Continua lo sciopero della fame indetto dal 25 maggio scorso da Alessandra Incoronato, presidente dell’Associazione Diritto alla Vita ONLUS, persona con disabilità che rivendica l’assoluta inadeguatezza delle attuali pensioni di invalidità. Nei giorni scorsi avevamo ascoltato le ragioni che l’hanno spinta a questo sciopero e riproponiamo dunque ai lettori il colloquio avuto con lei, insieme al suo indirizzo di posta elettronica (alessandraincoronatoinrame@yahoo.it), con l’auspicio che siano in molti a contattarla – referenti istituzionali e semplici cittadini – per poter giungere il più rapidamente possibile a una soluzione che porti a interrompere un’azione tanto estrema. (Giuliano Giovinazzo)
Alessandra Incoronato, cosa l’ha portata a intraprendere questo sciopero della fame che già sta avendo delle ripercussioni molto serie sul suo stato di salute?
«Diciamo che tutto comincia dieci anni fa, quando ho iniziato a lottare anche attraverso forme di sciopero della fame per il riconoscimento dell’assistenza personale per le persone con disabilità e per il diritto a una vita dignitosa. Quale presidente dell’Associazione Diritto alla Vita, ho incontrato in quegli anni moltissime persone con disabilità del nostro territorio [Santa Marinella, in provincia di Roma, N.d.R.], assistendo a cose difficili da immaginare e soprattutto da dimenticare. Persone abbandonate completamente a se stesse, molte delle quali sono purtroppo morte a causa delle complicazioni dovute a questa condizione desolante».
Il 25 maggio, dunque, davanti al palazzo della Camera dei Deputati ha smesso di alimentarsi, è corretto?
«Esattamente. Il 25 maggio – dopo un lungo lavoro di preparazione attraverso il quale ho cercato di mettere in allerta sulle mie intenzioni le associazioni delle persone con disabilità – ho cominciato effettivamente lo sciopero della fame. Purtroppo dopo tre giorni ho corso seriamente il rischio di andare in coma ipoglicemico e ho dovuto ricominciare a mangiare qualcosa. Un omogeneizzato e due succhi di frutta. Questa mia attuale dieta ha poi causato un blocco intestinale che, di conseguenza, ha fatto sì che non potessi definitivamente riprendere a manifestare in Piazza Montecitorio. Ma non ho voluto comunque arrendermi».
Quindi ha continuato da casa a condurre questa forma di protesta.
«Sì, anche perché d’altra parte avevo la necessità anche dal punto di vista economico di tornare a lavorare. Questa battaglia non è però personale, ma rispecchia tutto quello che ho visto in questi dieci anni. Fino ad ora le lotte condotte, su un territorio relativamente piccolo, sono riuscita a portarle a termine spesso con un esito positivo, speriamo possa accadere così anche questa volta».
Il motivo principale che l’ha spinta a questa protesta è perciò questa discriminazione diffusa che ha potuto testimoniare, ma soprattutto la necessità di innalzamento delle pensioni di invalidità, condizione che potrebbe alleviare situazioni di estremo disagio.
«Il motivo principale sta proprio nella rabbia e nell’ingiustizia che provo riguardo a queste pensioni ridicole. Ci chiamano “categorie protette”, ma con 254 euro al mese – soprattutto le persone più sole – come si fa a sopravvivere? Tra l’altro, nel mio specifico caso – ma credo che accada per molte altre patologie – i medicinali non vengono passati tutti come mutuabili, o neanche ad esempio i cerotti antidecubito, incidendo ulteriormente sul reddito di un nucleo familiare. Il mio obiettivo comunque è l’innalzamento delle pensioni, ma anche l’obbligo da parte dei Comuni a riconoscere servizi di assistenza alle persone con disabilità».
Posso chiederle a cosa è dovuta la sua disabililità?
«Io ho un’amiotrofia spinale di tipo 2, patologia molto simile alla distrofia muscolare».
Questo ci preoccupa ulteriormente. Cosa potrebbe portarla a interrompere lo sciopero?
«Solamente il cambiamento di questa situazione. Mio marito è disperato e mi dice di non andare oltre, anche perché ritiene che il fatto di non poter essere più a protestare davanti a Montecitorio potrebbe diminuire l’impatto della mia iniziativa. Per me è la stessa cosa. Continuo a scrivere, a dare visibilità a questa protesta attraverso canali quali Youtube e Facebook. Ho persino presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Roma e di Civitavecchia, nel quale denuncio il Governo per omissione di soccorso e omicidio colposo per ciò che potrebbe succedere a me o a tutte le persone con disabilità che letteralmente muoiono di fame».
Denuncia quindi nel complesso questa condanna all’impoverimento delle famiglie che hanno al loro interno una persona con disabilità.
«Assolutamente sì. Moltissime persone con disabilità non possono permettersi una vita autonoma. Io sono fortunata, ho mio marito, due assistenti, e per questo ho già fatto scioperi della fame per me e per gli altri. Non riesco però a capire perché nessun parlamentare, dopo che la nostra protesta è anche andata in onda in un servizio del TG5, si sia fatto avanti.
Anche dall’associazionismo non ho avuto le risposte che mi aspettavo. Chi mi sta aiutando è Luca Faccio, persona con disabilità che anche attraverso il suo blog si sta dando da fare per supportarmi. Anche lui mi dice di sospendere, ma sinceramente non credo che lo farò».
Rimane stupita, quindi, di una sorta di silenzio generale, dei politici, ma anche dell’associazionismo?
«Questa è una cosa triste per me. Molti all’interno delle associazioni sostengono che quello che stiamo facendo è un po’ un’utopia, ma io non la vedo così. I soldi ci sono, anche a costo di andare a ridurre i benefìci di cui godono i nostri stessi politici. Si deve fare qualcosa. Personalmente con un politico vorrei parlarci. Vorrei spiegargli qual è la nostra situazione. Vorrei solamente essere ricevuta, perché non sono un cane. Ero lì fuori il 25 maggio, avrebbero potuto farmi entrare. Avrei voluto con tutto il cuore continuare ad essere lì giorno e notte».
L’appello quindi che possiamo lanciare è che qualcuno delle Istituzioni si metta in contatto con lei, attraverso l’indirizzo di posta elettronica alessandraincoronatoinrame@yahoo.it.
«Vorrei un impegno scritto in cui si dica che le cose cambieranno, perché secondo me, ribadisco, assistiamo a dei continui omicidi che commette il Governo, e continue sofferenze aggiunte a una situazione che già spesso è di sofferenza; è veramente una cosa ingiusta; io sinora ho sperato di poter cambiare le cose, ma a parte le promesse elettorali non succede mai nulla.
Ripeto, la cosa più vergognosa è che ci chiamano “categorie protette”. L’unica cosa che fanno per noi è prenderci in giro. Mi sembra di essere tornati nel MedioEvo, prima ci bruciavano, e ora invece ci fanno morire lentamente. Per questo ho accumulato molta rabbia, sentimento che non fa parte di me e che non vorrei mai mi appartenesse».
Anche l’invito della nostra Redazione – anche alla luce della serietà della sua patologia – non può che essere una raccomandazione a porre attenzione a quanto questa iniziativa possa mettere a rischio la sua condizione di salute.
«Mio marito mi dice: “Sei pazza, mi vuoi lasciare solo”, ma gli rispondo che invece morirei proprio se non facessi questa cosa, perché ho visto troppa gente soffrire, o gente che vorrebbe farsi una vita da sola e invece non può, costretta a vivere con la mamma e il papà; e quando non ci sono più mamma o papà li rinchiudono nei manicomi, che chiamano adesso istituti. Io ho vissuto una vita “normale”, e mi ritengo fortunata nonostante la mia malattia, ma non riesco a continuare la mia esistenza pensando che le Istituzioni continuino a commettere – come ho denunciato – questi omicidi».