Cosa succede quando la disabilità coinvolge altre persone? E, ancor peggio, quando una di queste persone è una fidanzata? In questo caso l’handicap assume un significato particolare: non esiste infatti cosa, tra quelle comuni di coppia, che un “abile” non possa fare meglio di un disabile. Vita sociale? Un buon 30% dei locali sono ancora inaccessibili o ad accessibilità condizionata. Viaggi? I tagli e la crisi hanno penalizzato a tal punto la mobilità pro disabili che… meglio lasciar perdere… Sesso? Bah, dipende dall’handicap, ma in generale possiamo supporre che l’esperienza sessuale non sia come quella di un “abile medio”.
La cosa curiosa è che mentre l’esperienza di solitudine permette di chiudersi e non pensare, la vita di coppia rende necessaria una ridiscussione del rapporto con l’handicap, nel divario che c’è tra ciò che si vorrebbe e ciò che si ha. L’offerta di sé all’altro sembra poter essere una cartina di tornasole da cui valutare il peso dell’handicap nell’autopercezione di un individuo: più l’handicap verrà percepito come peso dall’individuo, più l’ostacolo sarà percepito nella coppia, arrivando ad essere uno dei potenziali motivi di sofferenza e scioglimento.
E allora? Ci dedichiamo a una specie di “monachesimo forzato”, interrotto solo da qualche trascurabile scorribanda su internet? Non so. Non credo. È poco produttivo pensare alla disabilità in questo modo, non porta da nessuna parte. Piantiamola con ’sta storia da sfigati… è noiosa, banale, improduttiva.
Vorrei proporre due argomenti a confutazione di questo quadro disperato. Pensate forse che un cosiddetto “abile” ce l’abbia così facile? Pensate che egli stesso, per motivi diversi, non possa sentirsi inadeguato?
Ogni persona, nel tentativo di trascendere se stessa e spostare nella coppia il proprio baricentro, deve fare questo sforzo di superare la potenziale inadeguatezza. La difficoltà l’avrà Peppino con un naso inguardabile, così come Roberto, con carrozzina, annessi e connessi. In altre parole, non esiste, a rigor di logica, una classifica indiscutibile per cui la sedia di Roberto debba essere una pregiudiziale più valida del naso di Peppino o delle tette assenti di Carmela.
Da disabili, dobbiamo piantarla di campare scuse a priori, tirando fuori la disabilità come passepartout in grado di spiegare ogni nostro fallimento. Non è così. E posso spiegarlo con il prossimo esempio.
La sapete la storia del panettone? Tra le varie leggende, c’è quella che ne ritrova l’origine in uno sbaglio, un errore. Se il cuoco, infatti, avesse presentato il proprio prodotto alla luce degli schemi consueti, sarebbe stato un errore, avrebbe dovuto ammettere lo sbaglio e dispiacere Ludovico il Moro [il duca rinascimentale di Milano, N.d.R.], azione dalle conseguenze incalcolabili.
Come fare, dunque? La soluzione è stata uscire dagli schemi: il panettone non fu presentato come “dolce non riuscito”, ma come proposta nuova, diversa, non paragonabile.
Quest’ultimo esempio credo possa essere utile nel problema che ci poniamo oggi. Fino a quando penseremo noi stessi a partire dagli schemi degli “abili”, saremo comunque handicappati. Fino a quando penseremo alla coppia alla luce di stereotipi creati da “abili”, l’esperienza sarà comunque fallimentare. La soluzione è cambiare strada, battere terreni nuovi, originali… investire le energie non in un’impossibile rincorsa di regole decise da altri, ma nella definizione di una nostra strada, nella costruzione di un percorso solo nostro che sia unico, inimitabile, irripetibile.
Più saremo in grado di credere noi per primi nell’originalità del nostro essere, nella sua incommensurabilità a criteri che semplicemente non sono nostri, più smetteremo di essere “dis-abili”, “handicappati”, “in-validi” o altro, per diventare semplicemente noi stessi.
E così nella coppia potremo smettere di vivere noi stessi come la brutta copia di ciò che sarebbe potuto essere e non è, e iniziare a proporre semplicemente noi stessi, un talento che noi per primi amiamo e coltiviamo a modo nostro, e offriamo affinché possa essere amato e coltivato.
Facile? No di certo, ma almeno è lontano dalla facile retorica degli alibi campati per aria e sempre pronti all’uso per chi non abbia voglia di impegnarsi.
Ritirarci esausti per una rincorsa impossibile o essere artisti della vita che sperimentano e propongono cose nuove? La scelta sta a noi.
Filosofo della Retorica.
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