Fa riflettere il fatto che non abbiamo una denominazione per definire lo sterminio delle persone con disabilità durante il nazismo. Utilizziamo infatti la definizione adottata dai carnefici, Aktion T4, ovvero il nome segreto che doveva essere dato alla cosiddetta “Operazione Eutanasia”, termine proveniente dall’indirizzo della strada di Berlino dove aveva sede la Cancelleria del Terzo Reich, l’ufficio che pianificava le azioni di sterminio in Tiergartenstrasse n. 4.
La mancanza di un adeguato appellativo rimanda segnatamente all’assenza di questa Memoria, faticosamente recuperata attraverso un prolungato processo impiegato per veder riconosciute quali vittime del nazismo le persone con disabilità uccise nell’Aktion T4 o forzatamente sterilizzate.
Avere dimenticato questi crimini per molti anni segnala uno scarso interesse anche nei confronti delle vittime che, nella ricostruzione e nella rielaborazione di quanto accaduto, non hanno trovato spazio nel dibattito pubblico storiografico, come fossero non meritevoli di approfonditi studi storici e di Memoria.
Sarebbe stato invece opportuno che, fin dal dopoguerra, nell’agenda politica del nostro Paese vi fosse stato interesse nei confronti di queste vittime, che avrebbero dovuto essere commemorate al pari delle altre con pubbliche iniziative, apposizione di targhe in luoghi simbolici pertinenti, per favorire la conoscenza delle origini della Shoah e avvicinare tutta la cittadinanza alla Storia e a questa Memoria.
Sappiamo che nel difficile compito di ricordare il passato tali modalità si sono rivelate strumenti utili a contrastare tentazioni di oblio, così come fondamentale è stato il lavoro di testimonianza svolto dai sopravvissuti, trasmesso attraverso la narrazione, le biografie e le interviste.
È proprio nel tentativo di recuperare Storia e Memoria attraverso le testimonianze dirette che chi scrive ha realizzato – con l’AVI ONLUS di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente) – il documentario Vite indegne: il piano “Aktion T4” e lo sterminio dei disabili, in cui è narrata la storia di Friedrich Zawrel, nato a Vienna nel 1929 [in realtà nato a Lione e cresciuto a Vienna, N.d.R.], “colpevole” di essere venuto al mondo in una famiglia povera, disagiata e con il padre alcolizzato. Considerato un “bambino difficile”, Zawrel fu rinchiuso dal 1941 al 1944 nel sanatorio pedagogico Am Spiegelgrund di Vienna, che con i suoi 640 posti letto, svolse la funzione di reparto di “eutanasia infantile”. Tra il 1940 e il 1945 nei suoi padiglioni furono uccisi almeno 789 bambini ritenuti «fisicamente e mentalmente disabili», cui aggiungerne altre centinaia, che erano considerati come «asociali» o «affetti da gravi difficoltà di apprendimento».
Attraverso il racconto delle vicende di Zawrel, dei maltrattamenti e delle torture subiti, si ripercorre quel drammatico periodo storico in cui la diversità rappresentava una minaccia per la costruzione della “razza superiore ariana”, tesi sostenuta anche dall’apparato medico-scientifico che legittimava le teorie eugenetiche sostenute dal nazismo e operosamente negava il diritto ad esistere per gli “imperfetti”.
La vita delle persone ricoverate negli istituti psichiatrici era considerata in sostanza come «indegna di essere vissuta», un peso per la società, e ai pazienti veniva imposto il trattamento previsto dall’Aktion T4, quella cosiddetta “morte pietosa” che causò circa 300.000 vittime.
L’intervista è stata raccolta nello stesso ospedale dove Zawrel – scomparso all’inizio del 2015 – era stato rinchiuso, nell’attuale Ospedale Psichiatrico di Vienna, dove ora in un padiglione è allestita una mostra che ricorda appunto i crimini accaduti in quel luogo.
Custodire attraverso la Memoria i fatti avvenuti durante il nazismo è diventato un dovere civico, soprattutto in Germania. A Berlino, in quella stessa Tiergartenstrasse dove un tempo si trovava la sede della Cancelleria del Terzo Reich, adesso vi è un monumento commemorativo e informativo dedicato alle vittime dell’Aktion T4. Inaugurato nel settembre del 2014, si compone di una lunga parete di vetro azzurra come il cielo, che ricorda quanto possano essere gravi e drammatiche le conseguenze per tutti, qualora alcune persone vengano escluse e separate dalla comunità in cui vivono.
Nel Memoriale, reso accessibile a tutti, biografie, documenti e fotografie informano sui destini delle vittime e una targa, già preesistente, sollecita il ricordo con la frase: «Il numero delle vittime è grande, mentre è piccolo il numero dei colpevoli condannati».
Ed è proprio questo un altro aspetto dell’Aktion T4. Nonostante infatti durante il nazismo le prime camere a gas siano state ideate e sperimentate proprio per i pazienti con disabilità, sebbene gli artefici siano stati medici (tra gli aderenti al partito nazista, il 44% apparteneva alla categoria dei medici), che all’interno degli ospedali furono attivi nell’eliminazione delle persone ricoverate, i responsabili di questi crimini non hanno ricevuto condanne adeguate, dal momento che durante i processi svoltisi nel dopoguerra presso le Corti Federali della Germania, molti medici e personale sanitario rimasero impuniti, né fu resa giustizia nel riconoscere il diritto al risarcimento per le persone sottoposte a sterilizzazione forzata. Lo stesso protagonista di Vite indegne, Friedrich Zawrel, è stato riconosciuto solo recentemente come vittima del nazismo.
È quindi molto importante che la Storia e la Memoria riguardanti lo sterminio dei disabili durante il nazismo sia argomento di studio nelle scuole e di formazione nella società, per la conoscenza storica completa del nazismo e anche per prevenire forme attuali di discriminazione e di istituzionalizzazione, perché il rischio è che nuovamente vi sia la tentazione di separare persone con difficoltà dal resto della società.
Non molto tempo fa, durante un viaggio nei centri di sterminio dell’Aktion T4, oggi centri di documentazione che ospitano mostre permanenti visitate soprattutto dalle nuove generazioni, mi sono recata presso l’Istituto Psichiatrico di Hadamar, uno dei più grandi centri di uccisione. Non è un luogo isolato, non è distante dal centro abitato: c’è la chiesa, ci sono le case, c’è un castello. Quindi, negli Anni Quaranta gli autobus che frequentemente trasportavano i pazienti destinati alla camera a gas, andavano e venivano da Hadamar osservati nel silenzio indifferente della gente del posto.
Il fatto forse più impressionante è che Hadamar era un ospedale psichiatrico prima del nazismo, venne poi trasformato in un centro di sterminio e oggi è nuovamente tornato ad essere un ospedale psichiatrico, con vari reparti tra cui quello in cui sono ricoverati anche autori di reati penali. Nel nostro Paese, dunque, possiamo essere orgogliosi della Legge Basaglia, che ha realizzato un’importante riforma sulla salute mentale con particolare attenzione alla de-istituzionalizzazione e all’inclusione e tuttavia l’attenzione va mantenuta perché sono ancora attuali soluzioni residenziali che separano i cittadini e le cittadine con disabilità dal resto della società. Non possiamo pensarci solo italiani e solo appartenenti a questo Paese: dobbiamo pensare a tutte le persone con disabilità in Europa e nel Mondo e tutelare ovunque il rispetto dei loro diritti umani.
Credo quindi che oltre all’Aktion T4, sia nostro dovere e nostro impegno rafforzare sempre di più la Memoria, approfondire i temi che hanno riguardato questi fatti, soprattutto perché le vittime con disabilità subiscono una discriminazione anche nell’approccio storico e nelle risorse date allo studio del tema, mentre è necessario riconoscere che tali questioni appartengono a tutti.
Presidente dell’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente).
Sui temi trattati nel presente editoriale, suggeriamo caldamente ai Lettori anche la consultazioni dei tanti testi da noi pubblicati in questi anni, elencati nella colonnina qui a fianco.
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