Come avevamo riferito qualche settimana fa, circa trecento ricercatori, provenienti da tredici Paesi europei, sono arrivati a Milano, per il ventennale del RIMS (Rehabilitation in Multiple Sclerosis), il network europeo che punta a connettere e a valorizzare le migliori pratiche e le migliori ricerche in campo riabilitativo.
Per l’organizzazione della tre giorni svoltasi nel capoluogo lombardo – intitolata Traslational Research and Patient Centered Outcomes (letteralmente “Ricerca traslazionale ed esiti centrati sui pazienti”) – il RIMS stesso si è avvalso della collaborazione dell’AISM (Associazione Italiana Sclerosi Multipla), con la sua Fondazione FISM, oltreché di quella della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano.
Ne abbiamo parlato con Alessandra Solari, neurologa e ricercatrice in Epidemiologia Clinica presso l’Istituto Besta, che fa anche parte del Comitato Direttivo del RIMS.
Dottoressa Solari, che cos’è esattamente il RIMS e che cosa si propone di fare?
«Il RIMS si propone di promuovere la ricerca e la pratica clinica in riabilitazione per le persone con sclerosi multipla. In particolare promuove approcci diagnostici e terapeutici basati sulle prove di efficacia (evidence based).
Si tratta di un’organizzazione europea che ha come caratteristica peculiare il fatto di rivolgersi e mettere in comunicazione tutti i professionisti coinvolti nella riabilitazione della sclerosi multipla: terapisti della riabilitazione e fisiatri, ma anche infermieri, psicologi, neurologi, e logopedisti. Dunque promuoviamo un approccio globale e interdisciplinare al paziente, già nel momento della diagnosi e poi durante il decorso di malattia, incluse le forme che hanno un’evoluzione meno favorevole».
Quello tenutosi recentemente a Milano è stato il ventesimo Congresso del RIMS. C’è quindi già un lungo percorso alle spalle. Possiamo esprimerlo sinteticamente in numeri?
«Il Congresso ha avuto negli anni una crescita esponenziale, con presenze crescenti da tanti Paesi europei (Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Italia, Norvegia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Slovacchia, Spagna, Svezia, Svizzera e Regno Unito), ma anche da Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda e da altri Stati extraeuropei».
Scendendo nel dettaglio, di che cosa vi siete occupati quest’anno?
«I temi fondamentali sono stati due. Innanzitutto abbiamo parlato della ricerca traslazionale in riabilitazione, argomento rispetto al quale è emerso come oggi sia necessario passare dai modelli sperimentali, su cui si è verificato un grosso impulso della ricerca, alla necessità di tradurre questi risultati di ricerca anche nella pratica clinica corrente, nel modo con cui le persone vengono riabilitate ogni giorno nei diversi contesti di cura».
Il titolo del congresso citava poi anche i Patient Centered Outcomes: di che cosa si tratta?
«Si fa riferimento appunto al secondo tema del Congresso, ovvero le “misure di esito” che vengono valutate direttamente dal paziente. Questo tema è stato scelto perché, sia nell’àmbito generale della sclerosi multipla, che segnatamente in quello della riabilitazione, ha sempre più importanza centrale il punto di vista del paziente, sia per stabilire gli obiettivi della terapia, che per valutarne il risultato».
E come si misura quello che pensa il paziente sull’efficacia della riabilitazione?
«È fondamentale disporre di scale di valutazione sviluppate in modo rigoroso e di comprovata validità, riproducibilità e responsività. L’importanza di queste misure è ormai riconosciuta anche nell’àmbito della ricerca farmacologica: infatti, tanto l’Agenzia Regolatoria Europea (EMA), come quella statunitense (FDA), chiedono ormai che le industrie e i ricercatori incorporino le valutazioni fornite dai pazienti, utilizzando questi strumenti per autorizzare l’immissione in commercio di un farmaco. Lo stesso vale per le cure riabilitative: è fondamentale il giudizio del paziente rispetto all’impatto che quel trattamento ha nel migliorare la sua vita».
E ci sono questi strumenti? O meglio, quali sono le scale più accreditate e universalmente utilizzate per la ricerca in riabilitazione?
«Se ne utilizzano molte. Alcune valutano sintomi importanti come la fatica, i disturbi della deglutizione o lo stato emotivo. Vi sono poi scale più globali, come ad esempio quelle sulla qualità di vita, che rappresentano le classiche misure Patient Reported. Tra queste ultime, le più utilizzate in àmbito di sclerosi multipla sono sicuramente MSQOL-54 (la più impiegata), FAMS e MUSI-QoL’. Quest’ultima è la più recente e si differenzia dalle prime due perché è stata prodotta in lingue diverse sin dalla sua origine».
Anche lei è intervenuta a Milano su questo tema?
«Nel corso di un seminario che ho curato insieme a Catherine Acquadro (Francia), abbiamo affrontato il tema della validazione linguistica di queste misure. Trattandosi di questionari, vanno impiegati nella lingua del paziente, altrimenti è difficile che egli possa valutare esattamente i temi su cui è interpellato. E un aspetto fondamentale è proprio la validazione linguistica di questi strumenti: si tratta infatti di un percorso codificato, consistente in più fasi successive, che poco ha a che vedere con una semplice traduzione. E del resto, solo attraverso una validazione linguistica rigorosa, i dati ottenuti dalle persone con sclerosi multipla di diversi contesti linguistici o culturali possono essere confrontati o analizzati congiuntamente, sapendo che lo strumento impiegato nelle diverse versioni è equivalente. Così, nella misurazione degli effetti di una terapia riabilitativa su un paziente olandese o italiano o francese, sappiamo di usare lo stesso strumento di misura.
L’obiettivo del RIMS – ma anche di tutti i ricercatori e le associazioni di pazienti – è che questi strumenti vengano condivisi, che ogni Paese non si costruisca e utilizzi uno strumento diverso, ma vi sia la convergenza su quelli più validi e riproducibili, affinandoli ove necessario, allo scopo di accelerare la ricerca e migliorare la pratica clinica».
Quali novità in particolare dobbiamo aspettarci come ulteriore passo avanti nei percorsi del RIMS?
«Si faranno passi avanti se si riuscirà a creare una reale continuità tra i diversi aspetti della ricerca, se i differenti àmbiti di ricerca collaboreranno intensamente, e in particolare se si integreranno la ricerca biomolecolare, quella fisiologica e la ricerca clinica.
L’altro punto di svolta che ci aspettiamo riguarda le misure centrate sul paziente, che devono essere considerate a tutti gli effetti “misure di esito”, con la stessa dignità delle misure di risonanza o di altre misure basate sulla valutazione da parte del clinico. In altre parole, esse non devono essere “misure soft”, di contorno, che servono ad abbellire uno studio, ma devono avere un carattere di robusta sostanzialità. Se qualcosa deve cambiare nella ricerca, semmai, è che queste misure devono avere più peso. Solo così la ricerca in riabilitazione sarà in grado di produrre evidenza sull’efficacia terapeutica delle terapie e solo così si creeranno le premesse perché tutte le persone abbiano al momento giusto una riabilitazione appropriata, investendo risorse sui trattamenti più efficaci».
Alessandra Solari è neurologa e ricercatrice in Epidemiologia Clinica presso la Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano. Fa parte anche del Comitato Direttivo del network europeo RIMS (Rehabilitation in Multiple Sclerosis).
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Barbara Erba (barbaraerba@gmail.com).
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