Già il fatto di essere centrato su un tema delicato e importante come il legame tra la disabilità, l’affettività e la sessualità, rende Noi siamo Francesco – vincitore del Premio del Pubblico al Festival di Annecy Cinéma Italien 2014 – un film degno di particolare attenzione e visibilità. Particolare non indifferente, poi, l’opera – girata nel febbraio del 2014 tra Bari e provincia e presentata in anteprima nazionale alla Rassegna CinEthica-energia DIVERSAMENTE rinnovABILE, svoltasi nel capoluogo pugliese alla fine dello scorso anno – è patrocinata dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che ne ha seguito con attenzione le varie fasi di lavorazione.
Proprio nei giorni scorsi la pellicola è finalmente approdata in sala, distribuita da Microcinema, anche se, finora, in sole venti copie, «cosa purtroppo molto frequente per una produzione indipendente – come spiega la regista Guendalina Zampagni, auspicando «che se il film avrà un buon riscontro di pubblico, Microcinema riesca a trovare altre sale». «Do invece quasi per certo – aggiunge – che il film verrà venduto alla RAI, ma non so quando sarà trasmesso».
Proviamo dunque con la stessa Zampagni a scoprire qualcosa di più di questo film.
Com’è stato dirigere un film dagli importanti contenuti sociali legati all’affettività, vista da una diversa “angolazione”?
«Questo è il mio secondo film, ma è il primo che si basa su una storia scritta da me e quindi in un certo senso lo sto vivendo come un esordio. Da quando è iniziata quest’avventura, dalla scrittura all’uscita in sala, sono passati ben cinque anni e posso dire con certezza che aver deciso di affrontare un tema così delicato mi ha arricchito moltissimo personalmente, perché sono venuta a contatto con molte persone “speciali” che mi hanno fatto entrare nelle loro vite, insegnandomi a buttar giù un sacco di muri e a capire sempre di più come tutti siamo “diversamente uguali”. E oggi, più che mai, sono contenta che il mio film abbia come messaggio il fatto che l’amore – sentimento fondamentale e universale del nostro vivere – debba essere un diritto per tutti».
Ma qual è esattamente la storia di Noi siamo Francesco e qual è stato il suo rapporto con gli attori?
«Francesco (Mauro Racanati) è un ragazzo come tanti. Studente modello, circondato da amici, amato dalla madre e dalla sua tata. Tuttavia, come ribadisce sua madre all’amico Stefano (Gabriele Granito), Francesco, poi, così tanto normale non lo è. È nato senza braccia e per questo motivo non riesce a vivere le gioie dell’amore e della sessualità. Grazia, la madre (Elena Sofia Ricci) e i suoi amici cercheranno di aiutarlo, ciascuno a modo loro, nel trovare la serenità che desidera, facendogli dimenticare la sua disabilita che rappresenta comunque un problema…
Lavorare con i quattro attori giovani (oltre ai citati Racanati e Granito, ci sono Gelsomina Pascucci e Diletta Acquaviva), è stato molto divertente, sono tutti esordienti nel cinema e tutti con tanta voglia di imparare e di fare. L’incontro invece con attori affermati come Elena Sofia Ricci e Paolo Sassanelli, nonché Luigi Diberti e Mariolina De Fano, è stato carico di stima e di serenità, anche perché lavorare con professionisti così disponibili è stato meraviglioso e molto facile. Sono attori con i quali bastano poche parole e subito riesci a realizzare i tuoi desideri di regista».
Com’è nato il progetto?
«Ho deciso di scrivere questa storia dopo avere conosciuto un ragazzo, Francesco Canale, e la sua bella storia di vita: scoprire la sua forza di vivere, la sua determinazione, la sua ironia e soprattutto la sua bella storia d’amore, nonostante i “limiti” che la vita gli ha imposto, mi ha convinto che fosse necessario scrivere qualcosa che parlasse di storie “speciali” come la sua».
È stato difficile descrivere o meglio raccontare la sessualità di un ragazzo con disabilità, alla luce soprattutto dei condizionamenti dell’opinione pubblica, che manifesta ancora una sorta di disagio culturale verso questi aspetti della vita?
«No, per me non è stato difficile scrivere questa storia, perché in fondo, superato il primo impatto, mi sono resa conto che dovevo scrivere semplicemente una storia d’amore con la sua unicità, ma con i sentimenti, le relazioni amicali e amorose uguali a quelle che ho vissuto io, e che sono certa abbiano vissuto tutti, in diversi momenti della vita.
La cosa difficile è stata invece trovare una produzione che non si spaventasse di fronte a un film come questo. Tutti pensavano infatti che il pubblico non potesse essere interessato a una storia del genere, perché troppo forte e “impressionante”. E così alla fine ho deciso di produrla io, insieme al regista Aurelio Grimaldi, per scoprire alla fine che gli spettatori dei vari Festival in cui il film è già stato presentato hanno riso, si sono emozionati, hanno pianto con grande partecipazione e allegria: viva la vita!».
E in sala, quale impatto avrà il film, uscito proprio in questi giorni? Finora il trailer ha registrato commenti molto positivi…
«Da questo punto di vista sono molto fiduciosa, perché finora il film – come dicevo – ha registrato commenti e recensioni positive. Purtroppo usciamo in poche sale e in poche città e non tutti lo potranno vedere con facilità, ma confido nel passaparola…».
Le ha fatto piacere ricevere il patrocinio della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap (FISH)?
«Certamente sì, ma soprattutto sono grata alla FISH di avere letto la sceneggiatura nella fase iniziale di scrittura e di avermi aiutata ad approfondire alcuni punti e a migliorarne altri. Grazie infinite alla Federazione per l’appoggio e il supporto».
Crediamo che portare sui grandi schermi un argomento ancora oggi considerato tabù sia stata un’impresa coraggiosa di cui andare molto fieri, anche perché potrà contribuire a sollecitare un cambio di mentalità e di approccio verso il mondo della disabilita. Ma lei pensa che il pubblico sia finalmente pronto per una nuova cultura a favore dei diritti delle persone con disabilità?
«Sì, il pubblico è più pronto di quello che pensiamo, ma dobbiamo parlarne e dobbiamo imparare a raccontare storie diverse, senza paura né omertà, perché solo con la conoscenza dell’altro si abbattono pregiudizi, tabù e intolleranze e da questo non potremo che guadagnarci tutti».
Quali saranno ora i suoi nuovi progetti?
«Spero di riuscire a far “presto” un altro film, o almeno di non metterci cinque anni! Vedremo, sicuramente fare film è un lavoro meraviglioso, ma molto complesso e io sono un “pesce piccolo” in questo grande mare, ma il navigar è bello!».
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