La carrozzina non deve far paura, anzi…

di Claudio Arrigoni*
Tutto fuorché questo, infatti, si può dire della carrozzina, a giudicare da come la utilizza Haki Doku, atleta paralimpico con paraplegia, già protagonista di tante sfide, lanciate con l’obiettivo di fare aprire gli occhi sulla disabilità. Qualche giorno fa Doku avrebbe voluto misurarsi in Valtellina sul percorso della “Vertical Tube Race”, scendendo per circa 1.300 gradini sulle ruote. Il maltempo glielo ha impedito, ma si è trattato solo di un rinvio...
Haki Doku si allena sulla "Vertical Tube Race" in Valtellina
Un’immagine di Haki Doku, mentre si allena a scendere sui gradini della “Vertical Tube Race”, gara di corsa verticale che si svolge in Valtellina

Ci sono 500 metri di dislivello, pendenze a volte del 65%, un chilometro di lunghezza, 2.500 gradini. Si sviluppa sul percorso dei tubi della centrale idroelettrica. Inizialmente quei gradini e quel percorso erano usati per la costruzione e la manutenzione.
Qui nasce la Valtellina Vertical Tube Race, a Montagna di Valtellina, sui primi monti in Lombardia. Si corre in salita. Haki è uno preparato ai record. Con la sua carrozzina, fedele compagna da quasi vent’anni, ne ha già alle spalle. Ma alla fine gli interessano poco. Quello che vuole è porre l’attenzione: su una situazione, un problema, una condizione. La voleva fare, ma in discesa. E non tutta, ma poco più della metà, perché nella maggior parte di quei gradini la sua sedia a rotelle ci passa appena, in alcuni, specie quelli più in quota, non ha lo spazio sufficiente. Avrebbe dovuto darsi il cambio con un altro abituato a imprese al limite: Mirco, impegnato invece in salita (particolarità: non ha le gambe dalla nascita. Protesi complete e bastoni per salire i gradini).

Haki Doku e Mirco Bressanelli non cercano l’impossibile, solo il realizzabile. Entrambi con una disabilità, ma diversa: Haki è in carrozzina per una paraplegia dopo un incidente sul lavoro, Mirco non ha le gambe da sopra il ginocchio e usa le protesi. Grande passione entrambi per l’handbike. Mirco l’ha utilizzata per oltre cento maratone, affrontando ad esempio la Parigi-Brest (1.230 chilometri in 88 ore) e ha superato i dodici passi alpini, partendo dalla maledetta Diga del Vajont.
Soprattutto, ci ha attraversato l’Italia dalla Lombardia alla Sicilia, sensibilizzando sulla lotta alla mafia, insieme agli amici della Polisportiva Disabili Valcamonica e a quelli dell’Associazione Libera, per arrivare in Via D’Amelio, a Palermo, il giorno dell’anniversario della strage, come avevo già avuto occasione di scrivere a suo tempo [se ne legga anche nel nostro giornale, N.d.R.]. «Non cerco gare, ma sfide con me stesso». Ingegnere, vive con Caty e ha una bimba di 5 anni, Ilaria.

Diversa la storia di Haki. Metà Anni Novanta, era da poco arrivato in Italia da Kruja, in Albania. Niente permesso di soggiorno. Obbligato il lavoro nell’edilizia per quella Milano che cambia aspetto. La caduta da un’impalcatura e la paraplegia. Per fortuna c’è lo sport. Dall’atletica in carrozzina all’ice sledge hockey (hockey su slitta), fino all’handbike, con la quale riesce a partecipare alle Paralimpiadi di Londra.
Ma non gli basta. «Nella mia vita di tutti i giorni – dice -uso una carrozzina normale, non di quelle da corsa o una handbike». E allora usa quella. Anche per spingere le ruote 105.000 volte di fila in 12 ore all’Arena di Milano e stabilire lo scorso anno un record mondiale, insieme al piccolo Guido, nato con cerebrolesione, come avevamo pure raccontato [si legga anche di questo nel nostro giornale, N.d.R.]. «Senza guanti. Mica li uso quando vado a lavorare, in casa o prendere a scuola i miei figli». È sposato e ne ha due, Mario e Glissa.
In quella maniera dimostrava non solo la fatica, ma l’impegno quotidiano di chi vive in carrozzina. Ora una nuova idea: «Perché usare sempre l’ascensore? Se posso evitarlo, lo faccio, e scendo le scale con la carrozzina, frenando con le mani sul corrimano della ruote».
Sembra facile, ma la fatica è grande, per non precipitare con corpo e carrozzina. E l’idea diventa qualcosa di più: «Farlo in una gara di corsa verticale. Gli altri vanno verso il cielo, io scendo a terra. Loro usano le gambe, io le ruote della mia carrozzina con braccia e mani a frenarle. Mi alleno nel palazzo di casa, 16 piani, dopo le 10 di sera: 350 gradini fatti 4 o 5 volte». E non solo lì: lo ha fatto anche sulla scalinata di Piazza di Spagna, circa 260 gradini, o su quella di Piazza Venezia, un centinaio, a Roma. E ancora, al Santuario della Madonna di Imbersago, nel Lecchese. O quelle del palazzo dove lavora (su Paralimpici, blog della «Gazzetta dello Sport», sono disponibili tutti i video delle discese di Haki Doku a Piazza di Spagna e Piazza Venezia a Roma e sulla Torre Camperio a Milano).
Le mani bruciano, senza i guanti, ma «usarli – dice – farebbe perdere di significato. Voglio fare con gli strumenti che abbiamo tutti i giorni. Già ho perso sensibilità nelle gambe, voglio sentire le mani. È come correre a piedi nudi, le ruote sono le mie gambe».
Anche per le maratone usa la sua carrozzina di tutti i giorni: «Le faccio con i podisti, pochi giorni fa a Roma e prima ancora a Parigi. Bellissimo, è gente che respira e parla. Si vive la città dove si è. Certo, manca la competizione, ma ricordo a New York, quando corsi con l’handbike: a 40 o 50 chilometri all’ora non riesci a godertela».

Domenica 17 aprile, dunque, è arrivato il giorno della Valtellina Vertical Tube Race, ma la pioggia – che avrebbe reso la sfida decisamente rischiosa – ha costretto Haki a rinunciare. E tuttavia si è trattato solo di un rinvio, come ha dichiarato egli stesso: «Naturalmente ci riproverò, sempre con lo stesso spirito. Senza cioè volere record o riconoscimenti, ma solo per dimostrare che la carrozzina è una parte di noi, che ci permette di spostarci e che non è qualcosa di cui avere paura».

Testo già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “I 1300 gradini di Haki. In discesa, sulla carrozzina” e viene qui ripreso – con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

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