La “comunicazione cardiaca” di Felice Tagliaferri

Intervista di Marzia Santella a Felice Tagliaferri*
Ovvero una comunicazione «“da cuore a cuore” - come dice Felice Tagliaferri - quella che servirebbe tra tutte le persone». Andiamo a conoscere più da vicino lo scultore non vedente foggiano di nascita e bolognese di adozione, di cui il nostro giornale si è già più volte occupato, che dirige a Sala Bolognese la scuola di arte plastica “Chiesa dell'Arte” e di cui vengono esposte le opere in varie città d’Italia. Un artista di grande talento, impegnato a far sì che l’arte sia accessibile a tutti
Felice Tagliaferri
Lo scultore non vedente Felice Tagliaferri, all’opera nel suo laboratorio

Sembra impossibile poter fare a meno della vista in quest’era ipermoderna in cui gli occhi sembrano indispensabili per l’utilizzo dei dispositivi elettronici, dallo smartphone ai computer, dai videogiochi alla semplice vita quotidiana [su questo, tuttavia, suggeriamo la lettura, nel nostro giornale, di Stefania Leone, “Informazione e comunicazione: abbattere (prima) le barriere”, N.d.R.].
Questa è un’intervista a un artista straordinario, Felice Tagliaferri, scultore e primo docente al mondo non vedente di arti plastiche. Rimasto cieco a soli 14 anni, Tagliaferri ha incontrato l’arte e l’ha resa la parte fondamentale della sua esistenza, perché, come egli stesso dice: «Nella vita uno deve sopratutto provare piacere».
Emana gioia di vivere e una propensione speciale verso il prossimo: il suo mondo è fatto di contatto con le persone, dritto al cuore con chiunque si trovi davanti, dai Capi di Stato al Papa. Con la scultura ha scoperto di poter dare forma ai suoi sogni e non può più smettere. Le sue opere – come il Cristo RiVelato, creato “per dispetto”, per non avere potuto toccare l’opera originale di Giuseppe Sanmartino a Napoli – parlano del suo immenso talento, della sua fervida immaginazione, della sua capacità di creare con il marmo, ma non solo, linee classiche e perfette; parlano del suo impegno perché l’arte sia accessibile a tutti.

Ci racconta la sua storia?
«Sono foggiano di origine e bolognese d’adozione. Ho perso la vista a 14 anni e per due anni non sono voluto uscire di casa, poi però gli amici mi hanno riportato a vivere. Qualche anno dopo ho risposto a un annuncio, dove un docente d’arte, Nicola Zamboni, cercava ragazzi non vedenti per appurare se la vista fosse necessaria al fine della creazione artistica. Quando ebbe la sua risposta, io chiesi di poter proseguire quel percorso artistico perché avevo scoperto di amare la scultura.
In seguito sono stato uno dei protagonisti del libro di Candido Cannavò E li chiamano disabili, pubblicato nel 2005, rendendomi popolare. Sono stato contattato dal Museo Tattile Statale Omero di Ancona, dove sono esposte permanentemente alcune mie opere, e con cui collaboro assiduamente, essendo docente di arti plastiche a Sala Bolognese nella Chiesa dell’Arte.

"Visione tattile" del "Cristo RiVelato" di Felice Tagliaferri
“Visione tattile” del “Cristo RiVelato” di Felice Tagliaferri

Insegno l’arte perché per me è importante dare ad altri la stessa opportunità che ho ricevuto io. In questi anni ho partecipato a molti convegni e ho tenuto tantissimi laboratori con ragazzi non vedenti e con disabilità. Sono andato nelle scuole e ho riscontrato quanto sia liberatorio creare. Io ritengo che ciò che è importante sia motivare le persone ad ascoltarti, a provare. Siamo semplici e uguali in tutto il mondo, si tratta di creare una “comunicazione cardiaca”: da cuore a cuore, anche scambiandosi le coccole sul pavimento, a prescindere da tutto. Ho riscontrato che spesso le persone che hanno dei problemi, quando ricevono la possibilità di esprimersi sono i più bravi».

La vicenda della nascita della sua opera Cristo RiVelato evidenzia la sua posizione di protesta verso i musei italiani. Alcuni stanno correndo ai ripari creando percorsi tattili, cosa ne pensa?
«Successe nel 2008, quando, nella Basilica di San Severo a Napoli, mi fu vietato di poter toccare il Cristo Velato di Giuseppe Sanmartino, realizzato nel 1753. Quella circostanza ha provocato la volontà di creare un mio Cristo Velato. Volevo che la mia scultura si potesse toccare, così da ovviare l’impossibilità di toccare l’originale, perché precludere il tocco alle persone non vedenti preclude la conoscenza. La mia opera ha assunto così un doppio significato: velato per la seconda volta e svelato per i non vedenti, e ha dimostrato – in questi anni in cui è stato toccato in numerose esposizioni – che un blocco di pietra non può rovinarsi a causa dello sfioramento.
Ritengo che i percorsi tattili rappresentino un piccolo passo verso una società di diritto per tutti; resta però un veto alla cultura per le persone con disabilità visive: di fatto i non vedenti possono conoscere solo ciò che i curatori vogliono che conoscano. Si tratta di un filtro, una discriminazione che non è accettabile. Io, anche se non vedente, dovrei poter toccare tutto, per avere le stesse opportunità degli altri. Sto lottando, con il Museo Omero di Ancona, perché questo possa avvenire».

Nel 2014 è stato protagonista del film diretto da Silvio Soldini, insieme al documentarista Giorgio Garini, Un albero indiano, un esperienza decisamente nuova. Che impressioni le ha lasciato?
«Sì, sono andato in India, mi è piaciuta l’umanità, l’umiltà e la gentilezza di questa terra, viverci però è complicato. Il film è stato un progetto della ONLUS CBM Italia, organizzazione non governativa internazionale impegnata nella lotta alle forme evitabili di cecità e disabilità nei Paesi del Sud del mondo.
Con Un albero indiano CBM ha voluto raccontare l’altra faccia della disabilità, affidando il messaggio alla mia voce, in quanto sono loro ambasciatore da diversi anni. Lì ho avviato un laboratorio di lavorazione della creta, nella Bethany School di Shillong, scuola inclusiva sostenuta dalla stessa CBM, dove bambini con disabilità studiano in classi miste con “normodotati”.

Felice Tagliaferri e alcuni giovani allievi della Bethany School in India
Felice Tagliaferri in India, insieme ad alcuni giovani allievi del laboratorio di lavorazione della creta da lui diretto alla Bethany School di Shillong, esperienza che è al centro del film “Un albero indiano” di Silvio Soldini e Giorgio Garini

Ora il laboratorio è divenuto permanente per tutti gli studenti.
Per me è stata un’esperienza bellissima, lì potevo comunicare con tutti semplicemente attraverso l’arte, senza conoscere la loro lingua e si è creato un rapporto bellissimo che si avverte subito nel film».

Quali sono i suoi prossimi impegni?
«Si è conclusa il 22 giugno a Genova l’esposizione del Cristo RiVelato, evento realizzato in collaborazione con l’Istituto David Chiossone e con l’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti). Le visite guidate sono state curate da Lidia Schichter, consulente culturale che collabora con me per raggiungere una cultura più inclusiva.
Dopo il 22 giugno le mie opere sono state esposte al Golf Club di Rapallo (Genova). Sono stato presente, inoltre, anche nell’esposizione collaterale all’Expo di Milano, a Palazzo Calderara di Vanzago (Milano).
Entro breve avrò l’onore di incontrare a Roma Papa Francesco, mentre dal mese di settembre sarò docente della Scuola Art-In Counselling di Cinzia Lissi a Bertinoro (Forlì-Cesena) e ad ottobre curerò un laboratorio presso i Musei Vaticani».

È decisamente incessante l’attività di Felice Tagliaferri, accompagnato dal suo inseparabile cane Tobia e da una famiglia che lo adora. Un artista che dosa ingredienti segreti di una pozione: il suo talento, la sua passione per l’arte figurativa, la sua capacità di plasmare, con le mani, i materiali più duri, la sua simpatia contagiosa, i discorsi diretti senza fronzoli. Un artista che sa trasportare nella sua dimensione fatta di luce, di vibrazioni, di colori sulla pelle e di sentimenti profondi.
Parlando con lui si giunge al punto di dimenticare le disabilità, al punto da dimenticare di essere “normodotati”, se questo può avere ancora un significato. Tagliaferri insegna che ciò che occorre, talvolta, è una diversa prospettiva e tutto assume un significato diverso, magari serve solo una “comunicazione cardiaca”.

La presente intervista è già apparsa nella testata «Itali@Magazine» (ringraziamo per la segnalazione Lidia Schichter), con il titolo “Intervista a Felice Tagliaferri: ‘L’arte mi ha cambiato la vita’” e viene qui ripresa – con minimi riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

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