno si possa trovare nella condizione di diventare egli stesso in perpetuo uno studente, che dovrà imparare le cose al momento per poterle poi ritrasmettere.
È inevitabile che qualche forma di delega all’insegnante di sostegno rimarrà sempre, anche se tutti verranno formati sulle tematiche dell’inclusione e della didattica speciale. Quindi l’insegnante di sostegno non potrà permettersi di non conoscere bene le discipline su cui l’intera classe andrà formata.
L’idea di un insegnante di sostegno accolto con interesse e rispetto dagli altri insegnanti di classe, in quanto esperto dei metodi da applicare in classe in relazione alle problematiche della disabilità, a noi sembra lontana dalla realtà che viviamo quotidianamente.
Inoltre, non capiamo perché solamente l’insegnante specializzato dovrebbe essere soggetto al vincolo della continuità didattica, dal momento che dovrebbe essere l’intera équipe a occuparsi dell’alunno in difficoltà. Francamente ci sembra più probabile che – nel momento in cui verrà tolta la competenza disciplinare specifica all’insegnante di sostegno – questi diverrà maggiormente subordinato ai colleghi e alle loro metodologie didattiche (talora fallimentari).

Ciò che è emerso da lunghe discussioni tra insegnanti di sostegno che svolgono questo mestiere da anni è che la principale debolezza di questa figura sta proprio nel non essere considerata come “l’insegnante di tutta la classe”, ma solo del singolo studente certificato. E con la continuità didattica sullo studente con disabilità, obbligatoria per il solo insegnante di sostegno, non si legherà forse ancora di più questa figura al singolo, invece che alla classe nel suo complesso?
Chi non tiene lezioni e non valuta non ha capacità decisionale a scuola; non ha cioè la possibilità di esercitare a pieno la libertà di insegnamento sancita dalla Costituzione.
Questo è uno dei principali motivi della disaffezione verso la carriera del sostegno di quasi tutti gli insegnanti specializzati su sostegno, che va ad aggiungersi al fatto che per quanto si aiutino tutti i bambini in difficoltà di una classe, non si hanno quasi mai dei riconoscimenti pubblici, che invece servirebbero a motivare le ragioni di una scelta professionale.

Una delle principali cause di burnout [esito patologico di un “processo stressogeno”, N.d.R.] è proprio la sensazione di “invisibilità” e marginalità del ruolo. A livello mediatico si stanno inoltre addossando molte colpe alla categoria degli insegnanti di sostegno, quando invece per gli studenti disabili il loro lavoro è necessario.
È a causa dell’insoddisfazione cronica dell’insegnante di sostegno, che non si sente valorizzato all’interno della comunità scolastica e sociale nel suo insieme, che si creano dinamiche negative e di isolamento. Ma la nuova figura di insegnante di sostegno che si sta prospettando sarà veramente più attrezzata a sopportare le dinamiche di subordinazione che sembrano essere state fino ad oggi una costante di questa tipologia di lavoro? In che modo la separazione delle carriere potrà risolvere questo tipo di problematiche? E il fatto di costringere le persone a operare una scelta “definitiva” rispetto alla propria posizione lavorativa, in che modo influirebbe sulla risoluzione delle problematiche sopra esposte? E infine, perché il far confluire in modo continuativo un certo numero di ex insegnanti di sostegno nel ruolo di insegnanti di classe, è considerato negativamente proprio da chi desidera che gli stessi insegnanti di classe risultino preparati sui temi dell’inclusione?

Chi ha fatto sostegno per un certo numero di anni ha avuto modo di osservare nel tempo quali metodologie funzionino e quali no, ma ha anche percepito in modo ravvicinato la lotta di chi si è trovato a dovere affrontare situazioni scolastiche con un patrimonio di abilità “alternativo”, ottenendo comunque dei risultati positivi.
Queste esperienze di vita sono particolarmente formative perché illuminano sul potenziale nascosto delle persone e consentono di acquisire un punto di vista diverso per l’osservazione del sistema scolastico. Perché impedire che un patrimonio di esperienze di inclusione individuale possa essere valorizzato in un ruolo di formazione diverso, ovvero quello dell’insegnante disciplinare di classe? Perché non consentire invece agli insegnanti di sostegno di esercitare sia la funzione di sostegno che disciplinare all’interno di una stessa scuola, secondo i dettami della cosiddetta “cattedra mista”, che oggi si vorrebbe consentire come opportunità a tutti gli insegnanti della scuola, ma proprio con l’esclusione dei soli insegnanti di sostegno?

Affinché le buone pratiche di inclusione potessero circolare, sarebbe dunque auspicabile che la formazione degli insegnanti disciplinari e di sostegno non venisse totalmente separata. E noi crediamo che più che modificare la posizione lavorativa degli insegnanti di sostegno dovrebbe cambiare il meccanismo di presa in carico e di responsabilizzazione rispetto alle problematiche dell’inclusione di tutti gli insegnanti e di tutto il personale della scuola.
La scuola dell’inclusione non può gettare le proprie fondamenta sulla separazione. Solo la flessibilità professionale e organizzativa può divenire la chiave del successo anche in riferimento al tema dell’inclusione scolastica.

Per il Movimento Sostegno Doc (Docenti).

Share the Post: