Sei articoli e un fiume di parole. La Legge Quadro Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie ha diviso il pubblico e determinato una valanga di reazioni contrastanti.
Dall’entusiastico annuncio del varo alla delusione sui contenuti, il passo è stato brevissimo. Troppo. O forse è stata troppo lunga l’attesa con cui è cresciuta la speranza di vedere rappresentata e tutelata dallo Stato una fetta di cittadini che si aggirano, per il Censis, sui 500.000 soggetti, poco meno dell’1% della popolazione.
Interessante il quadro delle reazioni, degne di studio antropologico. Da quando è stata varata la Legge Quadro, la prima in Italia sull’autismo, i “tuttologi” si sono scatenati: il disturbo dello spettro autistico per loro non ha segreti. Per la scienza e per i genitori, sì.
I tuttologi, insieme agli “indignati sociali” che vivono, si evolvono e muoiono negli acquari di Facebook e Twitter, sono forti di una solida preparazione “internettara”, avallata dall’esperienza familiare (non si nega a nessuno un figlioletto di amici che sta in classe con un compagno autistico). Essi si arrogano il diritto di condannare o assolvere gli scienziati, il Legislatore e le famiglie autistiche a seconda della tendenza del momento e delle loro personali convinzioni. Inutile tentare di ragionare con loro: “stanno con i più deboli” e perciò hanno sempre ragione. Ecco quindi che questa buona fetta di “opinione pubblica” prende posizioni di certezza sull’autismo e le sue cause: lo ha fatto con la scienza e con legge appena varata e lo farà con la scuola, tra poche settimane, visto che (e qui nemmeno certa tendenza della stampa aiuta) la notizia sensazionalistica dell’“autistico cacciato dalla classe” è ormai una tradizione dell’inizio dell’anno scolastico.
La nascita della nuova legge, grazie ai commenti condivisi sui social network (e non solo) ha anche svelato un altro fenomeno sociale conosciuto ma sommerso, quello della miriade di minuscole associazioni dalle sigle più improbabili, ciascuna portatrice di un proprio progetto che spesso si riduce alla propaganda di un «metodo di cura» per le persone autistiche. Inoltre, tra i genitori fondatori o meno di microassociazioni, ci sono coloro che ritengono i propri figli essere “più autistici di altri” e dunque bisognosi di maggiore e primaria attenzione.
Infine, ci sono Parlamentari che votano la legge «per rispetto», in pratica perché pare male dopo tanto tempo non consegnare nulla ai posteri: «Quale politico riuscirebbe a dire no pubblicamente ad una legge sulla cura delle famiglie con soggetti autistici?», annotava recentemente Marco Piazza, in un testo pubblicato da InVisibili, il blog del «Corriere della Sera.it».
Chissà perché mi è tornata in mente la storia della “Legge Basaglia”, anche quella una Legge Quadro sacrosanta, storica nel riconoscere la dignità dei cittadini sofferenti per patologie mentali, ma pagata a carissimo prezzo dalle famiglie.
Considerata doverosamente la diversità di contesto storico e politico-amministrativo, resta tuttavia il disagio per un déjà-vu sinistro e tutt’altro che inconsistente. O forse la Legge Quadro sull’autismo non è così inconsistente. E allora perché alcuni Parlamentari (di maggioranza e di opposizione), dopo averla votata, se ne scandalizzano?
Gli unici che non hanno più parole sono i genitori semplicemente tali, quelli che dopo Ferragosto hanno cominciato (con sollievo) il conto alla rovescia per la ripresa delle attività; quelli che pensano che parlare di autismo in termini di massimi sistemi non risolva lo spicciolo quotidiano. Per esempio, la difficoltà di far viaggiare i figli autistici per portarli in vacanza; quella di risolvere un comportamento-problema lontano dagli ambienti del quotidiano ordinario; quella di curare una carie o di eseguire un pronto soccorso, perché non ci sono strutture capaci di assistere una persona che non collabora e non sa rappresentarsi; quella di superare la selettività alimentare quando si è ospiti di un ristorante, e così via.
Ecco, questi genitori “normali”, che vivono e gestiscono l’autismo quotidiano dei figli, hanno considerato il contesto in cui la legge è nata come un contesto di massima urgenza e di contemporanea mancanza di mezzi finanziari. Per questo la legge è considerata da molti deludente, ma non per questo inutile.
Si pensi all’importanza dell’inserimento di diagnosi e cura dell’autismo nei Livelli Essenziali di Assistenza e del prolungamento delle cure e degli interventi per tutto l’arco della vita dell’autistico, mentre fino a quest’anno la Linea Guida n. 21, prodotta nel 2011 dall’Istituto Superiore di Sanità (Il trattamento dei disturbi dello spettro autistico nei bambini e negli adolescenti), era dedicata solo a bambini e adolescenti, disconoscendo di fatto l’autismo adulto e relegandolo nel calderone delle malattie mentali.
Per tutto il resto, senza copertura finanziaria (articolo 6), sarà molto difficile intervenire.
Questi genitori speravano solo di avere lo Stato accanto non per delegare ad esso le proprie responsabilità, quanto piuttosto per condividerne il peso. Per questo si parlava all’inizio di “tradimento della speranza”, nonostante la legge ci sia.
È questo ciò che più fa male: la consapevolezza di una solitudine profonda da cui sarà difficile salvarsi, soprattutto per chi ha figli adulti e non proprio tutta la vita davanti.
Testo già apparso – con il titolo “Confusione, delusioni e speranze dopo la legge sull’autismo” – in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it». Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contesto, per gentile concessione.
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